2470 G8 di GENOVA: Placanica, non ho ucciso io Carlo Giuliani

20061130 10:18:00 webmaster

Pubblichiamo il testo integrale dell’intervista a Mario Placanica che il quotidiano CalabriaOra ha pubblicato oggi. Per la prima volta, il carabiniere catanzarese che era sulla jeep defender in piazza Alimonda, nel corso dei drammatici giorni del G8 genovese del 2001, afferma esplicitamente di essere "un capro espiatorio usato per coprire qualcuno" e di non avere ucciso lui Carlo Giuliani.
Alcuni particolari sono raccapriccianti, come le reazioni entusiaste dei colleghi di Placanica dopo la morte di Carlo. E poi Placanica si pone queste domande: "Perché alcuni militari hanno ‘lavorato’ sul corpo di Giuliani?
Perché gli hanno fracassato la testa con una pietra?". E poi, sempre per la prima volta, ricostruisce l’incidente automobilistico che ha avuto qualche anno fa. "Lo sterzo è come se si fosse bloccato, non riuscivo più a sterzare", afferma.

In questi anni, Placanica, dopo essere stato assolto
> dall’accusa di omicidio [secondo i giudici, aveva sparato "per legittima
> difesa"] è stato congedato per problemi comportamentali dall’Arma, ha
> cercato di candidarsi alle amministrative con Alleanza nazionale [che era
> il
> partito a cui era iscritto: poi si è candidato con una lista civica].
> Le rivelazioni di Placanica confermano la necessità di fare chiarezza su
> ciò
> che è avvenuto a Genova nel luglio 2001: sulla catena di comando delle
> forze
> dell’ordine, sulle responsabilità dei politici che stavano nella sala
> operativa, sugli abusi commessi sulle centinaia di migliaia di cittadini
> che
> manifestavano liberamente. E sulla morte di Carlo Giuliani, un ragazzo.
> Mario Placanica rompe il silenzio e racconta la sua verità. Il G8 visto da
> un’altra "inquadratura". Anche questa purtroppo incompleta. Solo un
> tassello
> in più nel quadro a tinte fosche di quel luglio genovese. Sono passati
> cinque anni e quattro mesi dal 20 luglio del 2001, dalla morte di Carlo
> Giuliani. Mario Placanica, il carabiniere che sparò a piazza Alimonda, si
> è
> sposato, è diventato padre e non è più carabiniere. L’Arma lo ha ritenuto
> non idoneo, congedato per "disturbo dell’adattamento con ansia ed atipie
> del
> pensiero". Lui però non ci sta. Si è sottoposto ad altre visite che lo
> hanno
> dichiarato sano, ha fatto ricorso al Tar e ora ha deciso di non tacere
> più.
> Dice di non aver più paura della verità. Non ha una versione alternativa
> su
> quei terribili momenti, ma di una cosa appare certo: non è stato lui a
> uccidere il giovane manifestante.
> Quando sei arrivato a Genova?
> Siamo arrivati il 17 luglio
> A quale reparto eri stato assegnato?
> Ero con il dodicesimo battaglione Sicilia
> Da quanto tempo eri nel battaglione?
> Da dicembre del 2000
> Avevi già svolto compiti di controllo dell’ordine pubblico?
> Sì, un banale servizio d’ordine allo stadio di Palermo
> Arrivato a Genova che clima hai trovato?
> Eravamo stanchi. Le operazioni di sistemazione sono state lunghe e
> snervanti.
> Tra i colleghi vi confrontavate?
> C’era una tensione indescrivibile
> Gli ufficiali tentavano di tranquillizzarvi?
> I superiori gridavano sempre
> Che ordini vi sono stati impartiti per le giornate del G8?
> Ci dicevano che le situazioni sarebbero state un po’ particolari, non come
> semplice ordine pubblico ma qualcosa di più
> In che senso?
> Ci dicevano di stare attenti, ci raccontavano che ci avrebbero tirato le
> sacche di sangue infetto. Ci dicevano di attacchi terroristici. La
> sensazione era come se dovessimo andare in guerra
> Si è detto che per tenersi carichi alcuni fecero uso di droga.
> Che io sappia no. Certo che c’era un’agitazione fuori dalla norma. Può
> darsi
> anche questo. Io non ne ho mai fatto uso.
