2761 Parisi, Afghanistan forever

20070210 15:57:00 webmaster

DI Elettra Deiana*, 09 febbraio 2007

Rilanciando la data del 2011 il ministro della difesa non fa altro che accettare le decisioni eterodirette dal governo americano, sottraendo questioni importanti di politica estera al dibattito parlamentare e mettendo in gioco l’autonomia del nostro Paese

Al modo degli antichi conquistatori romani e sulla scia delle dislocazioni strategiche del presidente di guerra Gorge W. Bush, anche il ministro italiano della difesa Parisi recita il suo " hic optime manebimus" dove l’hic è l’Afghanistan e il tempo è quello di un futuro indecifrabile, il 2011, data di una exit strategy messa in calendario nell’ultima riunione del 2006 dell’Afghanistan compact (il "patto" tra l’Afghanistan e la comunità internazionale, compresa la Nato) ma che potrebbe essere qualsiasi altra, perché puramente indicativa.

Rilanciando questa data il ministro Parisi non fa altro che accettare le decisioni eterodirette dal governo americano, sottraendo questioni importanti di politica estera al dibattito parlamentare e mettendo in gioco l’autonomia del nostro Paese.

Un elemento infatti è incontrovertibile di quell’impresa militare intrapresa dal pentagono, e cioè che non c’è nessuna certezza per quanto riguarda dinamiche, esiti e risultati finali e, di conseguenza, tempi del disimpegno militare e della ricerca di soluzioni civili alternative. A proposito di calendari, infatti, molti analisti hanno parlato di date intorno al 2018 o il 2020. L’accoglimento di questa ipotesi è dunque solo il frutto infausto del vertice della Nato che si è appena concluso a Siviglia, vertice dove il Segretario generale dell’Alleanza Atlantica ha dato tutto se stesso, come del resto sta facendo da diversi mesi per mettere in riga gli "alleati riluttanti", l’Italia tra questi, spronandoli ad assumersi tutte le responsabilità del caso sul terreno del combattimento e delle azioni di vera e propria guerra.
Questo, e nessun altro, è il vero target della missione in Afghanistan: sconfiggere ogni forma di insorgenza, resistenza, che dalla zona tribale al confine col Pakistan – dove avevano trovato rifugio i talebani sconfitti nel 2001- si sta di nuovo estendendo verso il Nord del Paese lambendo, guarda caso, la provincia di Herat affidata al provincial reconstrunction team italiano.

Condoleezza Rice da settimane e settimane va ripetendo che la campagna di primavera dei taleban sarà decisiva e che decisivo per l’Alleanza Atlantica, che in quel lontano paese gioca la sua faccia e il suo ruolo per gli anni futuri, sarà sgominare le bande ribelli.
Questo messaggio di richiamo all’ordine era anche l’obiettivo fondamentale della irrituale iniziativa che gli ambasciatori dei sei paesi direttamente coinvolti nei combattimenti in Afghanistan hanno rivolto al popolo italiano per ricordare gli obblighi di fedeltà agli impegni comuni.

Insomma siamo proprio nel punto di tutte le problematiche relative alla questione afgana, di tutte le contraddizioni e di tutti i rischi. Non a caso Parisi ha anche dichiarato che, laddove si scatenasse la famosa campagna di primavera, decadranno le clausole di restrizione nella disponibilità di aggiungere delle forze armate italiane da parte del comando Nato, à la guerre comme à la guerre, in barba all’articolo 11 della nostra Costituzione.

E questo avviene mentre è ancora in corso una faticosa discussione all’interno dell’Unione tra il governo e le parti più decisamente critiche rispetto alla missione, parti quest’ultime che non chiedono di fissare subito termini precisi per l’exit strategy, ma si aspettano un atteggiamento altrettanto responsabile da parte del governo e dei partiti di maggioranza. Infine, questo avviene
mentre è stato appena avviato il confronto parlamentare alla Camera sul decreto di rifinanziamento della missione militare italiana. Decreto che nulla dice dell’hic optimus manebimus del ministro Parisi.

*Parlamentare Prc, vicepresidente della commissione Difesa della Camera

 

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EmiNews 2007

 

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