2156 Franco Narducci: “Ripensare il CGIE”

20060926 16:00:00 webmaster

di Giulio Rezzola

Un pizzico di sorpresa per il clima da muro contro muro che si respira in Transatlantico anche a mesi di distanza dalle elezioni, ma molta determinazione nel rivendicare l’importanza ed il ruolo dei deputati e dei senatori eletti all’estero. Franco Narducci, deputato dell’Unione e segretario generale uscente del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, in questa intervista esclusiva con il nostro portale traccia un primo bilancio della sua esperienza parlamentare. Rigetta le polemiche sul cosiddetto “mese corto” e chiede più attenzione alle strutture del parlamento. Annuncia l’intenzione di proporre la riforma del CGIE, che non lascerà, anche se si dimetterà dalla segreteria.

– Onorevole Narducci, cerchiamo di fare un bilancio dei primi mesi della legislatura. Si aspettava di più o di meno da questa esperienza?
“A livello personale, avendo avuto molti contatti con il parlamento nel mio ruolo di segretario generale del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, non ho avuto sorprese sgradevoli. La sorpresa di segno negativo è stata quello di questo scontro incredibile che c’è nel paese. Forse peccando d’ingenuità credevo che, dopo la campagna elettorale, in parlamento – pur nella durezza della contrapposizione – si arrivasse a uno stile di lavoro diverso. Invece ogni giorno in parlamento si vede una estrema chiusura e durezza fra i due poli. Trovo incomprensibile che, nel momento in cui si deve votare un provvedimento semplice, s’imbastisca una polemica, arrivando ben presto all’ostruzionismo. Tutto questo con argomentazioni che nulla hanno a che vedere con il merito del provvedimento in discussione. Non so se definire questo una mia inesperienza, quanto piuttosto esperienza di un differente modo di funzionamento del parlamento che è quello del paese dal quale provengo, la Svizzera”.

– Come valuta la vicenda del Ministero per gli Italiani nel Mondo, ed in particolare la soluzione adottata, di un viceministro nell’ambito del dicastero degli Esteri?
“Alla fine credo che la vicenda si sia chiusa in maniera positiva, anche se è durata decisamente troppo. Credo che le condizioni che si erano create, con il fondamentale contributo dato al centrosinistra dal voto degli Italiani all’Estero, richiedessero maggiore celerità nel sciogliere questo nodo. Alla fine, con la scelta del senatore Franco Danieli, si è data una soluzione positiva alla questione, perché ha l’esperienza necessaria per l’incarico. Certo, ora da questo viceministro ci si aspetta un impulso veramente forte. Mi auguro un raccordo sempre maggiore con noi, parlamentari eletti all’estero, tanto di maggioranza, quanto di minoranza. Servono momenti di consultazione più frequenti. Buona cosa è stato ristabilire il rapporto con il CGIE, che ha di nuovo un interlocutore politico, che era mancata con il governo precedente, perché con Tremaglia è mancato un raccordo solido”

– Che fine farà – a suo giudizio – il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, nel momento in cui in Parlamento siedono a pieno titolo 18 rappresentanti dell’emigrazione?
“E’ importante che il CGIE sia ripartito a pieno regime, con la presidenza, le commissioni continentali e presto anche con i componenti di nomina governativa, la cui scelta era stata annullata dal TAR. La sua importanza rimane, ma andrà di sicuro rivisto, alla luce di questa rappresentanza parlamentare: il Consiglio può essere l’anello di congiunzione fra i parlamentari dell’emigrazione e il vasto mondo degli Italiani all’Estero. In passato è stato un laboratorio portentoso di idee e di politiche da portare avanti, lo può essere anche in futuro. Serve, ovviamente un ripensamento dei compiti e della composizione. Forse 29 consiglieri di nomina governativa sono troppi, di fronte alla rappresentanza parlamentare”.