> Quella mattina del 20 luglio dove sei stato dislocato?
> Ci hanno posizionato vicino la "Fiera" insieme ad alcuni poliziotti. Ci
> sono
> state delle cariche sul lungomare, ma solo di alleggerimento. Abbiamo
> partecipato alle cariche in cui venne dato alle fiamme il blindato dei
> carabinieri. In quella situazione mi è stato affidato il compito di
> sparare
> i lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Però dopo un po’ il maggiore
> Cappello mi ha preso il lanciagranate perché diceva che non ero capace. Io
> stavo sparando a "parabola", così come mi è stato insegnato, e invece lui
> ha
> iniziato a sparare ad altezza d’uomo, colpendo in faccia le persone. Cose
> allucinanti.
> Quando hai iniziato a sentirti male?
> Io dovevo togliere il nastro ai lacrimogeni e passarli al maggiore
> Cappello.
> Quando si toglie il nastro fuoriesce un po’ di gas e quindi ho iniziato a
> sentirmi male. Così sono stato accompagnato in una via che conduce a
> piazza
> Alimonda. Sulla strada ho visto di tutto, ho visto picchiare a sangue dal
> colonnello Truglio e dal maggiore Cappello alcune persone con la macchina
> fotografica. Ho iniziato a vomitare e mi hanno fatto salire sulla
> camionetta.
> Chi eravate sul Defender?
> C’eravamo io, Cavataio, carabiniere in ferma biennale e, Raffone, un
> ausiliario seduto dietro insieme a me
> Nessuno che avesse esperienza?
> Sì, eravamo solo noi
> Accanto avevate un’altra camionetta?
> Si, c’era un altro defender con a bordo il colonnello Truglio. Il
> responsabile del nostro mezzo era il maggiore Cappello
> C’erano altri colleghi?
> C’era il plotone dei carabinieri davanti a noi che ci faceva da scudo.
> Dalle immagini si vede partire la carica dei manifestanti, tu cosa hai
> visto?
> I carabinieri sono scappati, ci hanno superato, noi abbiamo fatto
> retromarcia e siamo rimasti incastrati contro un cassonetto della
> spazzatura.
> Cosa ti ricordi di quei momenti?
> Solo un rumore infernale.
> Quando vi siete incagliati cosa hai pensato?
> Ci hanno lasciato soli, ci hanno abbandonato. Potevano intervenire perché
> c’erano i carabinieri e anche gli agenti della polizia. Potevano fare una
> carica per disperdere i manifestanti e invece non hanno fatto niente. Quel
> momento è durato una vita.
> Quando hai estratto la pistola?
> Quando mi sono visto il sangue sulle mani. Ero stato colpito alla testa.
> Ho
> tolto la pistola e ho caricato
> Cosa vedevi davanti a te?
> Non vedevo praticamente nulla, ero quasi steso, solo Raffone era un po’
> più
> alzato. Mi è arrivato l’estintore sullo stinco, scalciando con i piedi
> l’ho
> ributtato giù. Loro continuavano con questo lancio di oggetti, io ho
> gridato
> che avrei sparato. Poi ho sparato in aria.
> Sei convinto di aver sparato in aria?
> Sono convinto di aver sparato in aria, non ho preso mira, è la verita
> Quanti colpi hai sparato?
> Due colpi, tutti e due in aria
> Eri seduto?
> Ero steso, con il braccio alzato verso l’alto, all’interno del defender.
> La
> mano era sopra la ruota di scorta del Defender.
> Hai sentito solo i tuoi due colpi?
> Sì. Dopo i due spari sul defender è salito un altro carabiniere che si
> chiama Rando di Messina e ha messo lo scudo sul vetro che avevano rotto.
> Davanti è salito un maresciallo dei Tuscania di cui non ricordo il nome. E
> siamo partiti. Eravamo diretti all’ospedale ma abbiamo dovuto allungare il
> percorso perché sulla strada c’erano i manifestanti, quelli di Agnoletto,
> che non volevano farci passare. Al pronto soccorso mi hanno ricoverato
> perché avevo perso molto sangue
> Non vi siete accorti di quello che era successo a piazza Alimonda?
