2698 Nairobi: uno specchio per guardarsi

20070201 16:31:00 webmaster

Conclusasi la VII edizione del Forum Sociale Mondiale (FSM) di Nairobi, diverse sono le tematiche innovative e audaci discusse per cinque giorni nei labirinti dello Stadio Nazionale di Kasarani. Tra queste, una di particolare importanza per il movimento altermondialista è quella legata allo stato presente e futuro del FSM stesso. Nairobi è stata un gigantesco prisma dal quale il FSM ha osservato il pianeta. E un grande specchio dove il paese ha guardato se stesso.

Il futuro del Forum Sociale Mondiale, epicentro del dibattito in Kenia

Per Selvas.org – Sergio Ferrari – desde Nairobi, Kenya – colaboración E-CHANGER e Periódico Le Courrier (Svizzera)

Traduzione di Arianna Ghetti e revisione di Sonia Chialastri, Traduttori per la Pace

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“Il Forum Sociale Mondiale ha giocato un ruolo importante, ma si tratta di una formula che inizia ad esaurirsi”. Questa la dichiarazione, che suona quasi come una provocazione, del noto intellettuale egiziano-senegalese Samir Amin, uno dei presidenti del Forum Mondiale delle Alternative.

Un FSM ‘debilitato’
Dopo una riflessione su vari argomenti collettivi e logicamente costruiti, Amin afferma che il FSM non è oggi “un luogo di dibattito profondo bensì di rapidi resoconti e interscambi”.

Dinamica che non favorisce la costruzione di alleanze tra organizzazioni in grado di trasformarsi in un movimento, il che aumenta il rischio di limitarsi a “un club di ciarlatani o a un circolo chiuso di responsabili di ONG”.

Propone, pertanto, in parallelo al FSM, di creare realmente un contesto organizzato di alleanze, a livello nazionale, regionale e mondiale, “dei movimenti di massa”.

Amin rivendica il contenuto del “Manifesto di Bamako”, sottoscritto nell’ambito del forum decentralizzato del 2006 a Mali, che con i suoi otto punti cerca di creare una sorta di carta-programma concettuale di come dovrebbe essere costruito il nuovo pianeta.

Alla base dei suoi suggerimenti, c’è una riflessione di fondo esposta in un documento-articolo pubblicato a Roma nel mese di ottobre dello scorso anno – e che riprende parzialmente nell’ultimo Le Monde Diplomatique, denominato “In difesa dell’umanità”.
Questo testo, distribuito in alcuni degli spazi di dibattito a Nairobi, ratifica che “il capitalismo è un sistema obsoleto e nemico dell’umanità”, che deve essere affrontato a partire dalla “necessaria radicalizzazione delle lotte popolari”. Secondo Amin, così come lo ribadisce al reporter in un’intervista realizzata nella capitale keniota, la mondializzazione non è un fatto “obiettivo”, quanto piuttosto la strategia dei poteri dominanti. E in questo senso, non si può proporre un’“altra mondializzazione” senza distruggere quella esistente. E per fare ciò è necessario “ristabilire la dignità delle nazioni e la sovranità dei popoli e degli Stati”.

Per questa lettura della tappa attuale che l’umanità attraversa, il concetto di *consenso* promosso da altri leader altermondialisti come il brasiliano Francisco “Chico” Whitaker, è “quanto meno ingenuo…e carente di un’analisi di classi”.

Il valore della diversità
In opposizione alla visione dell’intellettuale egiziano, sono diversi i teorico-militanti sociali che difendono l’idea del forum come ampio spazio, ed espressione di una nuova forma di concepire la politica, lontana dalle concezioni della sinistra tradizionale.

Il libro recentemente edito dal brasiliano Whitaker, uno degli otto co-fondatori dell’FSM, è forse l’espressione più sistematica di questo pensiero che si propone di innovare contenuti e forme.

“Il Forum è un ibrido tra queste due grandi concezioni, in apparenza incompatibili che però nella pratica convivono dalla fondazione stessa del FSM”, sottolinea in un’intervista esclusiva Boaventura Sousa Santos, prestigioso intellettuale portoghese.

