2254 Arturo Parisi, teorico dell'Ulivo: «La nuova formazione dev'essere aperta ai cittadini.

20061008 10:49:00 webmaster

Primarie sul manifesto fondativo»

No ai partiti guardiani, partito nuovo e senza confini
Il ministro della difesa «Ho la fama di uno che vuole sciogliere i partiti? In verità ho sciolto solo i miei Democratici. Adesso l’alternativa è andare avanti o tornare indietro. Gli ulivisti si sa, vanno sempre avanti. De Mita invece…»

Matteo Bartocci (da il Manifesto)

Dodici anni fa il professor Arturo Parisi è entrato in politica con un obiettivo: il partito democratico. Un traguardo che forse oggi è più vicino. In tutto questo tempo l’hanno accusato di essere ossessionato dallo scioglimento dei partiti ma in realtà forse è stata più importante la sua parte construens di quella destruens: ispiratore dell’Ulivo a metà degli anni 90, delle primarie del 2005, del «partito nuovo» oggi.
Professor Parisi, finalmente un appuntamento «per» e non «contro» il partito democratico, ma le premesse della vigilia non erano certo delle migliori.
Il solo fatto che autorevoli esponenti politici che, alla caduta del Muro, all’inizio cioè della transizione italiana, militavano in tutte le formazioni del campo democratico, dal Pli al Pci, dalla Dc al Psi, si ritrovino per la prima volta a ragionare su come continuare in un partito nuovo il cammino intrapreso undici anni fa sotto il segno dell’Ulivo, solo questo è un fatto enorme, indipendentemente dalle preoccupazioni della vigilia e persino degli esiti immediati.
Da Orvieto dovrebbe prendere il via un manifesto fondativo del partito democratico. Lei ha immaginato anche le primarie per l’approvazione di quel manifesto. E’ davvero questa l’unica strada per una democrazia partecipata?
L’unica strada è sempre quella di ricominciare dai cittadini, raccogliendo la loro domanda di partecipare personalmente e direttamente. Ricominciare ricordando che la democrazia esiste perché esistono e sono esistiti i partiti, ma che essa può crescere solo se i partiti, e penso a quelli dell’Ulivo, riconoscono, come ci ha ricordato Salvatore Vassallo, che su 100 elettori solo 6 sono iscritti ad un partito, solo 3 hanno partecipato in un anno ad una iniziativa di partito e solo 1 è «riconducibile alla categoria del militante».
Non c’è il rischio che un forte partito democratico escluda dal centrosinistra una parte significativa di quelle forze ambientaliste, socialiste e comuniste che oggi sono fondamentali per il governo dell’Unione?
Guai se il Partito democratico nascesse come un partito segnato da confini chiusi. Alcuni partiti lo promuovono, ma l’apertura deve essere il suo carattere principale. Apertura a democratici di ogni provenienza partitica che vogliano partecipare alla sua vita. Apertura dentro la coalizione di governo verso chiunque preferisca continuare il suo cammino preservando la specificità delle sue ragioni e della sua identità.
Qui oggi ci sono solo Ds e Margherita. Lei immagina un processo aperto ad altre forze a partire dall’Italia dei valori?
Ds e Dl sono i promotori del processo e non possiamo che riconoscere il rischio e la generosità di chi, come nelle primarie, ha accettato di prendere l’iniziativa. Nessuno dei partiti promotori si pensa tuttavia come guardiano degli ingressi né come padrone della nuova casa. Il nuovo partito può dirsi un partito nuovo solo se riconosce come padroni i cittadini, i cittadini che prendono parte alla sua vita.
Ma la legge proporzionale non rischia di penalizzare il partito che verrà, e che comunque da solo certamente non garantirà la stabilità? L’Italia non è certo un paese che ama il bipartitismo.
Cosa ami l’Italia non lo so. Sono tuttavia convinto che la maggior parte degli italiani abbia scelto ormai la democrazia che governa e risolve i problemi e non solo quella che si limita a rappresentarli. Sono convinto che la maggioranza sia per una democrazia che consente ai cittadini di scegliere direttamente le soluzioni dei problemi, e non affida invece la loro scelta a delegati. E’ evidente che il superamento della legge elettorale, pensata per incoraggiare il frazionismo e impedire la governabilità è la prima domanda della quale dobbiamo farci carico, la prima promessa che abbiamo il dovere di mantenere.
La Margherita si avvicina al congresso con forti divisioni sulla prospettiva politica, sulla leadership e sulle regole. De Mita ha definito voi prodiani «una setta». Non c’è il rischio di tornare a Parma, al congresso costitutivo della Margherita, con i Democratici da una parte e i popolari dall’altra?
L’ alternativa tra andare e tornare indietro è una alternativa costitutiva di qualsiasi organismo vivente. A Parma si manifestò per prima volta. Ma non ha mai cessato di essere in questi anni lo spartiacque del confronto interno. Chi conosce gli ulivisti della Margherita sa da sempre quale sia su questo spartiacque la parte che hanno scelto. E, lo stesso sa chi conosce De Mita. Lo dico con rispetto.
Lei è stato duro con l’iniziativa dei popolari a Chianciano. Castagnetti l’ha accusata di voler sciogliere i Ds.
Non è la prima volta che qualcuno mi accusa di voler sciogliere qualcosa, La verità è che l’unico partito che ho sciolto, l’unico che si è sciolto, sono i Democratici. Oggi sappiamo che esso è stato solo il primo. Anche annunciare semplicemente l’intenzione di fondare un nuovo partito, come facciamo oggi ad Orvieto, significa infatti annunciare lo scioglimento o se più piace il superamento dei partiti esistenti. E questo non è un mio annuncio solitario. Se non ho visto male ad Orvieto c’è anche Castagnetti a discutere con noi su come fondare un nuovo partito che sia anche un partito nuovo.
I «rutelliani» hanno letto Chianciano come una minaccia alla leadership di Rutelli. Al prossimo congresso la presidenza è a rischio?
Quello che mi rattrista di più è quello di ridurre ogni dibattito politico ad organigramma. La discussione di oggi è sul partito democratico. Se non ricordo male Rutelli ne è stato finora uno dei maggiori sostenitori.
Lei è anche ministro della difesa. La pace sarà o non un valore fondativo del partito democratico? E non è riduttivo garantirla solo con le forze armate?
E chi è così pazzo da pensare che la pace possa essere preservata con le sole armi? Senza una cornice stabile di sicurezza, senza la certezza della legge e della sua difesa tuttavia nessuna comunità riuscirebbe a vivere e forse neppure a sopravvivere.

 

 

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