> No. Ho saputo della morte di Carlo Giuliani alle 23 quando sono venuti in
> ospedale i carabinieri con un maggiore. Però non mi hanno comunicato la
> notizia in ospedale. Mi hanno fatto dimettere, mi hanno fatto firmare la
> cartella e mi hanno portato in caserma. Lì mi hanno detto che avevo ucciso
> un manifestante.
> Come ti sei sentito in quel momento?
> Mi è caduto il mondo addosso. Io sapevo di aver sparato però ero convinto
> anche di aver sparato in aria. Mi hanno fatto l’interrogatorio, mi hanno
> messo sotto pressione e io ho risposto quello che potevo rispondere. Hanno
> cercato di farmi dire qualcosa in più, ma io l’ho detto che non avevo
> sparato direttamente.
> Quanto è durato l’interrogatorio?
> Un’ora circa, intorno a mezzanotte
> E dopo cosa è successo?
> Mi hanno riportato alla fiera di Genova. Mi hanno fatto dare sette giorni
> di
> prognosi
> Che ambiente hai trovato quando sei rientrato in caserma?
> Mi chiamavano il killer. I colleghi hanno fatto festa, mi hanno regalato
> un
> basco dei Tuscania, "benvenuto tra gli assassini" mi hanno detto.
> I colleghi erano contenti di quello che era capitato?
> Si, erano contenti. Dicevano morte sua vita mia, cantavano canzoni. Hanno
> fatto una canzone su Carlo Giuliani
> Tu come ti sentivi?
> Io ero assente, non volevo stare con nessuno, mi sentivo troppo male.
> Dopo tre giorni ti hanno mandato a Palermo
> Ero felice di lasciare quel posto. Però appena arrivato in Sicilia sceso
> dall’autobus il colonnello mi ha preso a schiaffi
> Perché?
> Forse per scrollarmi un po’, ma non lo so
> A Palermo come ti hanno accolto i colleghi?
> Tutti mi chiedevano, si informavano. Non ti dico che pressione psicologica
> Ma a casa quando sei tornato?
> Dopo una settimana che ero a Palermo mi hanno dato trenta giorni di
> convalescenza. Però mi hanno mandato nella caserma di Sellia e i miei
> genitori non potevano entrare. Mio padre tra l’altro era ricoverato in
> ospedale a Catanzaro. Io uscivo di nascosto, ma a Catanzaro non sono
> riuscito a salire.
> Che idea ti sei fatto, era per proteggerti o perché non volevano che
> parlassi all’esterno?
> Non lo so se mi proteggevano o avevano paura di qualcosa. Anche perché
> subito in quei giorni mi hanno messo gli psicologi per farmi controllare.
> Ma
> io che malattia avevo.
> Certo che accettare di aver ucciso un ragazzo.
> Ma io non ero sicuro di averlo ucciso. Mi venivano i dubbi perché se io ho
> sparato in aria come fanno a dire che l’ho colpito in faccia, che sono un
> cecchino
> Avevi sparato prima di quel giorno?
> Tre volte al poligono e non ti dico i risultati, non ne ho preso uno. Non
> ero buono con la pistola anche per questo mi hanno mandato al battaglione.
> Alle stazioni mandano quelli più bravi, gli altri vanno nei battaglioni.
> Dopo Sellia ritorni in Sicilia.
> Lì sono iniziati i problemi. Perché tutte quelle domande erano uno stress
> incredibile. Insomma ho iniziato a marcare visita. Mi hanno trasferito a
> Catanzaro al reparto comando, poi sono andato a un corso integrativo in
> Sardegna. Ma anche lì continuavano le domande e non ho neanche finito il
> corso. Sono tornato in Calabria e per due anni ho iniziato a lavorare a
> singhiozzo.
> In questo periodo ti capita un altro episodio che ha fatto discutere. Ti
> salvi quasi miracolosamente da un incidente stradale.
> Ho perso improvvisamente il controllo del veicolo. Lo sterzo è come se si
> fosse bloccato, non riuscivo più a sterzare.
> Dopo questo periodo difficile però inizi a sentirti meglio e il 22
> novembre
> 2004 ti sottoponi a una visita psichiatrica all’ospedale militare per
> tornare in servizio
> Era parecchio che non lavoravo, mi sentivo di voler riprendere, ero più
> sereno, mi ero appena fidanzato. Il dottore Pagnotta dell’ospedale
> militare
> dopo avermi esaminato mi dice che ero idoneo. Porto il certificato in
> commissione medica e invece i tre ufficiali della commissione non ne
> tengono
> conto e mi dicono che mi fanno fare un’altra visita.
