2778 Giorgio Napolitano: «Foibe ignorate per cecità e calcolo»

20070213 13:49:00 webmaster

«Migliaia di famiglie, i cui cari furono imprigionati, uccisi, gettati nelle foibe». Le motivazioni delle onorificenze alla memoria, lette nel salone dei Corazzieri, ripetono con monotonia: «Da allora non si ebbero di lui più notizie», «verosimilmente» fucilato, probabilmente infoibato…

Non nasconde l’emozione Giorgio Napolitano, nello sfogliare una delle pagine più dolorose e controverse della storia italiana.

Per le foibe è questo, al Quirinale, in continuità con un’analoga cerimonia voluta da Carlo Azeglio Ciampi, il «giorno del ricordo», istituito tre anni fa con voto bipartisan in Parlamento, nella ricorrenza della firma del Trattato di pace di Parigi, appunto, il 10 febbraio 1947, con cui Alcide De Gasperi, a capo del governo di unità nazionale, chiudeva dopo la sconfitta una pagina dolorosa, controversa ed emblematica, originata dalla precedente aggressione e «italianizzazione» fascista di vasti territori jugoslavi.

Il capo dello Stato ricorda «la vicenda degli scomparsi nel nulla e dei morti rimasti insepolti» nelle voragini carsiche nell’azione di rappresaglia dei partigiani titini. Si tratta di «una miriade di tragedie e di orrori»; e della successiva «tragedia collettiva, quella dell´esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, quella dunque di un intero popolo». Il presidente rivolge ai familiari «una parola di affettuosa vicinanza e solidarietà». Vuol offrire «un riconoscimento troppo a lungo mancato».

Napolitano non si limita, però, a parole di prammatica. Sposa le tesi di quella linea storiografica che, osserva, oggi individua nella tragedia delle foibe, iniziata nell’autunno del 1943, un turbolento episodio bellico in cui si intrecciarono «giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento» della presenza italiana. E dunque «un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947», e che assunse – come aggiunge mutuando una valutazione su cui la ricerca storiografica non è concorde – «i sinistri contorni di una pulizia etnica».

Nella giornata del ricordo è, di conseguenza, paradossalmente da ricordare, e trasmettere alle nuove generazioni soprattutto la condanna del nostro «non giustificabile silenzio» per «la disumana ferocia delle foibe, una delle barbarie del secolo scorso». L’errore dell´«aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell´averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali». Vi fu, insomma, una vera e propria, molteplice congiura del silenzio. Anche se Napolitano non è esplicito, i «pregiudizi» dottrinali che denuncia sono evidentemente da individuare in una certa vulgata minimizzatrice di sinistra, mentre le «convenienze» diplomatiche investono le responsabilità ben più vaste di governo in anni recenti, durante i quali il successivo distacco della Jugoslavia dal blocco sovietico poté fornire un aggiuntivo bonus assolutorio allo Stato confinante.

Da uno spunto del professor Paolo Barbi, uno dei rappresentanti della comunità degli ex esuli istriani, anziano europeista (il suo intervento viene letto dal generale Mosca Moschin perché l’emozione lo tradisce), il presidente trae un incitamento «a consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo da oltre cinquant’anni costruendo».

Si tratta, infatti, di «un’Europa nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espressosi nella guerra fascista a quello espressosi nell´ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia, un’Europa che esclude naturalmente anche ogni revanscismo».

Rimane ancor oggi la ferita dolorosa degli ex profughi. E le minoranze italiane in Slovenia e in Croazia hanno accumulato, intanto, notevoli e difficili contenziosi sui diritti e sui beni: anche ad essi implicitamente Napolitano fa cenno quando ricorda come il processo di integrazione europea ponga la questione su basi nuove: «Siamo impegnati in Europa a riconoscere nella Slovenia un amichevole partner e nella Croazia un nuovo candidato all’ingresso nell’Unione».

Un riavvicinamento non deve, però, comportare l’oblio. Riconciliazione non può significare tacere: «Dobbiamo ripetere con forza che dovunque, in seno al popolo italiano come nei rapporti tra i popoli, parte della riconciliazione, che fermamente vogliamo, è la verità».

 

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EmiNews 2007

 

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