2335 La lingua italiana in Uruguay: lettera aperta al Ministro degli Esteri D'Alema

20061021 09:51:00 lagenteditalia

Ministro, intervenga subito con Tabarè!
di Federico Guiglia

Caro ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, le scrivo questa lettera aperta con molto imbarazzo ma un po’ di speranza; e anche quando la speranza è legata a un filo, come in questo caso, non c’è imbarazzo che possa o debba fermarla….

Ministro, intervenga

subito con Tabarè!

di Federico Guiglia

Caro ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, le scrivo questa lettera aperta con molto imbarazzo ma un po’ di speranza; e anche quando la speranza è legata a un filo, come in questo caso, non c’è imbarazzo che possa o debba fermarla.

Il mio disagio è presto detto, è il dover richiamare la sua attenzione su un tema al quale avrebbero dovuto richiamarla da tempo i suoi collaboratori alla Farnesina (spero che l’abbiano fatto). Mi riferisco alla quasi decisione presa dalle autorità scolastiche della Repubblica Orientale dell’Uruguay d’abolire lo studio obbligatorio della lingua italiana nel campo delle scienze umanistiche e giuridiche. Si tratta di un biennio preparatorio per l’Università, si tratta di una scelta formativa unica al mondo, e che in Uruguay ormai gode di una tradizione apprezzata e popolare, posto che dura da oltre sessant’anni.

Non è questa la sede per spiegare le motivazioni, sbagliate ancorché legittime, con le quali le autorità uruguaiane ritengono -mi correggo: riterrebbero- di poter fare a meno della lingua di Dante in un Paese di cui il quaranta per cento dei cittadini discende da italiani. Compreso, peraltro, chi le scrive, e che ha il privilegio di poter amare la sua patria italiana con la stessa intensità dedicata alla sua terra uruguaiana d’origine.

Vado però al sodo. Malgrado la mobilitazione (tardiva) degli insegnanti uruguaiani e italiani, degli studenti uruguaiani d’italiano e della diplomazia italiana a Montevideo, pare che l’istituzione competente non intenda recedere dall’atto insieme triste e crudele, perché finirebbe per punire soprattutto il futuro europeo degli uruguaiani, e non solo la loro memoria latino-americana; alla cui fonte, come si sa, sgorgano le culture spagnola e italiana.

Ministro, siamo ormai al di là della sfera culturale e didattica, ed è un peccato, perché non c’è ragione pedagogica al mondo per poter decretare la non importanza della lingua italiana; sarebbe stato molto facile da chiarirlo, se la politica italiana non avesse dormito per troppo tempo in Sud America. Ma la parola adesso è passata alla politica. E lei rappresenta il mio Paese.

E’ dunque necessario, anzi, urgente che il ministro degli Esteri dell’Italia alzi la cornetta del telefono -scusi la petulanza, ma per l’italiano questo e altro- e chieda di Tabaré Vázquez, il presidente della Repubblica dell’Uruguay. Tabaré non farà fatica a comprendere le buone ragioni dell’Italia nell’interesse dell’Uruguay.

Temo che finora sia mancata la possibilità di approfondire la questione con l’interlocutore uruguaiano; ché se ciò fosse davvero avvenuto, oggi non ci sarebbe alcun bisogno di sollecitare un intervento al novantesimo, prima che la partita finisca e l’arbitro mandi la lingua italiana negli spogliatoi per sempre. Ma non è mai troppo tardi per parlarsi e per spiegarsi. E poi l’Italia è la Nazione del dialogo per eccellenza, come può non difendere la sua lingua tanto amata nel mondo?

Ministro, lei può salvare gli uruguaiani dal farsi del male da soli, dal farselo involontariamente e in perfetta buona fede, sia ben chiaro: non ci sono “cattivi” in questa pur amara storia. Ma il rischio dello “harakiri” non attenua, semmai rafforza il dovere dell’Italia di farsi sentire con degli interlocutori sempre ben disposti, oltretutto, ad ascoltarla. Tabaré può risolvere un problema che non doveva neppure nascere.

Sono sicuro che lei avrà compreso la posta in gioco, e che saprà far valere il buon nome dell’Italia nell’interesse dell’intera America latina, che a Montevideo ha uno dei suoi più importanti punti di riferimento.

 

 

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