2467 Cartas 15: Il “che fare” di Lula

20061128 11:12:00 webmaster

di Bruna Peyrot

In questi due mesi prima della nuova “posse” in vista del secondo mandato, Lula consulta uomini e partiti prima di scegliere il suo nuovo goevrno. Si dibatte molto in Brasile in questo periodo, pressoché su tutto: sul senso dell’ultima campagna elettorale, sul secondo turno che ha riportato il dibattito, vista la paura di perdere, al “campo democratico e popolare”, come si definiva l’area, che aveva sostenuto Lula sin dalle lotte operaie dell’ABC paulista. Ora invece persone con lunga traiettoria di militanza, anche rivoluzionaria, fin dai tempi della dittatura degli anni settanta, votata dalla sinistra, volge sempre di più verso il centro: è la frequentazione delle istituzioni che in ogni paese genera lo stesso processo.

In Brasile, per esempio, i movimenti sociali (pastorali della chiesa cattolica, sindacati, gruppi di basi, sem terra e sem casa, donne, studenti ecc.) nel corso di una generazione, si sono trasformati in vere e proprie organizzazioni. Le lotte operaie di fabbrica sono divenate la Cut (Centrál única dos trabalhadores), la resistenza dei contadini sulle terre incolte il Mst (Movimento dos Sem terra) con le sue scuole e perfino l’università, i vari gruppi politici di base sono diventati il Pt (Partido dos Trabalhadores), i neri hanno dato vita a centri culturali, senza contare le ong e le associazioni in difesa dei diritti dei cittadini e così via. Ma affrontare questo processo di istituzionalizzazione, e per di più su un territorio grande come un continente come il Brasile, significa necessità di soldi per mantenere le proprie strutture e contatti politici per farle riconoscere, capacità competitiva sui mercati (specie per le cooperative artiginali) e l’urgenza della formazione quadri per garantire il proprio futuro. Lula stesso ha percorso questa traiettoria perché viene da questo ambiente e poiché ha una grande capacità di ascolto, deve ora trovare il modo di sistemare, potremmo dire, questo discorso sociale che viene da lontano nella cultura generale del Brasile e trasformarlo in cittadinanza attiva, pena la perdita di un grande patrimonio, non solo di memoria storica, ma di costruzione politica. Il Brasile è un paese dove tutto è esagerato, come il verde e i frutti che rigogliosi crescono nella mata. Governare la sua immensità richiede molto pragmatismo e molti ideali allo stesso tempo. Per questo, forse, la gestione Lula può ricevere tante definizioni: socialdemocratica (perché sviluppa lo stato sociale), populista (perché invoca e difende il “popolo”), conservatore (perché nulla sta mutando nella redistribuzione strutturale delle rendite economiche).
A questo proprosito, la corrente “desenvolvimentista” vuole la fine dell’era Palocci, il ministro che ha gestito l’economia in continuità con lo stile neoliberale di FH Cardoso. Ma ciò non corrisponde del tutto alla volontà di Lula che, ribadendo l’obiettivo del crescimento del 5% del pil, sostiene che fu proprio la gestione economica del suo primo mandato a creare le condizioni, non solo di sicurezza del mercato, bensì per la sua rielezione, nonostante le difficoltà gravi passati nell’area politica a causa degli scandali.
Lula intanto, oltre alla sua equipe tecnica ha convocato anche Roberto Mangabeira Unger professore di diritto ad Harvard (Usa), con il compito di risolvere un complicato rompicapo: abbassare i tassi e ampliare i crediti senza che ci siano incentivi alla domanda interna per poter mantenere sotto controllo l’inflazione. E senza disequilibrare i conti pubblici. I tassi di interesse sono i più alti del mondo. In altre parole, con il prestito di denaro più “caro” la gente tende a risparmiare, non investire e nemmeno comprare. Intanto anche la “previdenza”, come in Italia, vive una situazione delicata, fra pensioni basse e/o concesse in giovane età (15 anni di lavoro): come risolverla senza ledere i diritti acquisiti?
Lula, infine, insiste su un ultimo punto: la sua gestione dovrà tenere un giusto equilibrio fra tecnici e politici, non più la prevalenza di politici come al primo mandato che aveva sguarnito stati e città, facendo convergere a Brasilia le menti migliori. Anche in Brasile si sta cominciando a parlare politicamente di “aree regionali”, secondo le economie e secondo le dinamiche sociali (ricchi e poveri, nord e sud, centro e periferie), come nel mondo europeo.

 

 

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