2833 Il partito democratico e l’aggettivo socialista

20070220 22:21:00 webmaster

di Gianfranco Pasquino

Vorrei mettere a disposizione di coloro che dovranno decidere, magari ricorrendo al referendum, “una testa un voto”, come chiamare il Partito nuovo, se questa decisione non è già stata precostituita, qualche argomento per valutare il significato, l’importanza, le implicazioni dell’aggettivo «socialista». Credo sia opportuno premettere che «democratico» non è, ovviamente, la stessa cosa di «socialista», ma vorrei anche sottolineare che «democratico» non può in nessun modo inglobare «socialista». Non è né un passo avanti né, per rimanere in metafora, una falcata più ampia.

La seconda premessa è che non è corretto pensare che anche coloro fra gli ex-comunisti che hanno malamente criticato, sicuramente fuorviando, sbagliando, minimizzando le esperienze socialdemocratiche dell’Europa centro-settentrionale, non siano legittimati oggi a ricredersi e a volere la dizione «socialista». Semmai, sarebbe molto più corrretto e produttivo chiedere loro che cosa possa e debba significare concretamente «socialista» nella politica italiana oggi. Sarebbe altrettanto corretto sentire dai proponenti della dizione «democratico» quale è il contenuto caratterizzante e innovativo di una terminologia così vaga, a meno che la vaghezza abbia obiettivi elettoralistici semplicemente numerici oppure non confessabili. Se la risposta dovesse essere che il nuovo partito italiano sarà democratico come lo sono i Democratici degli Usa, allora diventerebbe opportuno rivolgere a costoro un caloroso invito ad andare a studiare la storia della politica Usa e la sociologia di quella società e del suo.

A questo punto si collocano le mie brevi considerazioni sul socialismo, su quello che sappiamo e comunque dovremmo imparare. Primo, in positivo, ovunque ci sono state esperienze di governo dei partiti socialisti e socialdemocratici, il tenore di vita è chiaramente più elevato dei Paesi nei quali queste esperienze non si sono affermate oppure sono durate per periodi di tempo molto brevi. Secondo, tutti i sistemi politici nei quali ci sono partiti socialisti, potenzialmente o effettivamente governanti, godono di un livello di partecipazione elettorale e politica più elevato di altri paesi nei quali i partiti socialisti siano assenti o deboli. Come è ampiamente noto, la partecipazione elettorale negli Usa, comunque la si giudichi e la si ridefinisca, è mediamente molto più bassa di quella delle altre democrazie competitive. La grande maggioranza degli studiosi americani attribuisce questo esito alla mancanza di un partito di sinistra che produca mobilitazione politica, in special modo dei ceti popolari. Curiosamente, la trasformazione del Partito Laburista inglese ha ugualmente prodotto ovvero è stata accompagnata da un declino della partecipazione che nelle ultime due elezioni generali è stata intorno al 60 per cento. Terzo, tutte le statistiche internazionali rilevano concordemente che i Paesi nei quali ci sono stati e ci sono forti partiti socialisti esistono livelli di welfare più elevati e gradi di diseguaglianza molto più ridotti dei paesi senza partiti socialisti o con partiti socialisti deboli, incapaci di andare al governo. A proposito di welfare minimo e di diseguaglianze massime, clamoroso è proprio il caso degli Stati Uniti d’America dove, evidentemente, il loro Partito Democratico non svolge il suo compito di sinistra.

Per quanto, naturalmente, sia lecito discutere di questi tre aspetti e di valutarli in maniera più approfondita – peccato che, saggi e meno saggi, non abbiano trovato né il tempo né il modo per farlo – non mi pare che una buona discussione possa iniziare apoditticamente dichiarando la irreversibile crisi del socialismo, né che possa continuare prendendo a bersaglio un passato staticamente fissato che non esiste più. In Europa, il socialismo è luogo di ricerca di nuove modalità di rappresentanza e di governo della società e dell’economia, di allargamento della democrazia nei sistemi politici e nell’Unione Europea, dell’individuazione di soluzioni che, spesso, ma non necessariamente sempre, sono giustamente e persino fecondamente diverse da quelle prospettate dai partiti popolari. In almeno due importanti Paesi europei, Germania e Austria, sono al governo due Grandi Coalizioni fra socialdemocratici e democristiani senza che nessuno in quei Paesi sostenga ipotesi avventurose di scioglimento di entrambi i partiti in un indistinto partito democratico. Anzi, è chiaro a tutti che un conto sono le formule di governo, qualche volte necessitate, comunque transeunti, un conto sono i partiti, la competizione fra loro e le loro capacità di rappresentanza sociale, politica e culturale. Proprio perché socialisti e democristiani mantengono una loro distintitività, la capacità di rappresentanza di società complesse sarà potenzialmente più elevata e la loro competizione si tradurrà in maggiore partecipazione politica. Come è stato finora prospettato, il Partito democratico italiano non riuscirà ad ottenere nulla di tutto questo. Anzi, rischia di risultare del tutto controproducente.

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EmiNews 2007

 

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