– Ma i parlamentari eletti all’estero dovrebbero far parte del CGIE?
“Ritengo che i consiglieri del CGIE che sono stati eletti deputati e senatori debbano abbandonare le cariche che rivestono, perché il consiglio deve avere una sua autonomia. Io, ad esempio, mi dimetterò dalla segreteria nella prossima riunione plenaria. Non ritengo però che i parlamentari debbano dare le dimissioni dal CGIE, almeno sino alla fine del mandato, perché queste presenze (dieci, fra centrodestra e centrosinistra) sono una ricchezza, una forza in più per l’organismo”.

– Ma alla Camera lei ha trovato uno spazio per gli Italiani all’estero, oppure no?
“Sul piano operativo, noi abbiamo inoltrato alla Presidenza della Camera la richiesta di una calendarizzazione diversa del lavori per consentirci di esercitare il nostro mandato in pieno, mantenendo anche i contatti con il collegio di elezione. Ci offende che si dica – come qualche giornale ha fatto in maniera scandalistica – che noi intendiamo fare più vacanze che lavorare. Noi proponevamo un metodo più intensivo, tre settimane piene di cinque giorni alla settimana, e la quarta settimana libera per avere la possibilità di rientrare anche per chi è eletto in terre lontane, come l’Australia o l’America. Il modello da noi proposto era ricalcato su quello del Parlamento Europeo, che nessuno accusa di non lavorare. C’è stata poi una difficoltà iniziale nell’affrontare i processi legislativi che riguardano gli Italiani all’estero. Ci ha di sicuro frenato la lunga fase elettiva. Ora che ci siamo ambientati nelle diverse commissioni, si tratta di mettere in moto dal punto di vista dell’iter legislativo le questioni principali che riguardano chi vive all’estero, come la riapertura dei termini per la cittadinanza, la disciplina degli Istituti Italiani di Cultura, la riforma della legge 153, i problemi dell’assistenza e della povertà. Su questo stiamo lavorando”.

– Come vi siete raccordati fra di voi parlamentari della circoscrizione Estero?
“Fra noi ci sono contatti cordiali, ma non abbiamo ancora istituzionalizzato una forma di raccordo di tutti e 18 gli eletti all’estero. Tutti però siamo convinti che questo collegamento ci debba essere, perché sono in gioco gli interessi di milioni di connazionali. Il primo incontro fra noi c’è stato a fine luglio, ora bisogna procedere”.

– Le realtà locali dalle quali ciascuno di voi proviene si sono accorte della vostra presenza in parlamento?
“Sì, se ne sono accorte e spesso ci scrivono molte amministrazioni locali. E ci sono anche molti inviti a partecipare a manifestazioni, che è stato difficile onorare nei primi mesi della legislatura, segnati anche dalla campagna elettorale sul referendum costituzionale di fine giugno.”

Luciano Ghelfi
www.lombardinelmondo.org

Lombardia: prende il via il progetto di autonomia regionale
La Giunta regionale della Lombardia ha dato il via ufficiale all’iniziativa per ottenere maggiori competenze e una maggiore autonomia rispetto allo Stato centrale. Su proposta del presidente Roberto Formigoni ha infatti approvato un Documento di indirizzo che contiene una prima indicazione delle materie su cui Regione Lombardia intende esercitare una maggiore responsabilità. Tra ambiente, energia, ricerca, grandi infrastrutture, aeroporti, sanità, istruzione, agricoltura e turismo spicca il capitolo dedicato ai rapporti internazionali e al commercio con l’estero.
Su questa base il Consiglio regionale, che si riunirà in apposita seduta il 24, 25 e 26 ottobre prossimi, elaborerà un testo che verrà sottoposto all’esame del Governo italiano prima di farlo approdare in Parlamento per la sua approvazione definitiva.

