2836 LE VIE D'USCITA: Dal Prodi bis alle larghe intese, trappole e scenari

20070221 19:44:00 webmaster

C’è chi festeggia la fine del «bipolarismo coatto con ricatto delle estreme», formula lanciata dall’ex socialista Lanfranco Turci. Chi dà la colpa alla delirante legge elettorale approvata con un colpo di mano dalla vecchia maggioranza berlusconiana: è il caso di Walter Veltroni. Chi è paralizzato dal «disprezzo» verso i dissidenti della "sinistra radicale", come la capogruppo del Pdci-Verdi al Senato Manuela Palermi. E poi tutta una serie di ricostruzioni, analisi, tentativi di uscita dal tunnel in cui il governo Prodi sembra definitivamente intrappolato.

Una possibile ultima chance sarebbe quella che il presidente Napolitano rimandasse il governo alle Camere per verificare la fiducia dopo la sonora bocciatura che riguarda però una mozione, per quanto decisiva sulla politica estera. Se lo augura persino il rifondarolo Claudio Grassi, uno dei dissidenti che all’ultimo si sono riallineati. «Ogni ipotesi alternativa a questo governo sarebbe peggiorativa», fa notare, sgridando gli irriducibili Rossi e Turigliatto. Di una rianimazione in extremis parla anche "Velina Rossa", anche se ne vede i limiti invalicabili a distanza di due settimane: il voto sull’Afghanistan. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Vannino Chiti difendendo l’operato del collega della Farnesina Massimo D’Alema, non preclude a nessuna possibilità. Dice Chiti in buona sostanza: per raccogliere i cocci – usando l’espressione di Enrico Boselli -serve una maggioranza coesa anche in Senato. La decisione pertanto dovrà essere fatta collettivamente, tra il capo dello Stato e il premier.

Ma se si tratta di ritornare al Senato- che sia Prodi o lo stesso D’Alema a presentarsi in pedana come si ipotizza dal cenrodestra- la strada sembra ancora minata. Sergio De Gregorio, ex Idv e presidente della commissione Difesa che si è convertito definitivamente all’altra sponda politica la notte prima del voto annuncia che non ha nessuna intenzione di cambiare nuovamente. Niente fiducia anche per il ribelle dei comunisti italiani Fernando Rossi. «Con la base di Vicenza in piedi e la guerra in Afghanistan -dice – io la fiducia non la voto. Spero che non arrivi un governo fotocopia, anzi se sono di meno va anche meglio». Stesso discorso sembra orientato a farlo anche il verde dimissionario Mauro Bulgarelli, che intervenendo per dichiarare il suo sì obtorto collo in Senato aveva avvertito che si era lasciato convincere ma solo per l’ultima volta.

Per Rossi come per Bulgarelli c’è comunque il voto sulla missione in Afghanistan a fare da respingente. E Rossi aggiunge tardivamente: «Voterò la fiducia al governo Prodi quando la chiederà al Senato, questo è il mio governo». Per Paola Binetti, intervistata a "Nessuno Tv", il decreto sui Dico. E la pasionaria dei teodem non esclude che si esca dalla crisi con un allargamento della maggioranza.

Le malelingue sospettano che la sua idea non sia scattata come una lampadina oggi. Sospettano che ci sia stato un disegno che, partito da Giulio Andreotti, passato per Marco Follini è approdato all’astensione di tutto il gruppo Udc ma- pensano alcuni – ha lambito pesantemente anche una parte della Margherita e l’Udeur di Mastella. Del resto sembravano profetiche stamattina le parole con cui il margheritino Andrea Manzella si riferiva alla Grosse coalition tedesca come a un orizzonte ideale per il centrosinistra. Un nuovo centrosinistra, dunque, un po’ più cenro e un po’ meno sinistra. È quello che ipotizza Marco Follini. Ma il suo sostituto come segretario dell’Udc Lorenzo Cesa ora frena. «Ogni ipotesi non è opportuna», afferma sulle larghe intese, aggiungendo anche un significativo: «per ora».

Ma se Cesa, al momento, si dice "attendista", è un altro importante esponente dell’Udc, Mario Baccini, a mostrarsi meno distaccato: «Larghe intese?», risponde il vicepresidente del Senato ai cronisti, «ci aspettiamo che Prodi prenda atto della situazione politica, rassegni le dimissioni e un minuto dopo si apra una nuova fase politica». Nell’auspicio di un nuovo governo incentrato su «tre o quattro punti essenziali, poi si vada a votare: uno scenario» che l’esponente dell’Udc sembra intravedere.

Nella riunione politica che si è appena conclusa nella Margherita, però, la vecchia volpe di Ciriaco De Mita la vede diversamente: concludendo che, al momento, «il problema non è cambiare la maggioranza ma recuperare una politica condivisa nel centrosinistra». Certo Massimo D’Alema non pare che sarebbe disposto a rimanere in sella della Farnesina con una maggioranza diversa. Primo perché la storia che si ripete – lui lo sa bene – vira nella farsa. Secondo per poche ma chiare parole che sono risuonate dalla sua bocca nell’aula del Senato durante la replica. Parole che parlavano della sua politica estera come coerente con i passati governi dc-psi ma lontana dalle «secche delle coalizioni dei volenterosi».

 

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EmiNews 2007

 

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