2394 Hanan Awwad, perché non muoiano anche le parole

20061104 11:21:00 webmaster

Luigina D’Emilio (da l’Unità)

Le parole non si uccidono come gli scrittori diceva Ghannan Kanafani, uno dei più noti autori palestinesi, prima di morire in un attentato. A tenere viva la sua voce e quella di tanti altri uomini che, con la forza delle parole, si battono per i diritti della Palestina anche una scrittrice, Hanan Awwad, autrice di numerosi saggi e libri che affrontano il rapporto tra i paesi in guerra e i propri scrittori. Hanan è in Italia per una serie di incontri per far conoscere la dura realtà della Palestina. Giovedì era a Roma, alla Casa internazionale delle donne.

Hanan, che da anni è impegnata nella promozione del dialogo per una giusta soluzione del conflitto israelo-palestinese, continua a inviare segnali di pace per sé e per il suo popolo e lo fa ancora una volta con le parole racchiuse nel libro Resistance Literature, letteratura per la resistenza, una raccolta di voci di scrittrici e scrittori della Palestina.

L´autrice riporta testimonianze e citazioni di poeti, ma anche di donne che il conflitto lo hanno vissuto e continuano a viverlo sulla propria pelle. Dal testo emerge un nuovo modo di fare scrittura e ripercorre lo scontro fra israeliani e palestinesi, quando, durante la prima Intifada del 1987 le poesie e i versi si distribuivano sui volantini.

«Ora le cose sono cambiate – spiega Hanan Awwad – abbiamo visto troppa gente morire, un imperialismo troppo pesante che non poteva lasciare nessuno indifferente, la voce degli scrittori si è alzata contro le vessazioni per dire no a ciò che opprime la nostra gente. La domanda che gli scrittori nei paesi in conflitto si fanno sempre è: si può vivere facendo il proprio lavoro in paesi coinvolti in conflitti?»

La risposta di Hanan è che lo si può fare inventando una scrittura militante, una scrittura che diventa parte attiva dei conflitti con il rischio, sempre presente, di pagare con la vita la scelta di parlare senza censura e senza filtri. «Eppure più combatto per te, terra, e più ti amo» scrive un poeta algerino vittima della guerra.

Tra gli autori palestinesi c´è chi il conflitto lo ha immaginato, chi lo ha semplicemente descritto nei suoi orrori e chi ha sperato in un futuro che forse non verrà mai scritto, ma tutti hanno vissuto almeno una volta l´esperienza della prigione. «Per gli scrittori in Palestina è quasi la normalità – dice Hanan – e tanti devono ritenersi fortunati se hanno ancora la vita».

Parla chiaro Hanan: per far conoscere al mondo la verità sulla propria condizione la si deve raccontare non si può e non si deve permettere che i conflitti annullino il contatto con la propria terra d´origine. E questo è accaduto in Palestina dove nasce un rapporto stretto tra l´autore e la propria terra, la si ama, la si vive e per essa si è pronti a morire. Per raccontarla in ogni sua particolarità nella sua bellezza, nella sua forza e nella sua fragilità.

Merito della letteratura araba, scrive Hanan è anche aver tracciato l´identità di un popolo, di uomini e di donne che credono in valori schiacciati dall´odio e dalla guerra. Quando i conflitti diventano parte quotidiana della tua esistenza si perdono di vista le cose importanti, si pensa solo a sopravvivere, ma gli uomini devono poter credere in una esistenza più giusta e la scrittura è un mezzo importante per non dimenticare, ma anche per aiutare a sognare.

Finché avremo voce, promette, parleremo al mondo anche se spesso è incapace di ascoltare.

www.unita.it

 

 

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