2484 Amici israeliani, uscite dal ’900

20061205 13:29:00 webmaster

di Ali Rashid

Il fallito attacco israeliano al Libano del luglio scorso condivide con gli attentati dell’11 settembre una caratteristica, vale a dire la capacità di rendere il Medio Oriente, se non il mondo intero, completamente diverso rispetto al passato. L’attacco fu pensato come operazione di soccorso e salvataggio dopo il palese fallimento in Iraq di una guerra preventiva e permanente, che avrebbe dovuto far nascere il nuovo Medio Oriente all’insegna del dominio americano e della centralità di Israele nella regione. Ma l’operazione si è presto trasformata nel lungo e inesorabile declino di tale dominio e nella riduzione del peso e delle prospettive del ruolo israeliano. Una situazione surreale, dove l’abbondanza e la capacità distruttiva degli armamenti sono un fatto evidente, ma è altrettanto evidente l’inefficacia di tali mezzi nel tentativo di assicurarsi il dominio e il controllo.

Una situazione nuova, alla quale le cancellerie non riescono ad abituarsi perché rimangono fedeli ai manuali e agli strumenti di analisi in dotazione, antico retaggio delle guerre coloniali e della guerra fredda, incapaci di capire ciò che sta emergendo (il ”nemico”) dalle ceneri di un equilibrio ormai obsoleto, tenuto in vita con la forza e con interventi esterni e destinato a scomparire. Per le cancellerie, prigioniere dei loro pregiudizi e di una presunta superiorità qualitativa, è iniziato un periodo di infinite sorprese, a partire dagli avvenimenti del Libano, dove si è data per scontata una vittoria militare schiacciante da parte di Israele seguita da una sistemazione delle cose il cui scopo era non cambiare nulla. Una dimostrazione di questo è la rapida evoluzione della stessa Conferenza di Roma, tramutata in una missione internazionale che oggi lascia i protagonisti in preda al panico, perché i fatti hanno preso una direzione opposta rispetto a quella prevista e vengono messe a nudo l’incapacità di lettura e l’approssimazione dell’agire della diplomazia, anche di quella italiana. Una strategia di lungo respiro in Medio Oriente non doveva essere immaginata schiacciata sul sostegno partigiano al governo Siniora, un governo il cui tempo è chiaramente scaduto dopo il fallimento dell’intervento militare israeliano e il ritiro della componente sciita. Un governo che ha perso la sua legittimità, sancita dalla costituzione e dall’accordo di Taef, quando tutti i ministri sciiti si sono dimessi da un governo che è arrivato ad essere compiacente nei confronti dell’aggressione israeliana nel tentativo di trarne un vantaggio per azzerare il ruolo di Hezbollah e disarmare le sue milizie, in perfetto accordo con il disegno americano rispetto a tutta la regione.
Se da un lato le cancellerie mostrano preoccupazione per le sorti del governo libanese, dall’altro continuano a negare il riconoscimento al governo palestinese, quello sì assolutamente legittimo, che è pur stato eletto democraticamente e continua a mantenere la sua maggioranza nel parlamento e in seno alla società.

Il disorientamento dell’intellighenzia occidentale, che negli anni ha influito in modo determinante sulla politica da adottare verso il Medio Oriente, oggi produce un totale smarrimento nella gestione della questione iraniana, nella selezione di amici e nemici, e, visto che ormai la guerra non è più un giocattolo, anche nella definizione di una strategia di uscita dall’Iraq. Gli unici ad avere una visione chiara sono gli israeliani e i filoisraeliani, che cercano di coinvolgere sempre di più l’Europa insieme agli Stati Uniti, visto che non sono più in grado di farlo da soli, in una guerra ancora più allargata, proponendo la necessità di attaccare le installazioni nucleari iraniane come unica via d’uscita. La proposta ripete quindi il modello di guerra permanente su scala più grande e ripropone la strategia utilizzata per 60 anni contro i palestinesi e i paesi confinanti. Questa tesi non viene più vista come una scorciatoia, non solo in Europa ma anche in ambienti importanti negli Stati Uniti, e questo obbliga tutti a elaborare una nuova concezione e a rivedere termini come stabilità, sicurezza ed eventuale “nuovo Medio Oriente”. La nuova concezione non offre espedienti grossolani ma riporta tutti a riconsiderare una rigorosa applicazione del diritto e della legalità internazionali. In questo contesto una risposta alla comunità internazionale rispetto alla questione nucleare iraniana non può prescindere da un Medio Oriente senza armi nucleari e di distruzione di massa né da una soluzione della questione palestinese che preveda il riconoscimento dell’esistenza di un’occupazione israeliana che viola i diritti nazionali e politici del popolo palestinese, diritti da ripristinare e affermare senza cadere nella trappola dei due pesi e due misure.
Anche il tentativo di creare una coalizione di governi cosiddetti moderati, fino a ieri considerati antidemocratici, per alimentare una guerra regionale contro l’Iran non appare consistente, è una scelta di cui il tempo dimostrerà l’inefficacia, perché quei governi sono ancora più deboli del governo Siniora, almeno eletto democraticamente. Tutti questi elementi sono stati chiariti con grande lucidità nel discorso di Franco Giordano in parlamento alla fine di luglio e forse è ora che il governo, oltre ad ascoltare il parere dei grandi opinionisti che non hanno più nulla da dire sul piano internazionale, basti pensare alla conferenza organizzata nei giorni scorsi dalla Aspen a Roma, ascolti anche gli alleati di governo e ogni tanto dia un’occhiata anche a "Liberazione".

www.liberazione.it

 

 

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