20061213 12:39:00 webmaster
A fronte di un aumento dei flussi, sono diminuiti negli ultimi anni i tassi di incidenza di Aids e tubercolosi e aumentato il ricorso a ricoveri e day hospital. Le anticipazioni del Rapporto 2006 dell’Osservatorio Globale sulla salute
ROMA – Diminuzione del tasso delle malattie infettive, aumento dei ricorso alle cure ospedaliere ma anche persistenza di un forte rischio di infortuni sul lavoro e di un alto tasso di abortività. E’ contrastante il quadro sulle condizioni di salute degli immigrati in Italia che emerge dai dati del Rapporto 2006 Osservatorio Italiano sulla Salute Globale presentati oggi a Roma in occasione del IX Convegno su “Fragilità sociale e tutela della Salute”, organizzato dalla Caritas di Roma in collaborazione con l’Istituto superiore di Sanità. Il Rapporto (pubblicato da Edizioni Ets) si concentra sull’analisi delle crescenti disuguaglianze nella salute nel mondo, individuando le cause a livello globale e locale.
Un tentativo che è stato fatto anche nel caso della situazione della popolazione straniera in Italia. Secondo i dati presentati da Maurizio Marceca, del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, che ha contribuito alla redazione di questa parte del Rapporto, negli ultimi anni, a fronte di un aumento del flusso migratorio e contrariamente a quanto suggerirebbe il senso comune, sono diminuiti in Italia i tassi di incidenza tra gli immigrati di malattie infettive come Aids e tubercolosi.
I dati disponibili si riferiscono al periodo 1992-2003 e indicano una diminuzione dei tassi di incidenza dell’Aids del 59 per cento per gli uomini e del 21 per cento per le donne. Per quanto riguarda la tubercolosi in tre anni, dal 2000 al 2003 è passata dal terzo al settimo posto tra le cause di ricovero degli immigrati. Secondo gli esperti dell’Osservatorio, il dato potrebbe essere attribuito a una maggiore appropriatezza dei percorsi assistenziali. Una tendenza confermata anche dall’aumento del ricorso ai day hospital (+183% dal 2000 al 2003) e di un aumento del ricorso ai ricoveri. Questi ultimi sono legati soprattutto a motivi di ragioni fisiologiche (come la gravidanza) o accidentali (traumi, infortuni) il che è indice che la popolazione straniera gode di un discreto stato di salute, probabilmente dovuto al fatto che a partire dai paesi di origine sono già le persone in migliori condizioni di salute e con un background socioeconomico più elevato rispetto alla media della popolazione di appartenenza.
E tuttavia, l’incertezza delle politiche di integrazione legata alla difficoltà ancora persistente dell’accesso ai servizi, lascia ampie zone d’ombra. Che, ha spiegato Marceca, “indicano il persistere, se non un’accentuazione, della fragilità sociale della popolazione straniera”. Due i dati più significativi: le interruzioni di gravidanza e gli infortuni sul lavoro. I casi di interruzioni volontarie di gravidanza sono passati in sette anni (dal 1996 al 2003) dal 7,4% al 26% del totale. E il tasso di rischio per gli infortuni sul lavoro per i lavoratori stranieri è doppio (circa il 6,5%) rispetto a quello degli italiani. Un dato che Marceca spiega con il fatto che “i lavoratori stranieri sono sottoposti alle cinque P (lavori pesanti, precari, pericolosi, poco pagati e penalizzanti socialmente) e quindi sono sottoposti a maggiori rischi anche di salute”. Per Marceca si tratta di un quadro che conferma la presenza di ambiti di sofferenza sanitaria imputabili a incerte politiche di integrazione soprattutto di ambito locale. Politiche di integrazione che rappresentano una sfida anche per i ricercatori in campo sanitario, per i quali la diversità che si manifesta nella relazioni con la popolazione immigrata “deve essere un occasione preziosa si stimolo anche per verificare cosa succede nelle differenze tra gli autoctoni”.
(mariangela paone)
www.redattoresociale.it
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