2253 Angius: «Così, non ci sto a fare il Partito democratico»

20061008 10:44:00 webmaster

Andrea Carugati (da l’Unità)

«Vedo che la road map del partito democratico è stata approvata dalla segreteria Ds: mi sembra dunque di capire che la decisione è stata presa, si va avanti. Nessuno vuole o può impedire che questo avvenga, ma non si può obbligare nessuno ad aderirvi, se non c´è un profondo convincimento personale. La politica per qualcuno è ancora così, una parte di sé. In un partito si può essere anche un´infima minoranza, ma per restarci si deve condividere il nucleo essenziale di idee che ne sono il fondamento, la ragion d´essere: io questo nucleo non lo vedo, forse per un mio difetto».

Le parole di Gavino Angius suonano come un preoccupato richiamo rispetto alle accelerazioni in corso sul partito democratico. E arrivano proprio alla vigilia del seminario di Orvieto che dovrebbe sancire l´avvio della fase costituente del nuovo soggetto. «Senza che gli interrogativi posti sulla nascita e sul carattere del partito democratico abbiano avuto risposte convincenti- spiega Angius-. Anzi, i problemi aumentano e gli interrogativi ricevono risposte sempre più elusive ed evasive, che rimandano a un futuro lontano». Angius domani sarà a Orvieto, ma solo da spettatore: «Ascolterò, se la proposta mi convincerà la praticherò, diversamente no. Ma mi pare che molto sia già stato predeterminato…».

Senatore Angius, il problema del Pd è un´identità che non si vede o c´è un´identità che lei non condivide?
Ci sono questioni di fondo e pregiudiziali: un partito è un insieme di pensieri, un movimento di donne e uomini, un´intelligenza collettiva. Per esserlo non serve un dogma, ma una razionalità critica sul mondo contemporaneo, una memoria condivisa del passato senza cui non ci può essere una visione comune del futuro. Su questo tema dell´identità siamo lontani da un´ipotesi di fusione di culture di cui si era parlato: stiamo discutendo di una sorta di convivenza che in realtà c´è già con l´Ulivo. Dunque la motivazione mi sembra abbastanza debole. Ci sono dei punti sui quali bisognerebbe scavare.

Quali?
Il primo è una comune visione critica del presente: è stato detto che il socialismo è morto, dunque i socialisti sarebbero degli zombi. Ma non si è detto niente delle crisi profonde che il capitalismo produce nelle società contemporanee. La sfida della modernità deve cominciare da qui: dalle domande che interrogano la politica sulla nozione stessa di libertà, sulla concezione della democrazia, sulla frontiera della bioetica, sulle più spaventose disuguaglianze mai conosciute nella storia. Io credo che quel valore e quell´aspirazione che è l´essenza stessa dell´idea socialista e che si chiama uguaglianza sia un valore da mantenere e declinare in modo nuovo. Questo per me è il futuro, non il passato. Zapatero, Blair, o Ségolène Royal: è difficile dire che siano zombi anche loro.

E tuttavia in Italia l´ipotesi di un robusto partito socialdemocratico non sembra praticabile. Di qui l´Ulivo e ora il partito democratico…
Non ho mai pensato che i popolari, eredi e interpreti nuovi di una tradizione politica importante, siano dei cani morti. Penso che abbiano cose da dire per il futuro, che con loro valga la pena lavorare insieme a un comune progetto per l´Italia: l´Ulivo era questo. Altra cosa, però, è pensare a un partito dove devono convivere vincitori della storia e reprobi: questo è un problema enorme. Si sarebbe dovuti partire dalla memoria condivisa del passato, condizione di una comune visione del futuro.

Fassino dice che senza timone riformista il governo è molto più debole.
Non sono d´accordo: il timone riformista c´è già, sostenere che si fa un partito per rendere più stabile il governo sarebbe un orizzonte piuttosto limitato. I problemi del governo non si risolvono nel rapporto Margherita-Ds, riguardano, semmai, la piena condivisione del progetto di rinnovamento del Paese da parte di tutta l´Unione, il pieno sostegno all´azione del premier. Questi mi sembrano i temi urgenti.