"Apprezzo molto la decisione assunta oggi dalla Giunta – precisa il Presidente del Consiglio regionale, Ettore Albertoni – di approvare un documento che avvia anche formalmente le procedure affinché la Lombardia possa avere precise forme di autonomia legislativa, esecutiva e fiscale.
L’iniziativa della Giunta è conseguente all’ampio dibattito consiliare avvenuto nel luglio scorso conclusosi con un primo documento di indirizzo che ha visto la convergenza tra la maggioranza federalista che governa la Lombardia, e che è autosufficiente, con una parte consistente e qualificata dell’opposizione.
Un ringraziamento particolare va quindi al Presidente della Regione, Roberto Formigoni, per la capacità di iniziativa e la collaborazione con il Consiglio Regionale che è, lo ribadisco, il Parlamento di tutti i lombardi. Mi auguro – conclude il Presidente del Parlamento regionale lombardo – che altrettanta concretezza e lealtà costituzionale ci sia da parte del Governo nazionale e del Parlamento e che tutti i consiglieri della Regione Lombardia siano consapevoli del loro ruolo costituente e dell’importanza dell’esempio che viene a tutto il Paese dalla nostra Regione".

"Il Documento – aveva detto il presidente Formigoni all’atto della sua presentazione – fissa il significato e l’orizzonte della nostra iniziativa che è contemporaneamente incentrata sulla attivazione degli articoli 116, 117 e 119 della Costituzione vigente: i primi stabiliscono che le singole Regioni possano vedersi attribuite competenze aggiuntive in materie concorrenti, il 119 introduce il federalismo fiscale. Si tratta – ha proseguito Formigoni – di un Documento aperto, perché le materie che noi chiediamo saranno definite attraverso un processo di consultazione su due fronti: da un lato le forze politiche del Consiglio regionale, dall’altro l’intera società lombarda. Parte qualcosa di estremamente innovativo. Il federalismo che noi vogliamo non è infatti un gioco di potere tra Enti, ma uno strumento a favore dei cittadini e delle realtà sociali".

Il capo delegazione della Lega Nord, il mantovano Davide Boni, ha salutato con favore l’inizio "di una lunga marcia" destinata a compiere un cambiamento "anche culturale dell’assetto dello Stato".
Per il milanese Massimo Corsaro (Alleanza nazionale), "ottenendo un più ampio spazio di intervento diretto, la Lombardia rafforzerà il ruolo di riferimento che le è riconosciuto nell’ambito socio-economico, a beneficio di tutte le articolazioni dello Stato e dell’interesse della collettività nazionale".
Soddisfazione è stata espressa anche dal pavese Gian Carlo Abelli (Forza Italia) per l’esito di un processo "iniziato da un confronto sereno in Consiglio regionale, con un atteggiamento responsabile di alcune forze dell’opposizione. Ora siamo al banco di prova del passaggio dalle buone intenzioni ai fatti concreti".
Segnali d’apertura arrivano dai maggiori gruppi di opposizione.
Per il gruppo della Margherita “si tratta di linee di indirizzo condivisibili – dice il capogruppo Guido Galperti, bresciano – per chiedere allo Stato più competenze legislative. Poi sarà necessario circostanziare le materie da cui vogliamo partire per avere più autonomia ma la discussione generale va fatta nel merito”.
Secondo i Democratici di sinistra “l’autonomia serve a garantire maggiore forza alle specificità del nostro territorio – dice il capogruppo Giuseppe Benigni, bergamasco – Per crescere e competere. Siamo convinti che una regione come la Lombardia possa legittimamente chiedere forme particolari di autonomia su materie particolari. La piattaforma presentata da Formigoni – conclude Benigni – può rappresentare una bozza di discussione interessante. In questa fase è importante il metodo”.
Critiche invece da parte di Rifondazione comunista, per la quale “se tale progetto venisse attuato – ha detto il capogruppo Mario Agostinelli – determinerebbe una differenza di poteri e risorse tra le Regioni che si tradurrebbe in disparità di diritti e di reddito per i cittadini. Per questa ragione – continua Agostinelli – risulta evidente come occorra opporsi con determinazione a un disegno che mira alla negazione di qualsiasi forma di uguaglianza e solidarietà” .

Giulio Rezzola
www.lombardinelmondo.org

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