> Perché un’altra visita?
> Non me lo hanno detto. Mi hanno mandato dalla dottoressa Vittorina
> Palazzo.
> Secondo me avevano già deciso di congedarmi. Con la dottoressa ci eravamo
> già visti a Villa Bianca. Io ero andato perché prendevo delle gocce per
> dormire. Lei invece, senza visitarmi, mi ha fatto prendere l’Aldol.
> Dormivo
> venti ore al giorno, mi ha rovinato, non me lo doveva dare.
> Fai quest’altra visita il 13 dicembre del 2004 e cosa succede?
> La dottoressa mi ha dichiarato non idoneo. Mi è caduto il mondo addosso
> Potevi però chiedere di essere destinato agli uffici?
> Me lo hanno consigliato loro di fare domanda e io l’ho fatto. Non l’hanno
> accolta perché non ero inquadrato nella forza dell’Arma, perché ero ancora
> in ferma volontaria. I quattro anni però erano già scaduti, ma non ne
> hanno
> tenuto conto.
> Hai presentato ricorso al Tar?
> Ma dicono che è innamissibile il mio rientro, hanno prodotto la mia
> domanda
> per i ruoli civili sostenendo che io ero già consapevole di voler andare
> in
> ufficio, quando invece sono stati loro a consigliarmi di farla. E non
> hanno
> tenuto conto della mia causa di servizio, a me spetta il ruolo civile.
> Perché non ti vogliono più?
> Sono un capro espiatorio usato per coprire qualcuno. Le porte sono chiuse
> per Placanica
> A logica però sarebbe stato più conveniente tenerti buono e non lasciarti
> solo?
> Però se vengo congedato per problemi psichici chi mi crede! Per anni mi
> hanno sottoposto a uno stress psichico insopportabile. Mi hanno detto che
> i
> no global mi avrebbero ammazzato. Sono arrivati a dirmi che avrebbero
> ucciso
> mia moglie quando era incinta. Con il congedo che mi hanno dato chi mi
> darà
> un lavoro?
> Eppure c’è una terza perizia.
> Ho chiesto una perizia di parte effettuata da Mauro Notarangelo che ha
> certificato che io sto bene. Sono riuscito a ripulirmi da tutti i farmaci
> che mi hanno fatto prendere
> A distanza di cinque anni quale è il tuo pensiero su questa vicenda?
> Credo che mi sono trovato in un ingranaggio più grande di me. Che ero nel
> posto sbagliato, non si potevano mandare ragazzi inesperti e armati in
> quella situazione
> Secondo te si è detta tutta la verità sul G8 di Genova?
> No.
> Cosa è rimasto all’oscuro?
> Ci sono troppe cose che non sono chiare.
> A cosa ti riferisci?
> A quello che è successo dopo a piazza Alimonda. Perché alcuni militari
> hanno
> "lavorato" sul corpo di Giuliani? Perché gli hanno fracassato la testa con
> una pietra?
> Hai posto queste domande ai tuoi superiori?
> Una volta ho telefonato al maggiore Cappello. Lui mi ha detto che non
> dovevo
> avere dubbi. Però lui mi disse di aver saputo quanto successo la sera alle
> 20 e invece nelle immagini che ho rivisto si vede lui accanto al corpo di
> Giuliani. Io non ho sentito altri spari, però anche i colleghi che erano
> dentro al defender non hanno sentito i miei colpi. Ritengo che cremare il
> corpo di Giuliani sia stato un errore, forse si sarebbe potuto scoprire di
> più, qualcosa sul corpo forse c’era.
> Sei alla ricerca della verità?
> Si. Come fanno a dire che l’ho sparato in faccia. Non è vero. È
> impossibile.
> Non potevo colpire Giuliani. Ho sparato sopra la ruota di scorta del
> defender.
> Perché hai deciso di parlare solo adesso?
> Perché ci vuole coraggio e io finalmente l’ho trovato. Merito anche
> dell’avvocato a cui mi sono rivolto, Antonio Ludovico, che mi ha sempre
> sostenuto e mi ha consigliato di non aver paura della verità.

 

 

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