C´è però un percorso fatto di liste e gruppi unitari…
L´esperienza dei gruppi dell´Ulivo non sta andando benissimo: vedo un deficit di discussione e confronto, almeno al Senato. Il paradosso è che quando c´erano i gruppi di Ds e Margherita si discuteva assai di più: c´è un continuo timore a confrontarsi nel merito, ad avere opinioni diverse. Per fare un salto del genere come dar vita a un partito non basta constatare che siamo stati tanto tempo insieme. Non è una questione di poco conto sostenere, come è stato detto, che il riferimento principale di valori del Pd deve essere quello della cultura politica cattolica.

Teme di morire democristiano?
No, penso però che sia un un errore rimuovere le questioni aperte. Come i caratteri di un grande partito: io lo vorrei diffuso, popolare, di massa, invece ho letto da parte di Parisi delle considerazioni sconcertanti sulle modalità attraverso cui dovrebbe nascere il nuovo partito, che ritengo poco democratiche.

Si riferisce alla proposta di adesioni individuali? Nelle parole di Parisi sembra cogliersi la preoccupazione che il Pd nasca come somma di oligarchie e nomenklature. Lei cosa ne pensa?
Di cosa stiamo parlando? Parisi non fa parte di una nomenklatura? Ci sono forze politiche che hanno consenso, persone elette, alcune centinaia di migliaia di iscritti che fanno politica nelle sezioni. Cosa sono automi? Gente comandata a bacchetta? O loro non sono la società civile?

Forse si parlava della necessità di aprire le porte al popolo delle primarie, agli ulivisti senza partito.
Il popolo delle primarie è un altro artificio retorico: erano persone di tutto il centrosinistra, non solo dell´Ulivo, che volevano scegliere il candidato da opporre a Silvio Berlusconi. Dire che quello è il popolo del Pd non corrisponde ai fatti.

C´è il rischio di una mera spartizione dei posti di comando tra Ds e Margherita?
Il problema è che si discute troppo di contenitori e assai poco di contenuti: in questo vedo il segno di una crisi della politica che non si alimenta più di esercizio critico, di un aperto confronto tra idee.

Vede un rischio di eterodirezione per il Pd?
C´è una crisi dell´autonomia della politica, che soffre di condizionamenti veri, pesanti. Solo in Italia c´è questo perverso intreccio tra banche, industrie e giornali. Questo è un punto politico di primaria grandezza per la nostra democrazia.

Vede nelle parole di Parisi sulle adesioni individuali un replay del 2000, quando vi propose di sciogliere i Ds alla vigilia del congresso di Torino?
La domanda va fatta a lui. È evidente che Parisi esprime un´opinione precisa sui caratteri del nuovo partito e sulle sue modalità di formazione, che è molto diversa da quella che avrei io. Su questo condivido le parole di Castagnetti: se si chiedono nuove abiure si devastano gli alleati.

Si intravede un parallelismo con i popolari di Chianciano. Vi accuseranno di eccesso di nostalgie…
Il problema non è questo, non ne soffro affatto. Il punto è che non vorrei essere considerato un tollerato, l´espressione di un pensiero morto… E capisco l´orgoglio identitario e la voglia di dare un contributo per il futuro da parte dei cattolici democratici: un´ambizione del genere può averla anche una persona che ha militato nella sinistra e nel Pci di Berlinguer, che fa parte di questo campo da quando era ragazzo e vorrebbe restarci, anche nella terza età, come esponente del riformismo socialista.

Immaginiamo che il Pd fermi il suo cammino. Che seguito darebbe alle liste e ai gruppi unitari?
L´esperienza in corso, i gruppi unitari, non è una cosa da poco e ha bisogno di essere consolidata. Non capisco l´assillo, la fretta. Soprattutto quando in gioco c´è l´appartenenza al socialismo europeo, che è parte fondamentale della nostra identità.

Non crede che, anche tra i militanti ds, questa questione dei gruppi europei abbia un po´ stancato?
Ribalto la domanda: cosa ci diranno quando gli faremo sapere e capiranno che il Pd non può appartenere al socialismo europeo?

Vede il rischio di una disaffezione?
Sì, di un abbandono.

 

 

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