2277 BRASILE: Lotta dura per la coltura

20061010 18:04:00 webmaster

David Lifodi (da Musibrasil)

Mobilitazione contro la multinazionale Aracruz, che in alcuni stati vuole impadronirsi di terre occupate da indios

Se il deserto verde continua a crescere, presto non ci sarà abbastanza acqua da bere e terra per produrre cibo. Non riusciamo davvero a capire come un governo che voglia liberare il paese dalla fame possa sostenere un deserto verde invece di investire nella riforma agraria e nell’agricoltura contadina. Lo sostenevano alcuni mesi fa le donne di Via Campesina riferendosi alla cartiera multinazionale Aracruz Cellulosa (a forte partecipazione di capitale norvegese), che intende cacciare campesinos e popolazioni indigene dalle loro terre e sfruttarle per la monocoltura dell’eucalipto.

Dopo avere danneggiato alcuni laboratori della Aracruz e avere bruciato le piantagioni di eucalipto per indurla a lasciare gli stati di Spirito Santo, Minas Gerais, Bahia e Rio Grande do Sul con la conseguente repressione delle istituzioni nei confronti delle donne contadine responsabili di queste azioni, la multinazionale ci riprova, questa volta cercando di impadronirsi delle terre da sempre abitate dalle comunità indigene guarani e
tupiniquim.

Dom Thomas Balduino, che ha subito appoggiato la mobilitazione di Via Campesina e dei popoli indigeni insieme alla Commissione pastorale della terra, spiega in modo molto chiaro di quali appoggi e risorse finanziarie dispone l’Aracruz in un passaggio di un suo articolo pubblicato sul sito zmag.org: «L’attività della multinazionale è alimentata da generosi finanziamenti pubblici. Ecco i dati: nel 2001, con l`ex presidente del Brasile Fernando Enrique Cardoso, l`Aracruz ha ricevuto dalla Bndes (Banca nazionale di sviluppo economico e sociale, ndr) 666 milioni di dollari per la sua terza fabbrica. Nello stesso anno il governo ha dato 600 milioni all`agricoltura familiare, dell`intero Brasile. Ora con Lula, la stessa impresa ha ricevuto dalla Bndes 318 milioni di dollari per la costruzione di una fabbrica nello stato di Bahia e l`approvazione della Bndes della concessione di 297 milioni per la modernizzazione della sua fabbrica nel Rio Grande del Sud. Potrà restituire il debito a partire da 21 mesi dopo la concessione e pagherà un interesse del 2 per cento all`anno. Mentre gli interessi riscossi dal governo dagli agricoltori familiari sono dell`8,75 per cento».

La stessa Aracruz inoltre si è resa responsabile anche del devastante impatto ambientale prodotto sul fiume San Francesco, a cui affluivano circa 1500 ruscelli adesso prosciugati in seguito alle coltivazioni dell’eucalipto. Proprio il fiume San Francesco fin dal 2005 era stato oggetto di una controversia tra indigeni e lo stesso Balduino da un lato e il governo di Inácio Lula dall’altro, che intendeva deviare il corso del fiume proprio per compiacere la multinazionale norvegese e contro la quale avevano preso posizione l`ambientalista Apolo Heringer Lisboa (secondo cui la deviazione avrebbe danneggiato ulteriormente il San Francesco, che adesso rifornisce di acqua numerose città e svolge un ruolo fondamentale sia per l`agricoltura che per le centrali idroelettriche) e il vescovo Luiz Flavio Cappio, che aveva addirittura dato vita ad uno sciopero della fame.

La risposta delle comunità indigene guarani e tupiniquim nei confronti della Aracruz è stata comunque immediata, nonostante le intimidazioni e le violenze di cui erano già state oggetto le donne di Via Campesina: lo scorso marzo furono costrette ad aprire la loro sede della Asociacion de mujeres trabajadoras rurales alla polizia che le aveva poi rinchiuse dentro le stanze dell’associazione e interrogate con metodi sommari e illegali, oltre ad essersi impadroniti di computer, documenti e tutto il materiale prodotto dalle donne contadine. Le motivazioni della cartiera per sgomberare gli indigeni dalle loro terre appaiono talmente pretestuose che la stessa Funai (Fundação nacional do indio, ndr) si è pronunciata a favore della demarcazione delle terre di guarani e tupiniquim, un’area di circa undicimila ettari «invasa e occupata dalla multinazionale della cellulosa fin dagli anni 60», sollecitando con fermezza il ministero di Giustizia a compiere i passi necessari per attribuire definitivamente la terra alle comunità «e mettere così fine ad una controversia che si protrae da 35 anni».

Se il ministro di Giustizia Márcio Thomaz Bastos concedesse l’immediata demarcazione del territorio tra l’altro non farebbe che mettere in pratica quel diritto costituzionale dell’attribuzione di terre ai popoli indigeni sancito da un decreto ministeriale che risale addirittura al 6 marzo 1998, quando era ministro Iris Resende. Di fronte alla consueta campagna di stampa diffamatoria condotta nei confronti degli indigeni tramite cui si definisce la Aracruz «un’impresa rispettabile che ha portato solo benefici al Brasile», guarani e tupiniquim hanno scritto una lettera aperta alla popolazione in cui smontano punto per punto i supposti diritti della multinazionale sulle loro terre. La strategia adottata dall`azienda si è basata soprattutto sul tentativo di diffamare in ogni modo i popoli indigeni nel tentativo di mettere contro di loro il resto della popolazione e la società civile in generale. «Questa impresa», spiegano guarani e tupiniquim, «non si è mai fatta alcuno scrupolo quando si è trattato di perseguire i suoi interessi, anche a costo di distruggere l’ecosistema da sempre abitato dai popoli indigeni, cercando inoltre di cooptare i sindacati, manipolando governi e organizzazioni non governative e riuscendo così ad ottenere l’appoggio della grande stampa».

Le affermazioni di Aracruz, secondo cui nei terreni dove ha imposto la monocoltura a eucalipto non esisteva alcun villaggio indigeno, appaiono completamente false. Non solo queste terre erano già abitate dagli indigeni fin dal XVI secolo, come hanno dimostrato i leader di tupiniquim e guarani con fonti storiche alla mano, ma addirittura da numerose tribù, tra cui Temimimò, Goitacaz e Parnaubi. «Abitiamo in questi luoghi da oltre 600 anni, stiamo resistendo da allora e continuiamo a vedere distrutti i nostri villaggi», hanno ribattuto le popolazioni indios citando la Costituzione federale del 1988 che, all’articolo 231, riconosce «i diritti originari sulle terre che tradizionalmente occupano».

Di fronte alle pretese di Aracruz, che ha sempre rifiutato di riconoscere le comunità indigene guadagnandosi così anche l’accusa di razzismo, guarani e tupiniquim si sono appellati anche all’articolo 3 dello statuto dell’Oit (Organização nternacional do trabalho) in cui si afferma che «i popoli indigeni e tribali dovranno godere pienamente dei diritti umani e delle libertà fondamentali senza alcuna discriminazione. Non dovrà essere messa in pratica alcuna forma di coercizione che violi i loro diritti». Infine, a prova dell’evidenza storica con cui queste terre sono sempre state abitate dai popoli indigeni, guarani e tupiniquim concludono invitando ironicamente la popolazione e i dirigenti di Aracruz a compiere una ricerca sulla vera storia del loro popolo: «La cartiera arrivò nel 1967, noi siamo qui da 600 anni. A chi spettano queste terre?».

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