2552 BRASILE: Lula verso la “posse”

20061213 12:03:00 webmaster

di Bruna Peyrot (Belo Horizonte)

Mancano poco più di quindici giorni alla “posse” di Lula per il suo secondo mandato presidenziale. L’insediameno ufficiale avverrà il 1° gennaio 2007 a Brasilia, dove già risiede il governo. Ma non sarà una piana continuità il secondo governo Lula rispetto al primo. Come già abbiamo detto nelle precedenti Cartas, Lula è sempre più Lula e il suo partito, il Pt (Partido dos Trabalhadores) uno fra i tanti della coalizione che lo sostengono, anche se è quello che ha fondato e che ha accompagnato tutta la sua storia politica. Dietro la data simbolica di un nuovo capodanno tutto è in subbuglio: accordi fra partiti di governo che reclamano posti nei ministeri, travaglio interno al Pt in cerca di una nuova e stabile identità (non più semplice movimento sociale, non ancora partito di lunga tradizione governativa), apparire di contraddizioni profonde nella società brasiliana che proprio il governo Lula ha aiutato ad emergere.

Una è stata certo quella degli “scandali” che non si sono più risolti, per la prima volta in Brasile, sottobanco, ma sono stati discussi, si sono affrontati e interpretati alla luce del sole. Questo non ha significato automaticamente recuperare più moralità, ma almeno più informazione e chiarezza certo sì. Un’altra contraddizione molto forte oggi, è però, a parere di chi scrive, un’altra, di cui poco si parla sia in Brasile, dove gli stessi dirigenti del governo Lula preferiscono puntare l’attenzione sul grande e moderno Brasile, sia nella stampa internazionale tutta presa a seguire le mosse del singolo Lula e poco ad analizzare le pieghe della complessa società brasiliana. In questo contesto, ci sembra ormai evidente, potremmo dire, uno scontro fra i “residui” istituzionali e sociali del periodo della dittatura e la nuova tendenza del governo Lula. Ne sono per ora indizi, ma potrebbero diventare tendenze più consolidate due esempi. Il primo di dominio pubblico, il secondo di nostra diretta esperienza personale.
Il primo esempio, sfuggito alla stampa italiana e internazionale, perché scambiato per semplice ritardo tecnico o malessere sindacale rigurada la paralisi che ha colpito gli aeroporti brasiliani, isolando il paese per quasi tutto il mese di novembre e ancora irrisolta. Il giorno peggiore, anche di tutta la storia aeronautica brasiliana è stato il 14 novembre scorso in cui non solo quasi tutti gli aerei hanno subito un ritardo dalle 4 alle 24 ore, ma è saltato anche il centro di controllo aereo (Cindacta-1 cioè Centro Integrado de Defesa Aérea e Controle do Trafego Aéreo) di Brasilia, quello che regola in modo del tutto centralizzato la comunicazione fra il traffico nei cieli e piloti delle singole aeronavi. Questo controllo è di pertinenza del ministro della Difesa, oggi Waldir Pires e del comandante della Fab (Força aérea brasileira), oggi Luiz Carlos Bueno, il che significa sotto il controllo delle forze militari, come ai tempi della dittatura quando c’era in ballo la sicurezza del paese secondo i generali al potere. Che sta succedendo? Dopo il disastro aereo in cui (29 settembre) si sono scontrati un aereo Gol (Boeing caduto nella foresta amazzonica con 154 persone a bordo, fra cui una intera équipe di ricercatori scientifici) e un Legacy americano, causando sconcerto e giuste polemiche perché non esistono a tutt’oggi spiegazioni tecniche palusibili per una simile enorme collisione, i controllori di volo stanno applicando un maggior distanziameno fra la partenza di un aereo e l’altro, causa si dice dei ritardi immensi dei voli. Una specie di sciopero bianco di applicazione di norme corrette da parte di una categoria che già nel 2002 aveva denunciato la necessità di essere raddoppiata, invece è passata solo da 2540 persone alle attuali 2683, con turni lunghi e senza pause. Dietro questa questione sindacale, tuttavia, c’è l’identità di un’aviazione che è ancora troppo militarizzata, i cui lavoratori appunto non sono professionisti del settore civile, ma professionisti militari. Antichi privilegi che non si vogliono lasciare intaccare da un lato e necessità di un paese moderno che richiede, nel caso, più centri di smistamento aereo e non tutti localizzati nella capitale, ma nelle città con più traffico come São Paulo, Porto Alegre e Salvador, al centro, al sud e al nord del paese. Lula ha cambiato spesso nel suo primo governo i ministri della Difesa, perché forse sono personaggi di facciata. Chi ancora decide le sorti del settore sono i tre corpi forti: Marina, Aeronautica e Esercito. E l’Anac (Aviazione civile) stenta ancora a decollare così come l’Infraero (agenzia statale che regola gli aeroporti) con una organizzazione dai compiti precisi e chiari.
Un altro tipo di conflitto fra istituzioni è stato sperimentato dalla sottoscritta, in causa per il rinnovo del visto di lavoro (che svolge presso il Consolato italiano di Belo Horizonte). I motivi del non rinnovo sono stati motivati con la mancanza di chiarezza del lavoro svolto. Ahimé! Già il lavoro dei dirigenti scolastici è poco apprezzato in Italia, ora… anche in Brasile! Qui si applica per le professioni di altri paesi il cosiddetto “principio di reciprocità”, cioè se una professione esiste anche in Brasile, bene, altrimenti non si riconosce o… passa al massimo sotto falso nome. La procedura per richiedere i visti è particolarmente offensiva dei diritti umani: non viene notificato l’esito della richiesta (se positivo o negativo), ma il richiedente deve consultare (vagando molto) su internet i siti della Policia Federal). Capita così che scada il periodo possibile per i reclami in caso di diniego, senza contare l’infinita assurdità della documentazione richiesta (al singolo si chiede per esempio di esibire in carta “comprovante” cioè in bollo si direbbe in Italia, il testo dei trattati di cooperazione con i rispettivi paesei di appartenenza). Quando la firma del “no” da parte della PF è stato emesso è molto difficile invertire la tendenza. Neanche l’intervento di Itamaraty, il Ministero degli Esteri brasiliano riesce a farlo. Ecco un altro residuo: l’emigrazione è sotto controllo della polizia non degli Affari Esteri, con i quali anzi non esiste neppure collaborazione, ma competitività…. Gli esempi potrebbero continuare. Ma sia sufficiente il dire che questi “residui” non aiutano il Brasile a essere ciò che vuole diventare ai propri occhi e a quelli degli altri paesi: moderno e avanzato nei diritti umani di tutti i giorni.
Anche questo apparente “petit rien” di proustiana memoria, sarà parte del cambiamento, la “mudança” che Lula aveva promesso sin dal suo primo mandato.

 

 

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