“Esistono nuove forme di intendere la politica e i concetti politici”, spiega Sousa, indicando che, per esempio, molti popoli originari ed altri attori sociali considerano “il socialismo come una definizione tipicamente occidentale”, con la quale non si sentono a proprio agio, e preferiscono quindi parlare di liberazione, di emancipazione e di un altro mondo possibile.

Questo apparente scontro di posizioni “lo interpreto come espressione di forza, più che di debolezza”, sottolinea con convinzione l’intellettuale portoghese. “Vedo nell’attuale diversità e il relativo *caos* del Forum un segnale di forza”, insiste.

Sousa ricordando che le differenze di pensiero non sono sostanzialmente nuove e “risalgono già al primo FSM di Porto Alegre”, tra coloro che lo consideravano come uno spazio d’incontro e interscambio e coloro che invece proponevano di arrivare a posizioni comuni uniche e sottoscrivere documenti finali.

“Nonostante queste tensioni interne, il contributo del FSM è innegabile”, sottolinea Sousa, il quale fa notare come esempio che “sebbene non equivalga ad una rivoluzione”, le istituzioni internazionali ed altri ambiti di potere hanno dovuto incorporare in questi ultimi anni certi suggerimenti e rivendicazioni che si sono espressi nel FSM”.

È essenziale non temere la “complessità stessa di ciò che viviamo” e continuare a costruire a partire da questo processo in corso, insiste.

Gli attori sociali prendono la parola
“Ci sono processi storici che non si possono accelerare, nonostante ci piacerebbe farlo”, enfatizza Hugo Yaski, segretario generale della Centrale dei Lavoratori dell’Argentina, piattaforma combattiva che raggruppa 1 milione e 200 mila membri e presente sin dall’origine stessa nel processo di nascita del FSM.

Non si può “rischiare la costruzione del forum sulla base della diversità attuale per dotarlo di definizioni più precise”, indica il leader sindacale del cono Sud. “E questa interpretazione è coerente con l’esperienza che ci impone la realtà, anche nel lavoro quotidiano nei nostri paesi. Molte volte, quando desideriamo progredire in maniera più rapida e chiarire posizioni, perdiamo in termini di ampiezza”.

E la sua conclusione è categorica: “in questo preciso momento, la formula attuale del FSM in quanto spazio aperto di confluenza è la più corretta, la più adeguata per noi e ha ragione di esistere”.

Posizione condivisa dall’honduregno Rafael Alegría, uno dei leader di Via Campesina, coordinamento mondiale di movimenti indigeni e della campagna che conta oltre 100 milioni di membri.

“Per noi il FSM, che sosteniamo dalla sua nascita e di cui siamo uno dei principali sostegni, è uno spazio di interscambio, di costruzione di alleanze, di potenziamento delle stesse nostre iniziative e attività”.

Solo alcuni attimi dopo l’intervista ad Alegría, in uno dei locali del Centro Sportivo Internazionale, sede del forum, Via Campesina lanciava la propria “Campagna Globale per la riforma agraria”, per la regione africana. Si tratta di una nuova priorità nell’agenda del movimento, il quale sottolinea in questa fase la necessità di recuperare e difendere “la terra, le acque, le sementi, i boschi e le risorse naturali in generale”.

Chiediamo: la mancanza di un programma politico del FSM si ripercuote su Via Campesina? “Non è l’obiettivo né appartiene alla natura del FSM definire le strategie. Ogni movimento sociale, a livello locale, nazionale, regionale e mondiale deve incoraggiare le proprie lotte e rivendicazioni. Non è compito del forum attuare cambiamenti, ma dei movimenti di cui facciamo parte”.

E la realtà, secondo Alegría, dimostra la fattibilità di questa formula. “La nuova situazione politica latinoamericana è anche parzialmente il risultato del FSM e della sua lotta per un altro mondo possibile”, conclude il militante honduregno.

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EmiNews 2007

 

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