2774 Bush «riscopre» l'America latina

20070212 23:58:00 webmaster

Per districarsi dai pantani iracheni e afghani, il presidente Usa annuncia per marzo un viaggio in 5 paesi: Brasile, Uruguay, Colombia, Guatemala e Messico. «Democrazia» e libero commercio gli obiettivi dichiarati. Ma la vera ragione è «il fattore C». Dove «C» non sta più per comunismo ma per Chavez. Che sarà il convitato di pietra

di Maurizio Matteuzzi

George Bush, intrappolato nei pantani iracheni e afghani, cerca di cambiare aria concedendosi una tournée in America latina. Quello che fino a poco tempo fa era il suo cortile di casa, che ha trascurato per dedicarsi alla «guerra contro il terrorismo islamico» e che ora sembra aver cominciato a marciare per conto suo.

Giovedì Washington ha annunciato che Bush dall’8 al 14 marzo visiterà 5 paesi latino-americani nel tentativo di mostrare un interesse che non ha mai avuto nei 6 anni alla Casa bianca e di riprendere in mano una situazione che tende a sfuggirgli di mano. Il viaggio comincerà a San Paolo del Brasile, dove incontrerà il presidente Lula; poi Montevideo, dove vedrà il presidente socialista Tabaré Vazquez; Bogotà, per riunirsi con l’amico Alvaro Uribe; una breve sosta a Città del Gatemala, per ringraziare il presidente Oscar Berger di essersi prestato in ottobre a presentare la candidatura guatemalteca al Consiglio di sicurezza per contrastare quella del Venezuela; infine il Messico del presidente ultra-conservatore Felipe Calderon.
Non andrà in Argentina, dove i rapporti con il presidente Kirchner sono tesi; non andrà in Cile per il motivo opposto: perché i rapporti con il presidente socialista Michelle Bachelet sono già ottimi. Meno che mai andrà nei paesi «a rischio», la Bolivia di Evo Morales, l’Ecuador di Rafael Correa e, ovviamente, il Venezuela di Hugo Chavez. Che perà sarà il convitato di pietra.
A parte il Brasile, che per grandezza e peso politico-economico è l’architrave di qualsiasi equilibrio continentale, gli altri sono tutti paesi amici. Anche l’Uruguay dove il governo del Frente amplio è di (centro)sinistra ma dà segni chiarissimi di volersi avvicinare più agli Usa che al Mercosud di cui fa parte (il ministro delle finanze, l’ex-comunista Danilo Astori, è stato stoppato nel suo obiettivo di firmare un Trattato di libero commercio con gli Usa, ciò che avrebbe comportato l’automatica uscita dal Mercosud ma ha appena firmato un accordo di rapporti privilegiati che più o meno è la stessa cosa).
L’annuncio del viaggio è stato accolto con una certa sorpresa e parecchio scetticismo sia in America latina sia negli Stati uniti. «Segnerà il nostro impegno nell’emisfero occidentale e farà risaltare la nostra agenda comune per dare impulso alla libertà, alla prosperità e alla giustizia sociale», ha detto giovedì il portavoce della Casa bianca Tony Snow. Nobili propositi. A cui nessuno crede. Gli obiettivi veri sono altri. Prima di tutto contrastare la crescente influenza che Chavez, con la sua petro-diplomazia e la sua spinta verso l’integrazione regionale, sta conquistando in America latina. Poi aggirare il definitivo accontanamento dell’Alca, l’Accordo di libero scambio delle Americhe, seppellito nel tumultuoso vertice del novembre 2005 a Mar del Plata. Da allora la strategia americana è cambiata e dall’Alca si è concentrata sui Tlc bilaterali, concessi – ma a caro prezzo – ai paesi «buoni»: la Colombia di Uribe, il Perù di Toledo prima e di Alan Garcia ora, oltre all’allievo prediletto Cile.
Brasile e Argentina è escluso che siano tentati da trattati di libero scambio con Washington, ma sono i due giganti con cui bisogna fare i conti. Con Lula Bush intrattiene un rapporto personale di forte «simpatia» e gli andrà a chiedere di frenare Chavez tentandolo con concessioni sull’etanolo, il combustibile ecologico derivato dalla canna da zucchero di cui il Brasile è il secondo produttore mondiale dopo gli Usa – insieme producono il 70% del totale mondiale. Con Tabaré andrà ad approfondire le crepe aperte nei rapporti fra l’Uruguay e gli altri soci del Mercosud. Con Uribe andrà a complimentarsi per gli eccellenti risultati della fallimentare guerra al «narco-terrorismo» (che per entrambi si riduce alla guerra alle Farc) e garantire il rifinanziamento del Plan Colombia a cui Uribe è appeso come l’impiccato alla corda. Con Calderon ribadirà – parole di Snow – «la forte relazione con il Messico e il nostro appoggio ai suoi sforzi per stroncare la povertà e le diseguaglianze».
Ma non sarà una gita di piacere. E non solo per le marce e le manifestazioni popolari che già si annunciano contro di lui. Lula gli sarà anche simpatico ma è improbabile che rinuncia al suo ruolo e al processo d’integrazione latino-americana in cambio di qualche apertura sull’etanolo. Tabaré ci dovrà pensare mille volte prima di scambiare il Mercosud con gli Usa. Il Guatemala, purtroppo, non conta nulla e il Messico, che conta molto, non può accontentarsi delle profferte di imperitura amicizia e di una «riforma migratoria» già promessa al predecessore di Calderon, l’altrettanto destro Fox, e mai concretizzata al contrario del muro anti-immigrati concretizzatosi lungo il confine comune.
Bush ha mandato in avanscoperta Nicholas Burns, sottosegretario di stato per gli affari politici, e Thomas Shannon, sottosegretario aggiunto per l’emisfero occidentale. I due sono arrivati all’inizio della settimana, prima a Brasilia poi a Buenos Aires. Magnificando «la fantastica connessione» con il Brasile e minimizzando le tensioni con l’Argentina esplose di nuovo alla vigilia del loro arrivo quando Kirchner ha violentemente attaccato l’ambasciatore Usa, Earl Wayne («L’Argentina non è una repubblichetta e non accettiamo pressioni»), che aveva fatto una sfacciata lobby in favore dell’acquisto dell’azienda elettrica Transener da parte del fondo di investimento Usa Eton Park.
E Chavez? «Chavez non ci preoccupa e non è neppure in agenda», ha detto Burns. Bugiardo. Il sorprendente interesse per l’America latina di Bush è dimostrato dal fatto che nel progetto di bilancio inviato al Congresso lunedì scorso gli aiuti destinati all’antico cortile di casa sono stati drasticamente ridotti, con l’eccezione della Colombia. Probabile che il viaggio di Bush abbia anche obiettivi interni, ora che si trova di fronte un Congresso dominato dai democratici che gli hanno spesso rimproverato il disinteresse per la regione. Ma neanche loro ci credono: «A me pare che quella di Bush sia una vacanza in un momento in cui tutto gli va male», ha detto la congressista democratica Hilda Solis. Nessun nuovo interesse per l’America latina (e per molti versi meglio così). La vera ragione è il «fattore C». Non più «C» di comunismo ma di Chavez.

www.ilmanifesto.it

 

2774-bush-riscopre-lamerica-latina

3549

EmiNews 2007

 

Views: 1

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.