2856 CRISI DI GOVERNO: Imboscata dal centro. Il colpo di Giulio Andreotti

20070223 11:15:00 webmaster

20 giorni di stress Come si è giunti al voto

Più degli estremisti dissenzienti poterono i senatori a vita. L’arrivo a sorpresa di Pininfarina, l’Unione dal sollievo al disastro (Ida Dominijanni)

Filoamericano a vita. Imprese e atti del senatore Pininfarina (Guglielmo Ragozzino)

Due voti che sembravano sicuri (Andrea Fabozzi)

20 giorni di stress Come si è giunti al voto

Il primo rovescio al senato
Giovedì 1 febbraio in aula al senato si votano gli ordini del giorno sul discorso del ministro della difesa Parisi a proposito della base di Vicenza. Il ministro spiega il sì del governo italiano al raddoppio della base. Il centrodestra presenta un ordine del giorno che approva le indicazioni del ministro. La maggioranza per non unire i suoi voti a quelli dell’opposizione, vota contro il suo governo. Ma va sotto, per alcune assenze (tra i centristi) alcuni voti a favore (ancora tra i centristi) e il venir meno del voto dei senatori a vita.

Napolitano: serve un nuovo voto
Giovedì 1 febbraio in serata Romano Prodi sale al Quirinale. Lo ha chiamato il presidente della Repubblica. Per un chiarimento, dopo il rovescio al senato. Per il capo dello stato l’approvazione dell’ordine del giorno Calderoli, con qualche voto del centrosinistra, è un problema politico da non sottovalutare. Lo scambio delle parti non può passare sotto silenzio: Napolitano impone il ritorno al senato del governo. Prodi intanto offre un vertice di maggioranza

La lettera degli ambasciatori
Sabato 3 febbraio il quotidiano la Repubblica pubblica una lettera firmata da sei ambasciatori in Italia (Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia,
Canada, Olanda e Romania) ispirata dal dipartimento di stato americano, in cui si chiede all’Italia di non tornare indietro dall’impegno militare in Afghanistan. Due giorni dopo il ministro degli esteri D’Alema definisce l’iniziativa «irrituale».

Il vertice degli omissis
Martedì 6 febbraio si riunisce un vertice della maggioranza. Nella sede dell’Ulivo arrivano i segretari di partito e i capigruppo. Tre ore di discussione alla fine delle quali l’Unione si ritrova in un documento di nove righe che conferma il «pieno sostegno» alla politica estera del governo e ribadisce che non c’è alternativa alla maggioranza. Si sottolinea la «comune volontà di
proseguire lungo le linee indicate nel programma dell’Unione». Non si parla né dell’Afghanistan né della base di Vicenza, ma la sinistra della coalizione apprezza la freddezza con cui il ministro degli esteri D’Alema ha risposto alla lettera degli ambasciatori.

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Più degli estremisti dissenzienti poterono i senatori a vita. L’arrivo a sorpresa di Pininfarina, l’Unione dal sollievo al disastro
(Ida Dominijanni)

Alle cinque della sera Massimo D’Alema e Francesco Cossiga avrebbero dovuto discutere fianco a fianco di un pezzo del passato che non passa nazionale, il Settantasette raccontato da Lucia Annunziata nel suo recente libro. Alle 16 l’appuntamento era stato ovviamente disdetto, ma che fosse stato preso la dice lunga sull’imprevedibilità della piega che la eventi avevano preso in mattinata al senato. Dove il presidente emerito era stato il primo a intervenire, intorno alle 13, dopo la replica del ministro degli esteri: per rivolgere «un caldo appello agli amici della sinistra radicale dissenzienti», affinché la smettessero di fare le bizze e si risolvessero a votare a favore di una risoluzione che più di sinistra di così non poteva essere. Lui invece avrebbe votato contro: «io sono Cossiga con la K, il Cossiga che ha dispiegato i missili e che è finito sotto processo per aver riconosciuto di essere a conoscenza di Gladio»: e come potrebbe uno con questo passato approvare una politica estera che mette l’Europa al primo posto, attacca i neo-cons americani, contesta la guerra preventiva e tutto il contrattacco americano all’11 settembre? All’«amico ministro», tuttavia, il presidente emerito non si era trattenuto dal rivolgere uno di quei predicozzi fra il paternalistico e il velenoso in cui è maestro.«Lei ha già commesso un grave errore, quello di dimettersi quando era presidente del consiglio. La prego, non ne commetta un secondo. Nella Costituzione non c’è scritto che se una risoluzione non viene approvata uno si deve dimettere».La solita tirata al «caratterino» di D’Alema o la percezione che la slavina stava per partire?
Fatto sta che a farla partire non ci pensa l’atlantista Cossiga, che il suo no lo aveva annunciato già prima e lo mantiene, ma Giulio Andreotti, diretto antecedente di quella «continuità di lungo periodo» della politica estera italiana che D’Alema rivendica in netta discontinuità con la parentesi berlusconiana. Andreotti parla brevemente dopo il primo intervento di D’Alema, approva «il dato positivo della continuità della nostra politica estera», non dichiara né un sì né un no, e dopo la replica di D’Alema si astiene, in tandem con Pininfarina. Perché nella replica D’Alema ha radicalizzato troppo il discorso, confermando la continuità di lungo periodo ma accentuando apertis verbis la discontinuità dal governo precedente? Difficile crederlo: quell’astensione aveva evidentemente obiettivi di sabotaggio politico più generali. E li ha raggiunti, perché diversamente da quello che tg e talk-show si metteranno subito a dire, più della non partecipazione al voto di Turigliatto e Rossi sono state le astensioni dei due senatori a vita a dare la mazzata al governo: regolamento del senato alla mano, se pure i due dissenzienti del Prc e del Pdci avessero votato a favore, la soglia dei voti necessari si sarebbe alzata di uno e un voto sarebbe comunque mancato. L’imboscata non è venuta dalla sinistra radicale, ma dal centro democristiano.
Due o uno che fossero i voti mancanti, la sostanza è quella che è: troppo gracile la maggioranza del senato, che è franata ieri come poteva franare in qualsiasi momento. Resta il fatto però che è sulla politica estera che «l’incidente» si è verificato. Il che rende l’esito della crisi più complicato. E’ sempre il solito Cossiga, alle 20 ,40, a sentenziare che il cammino è segnato e che tutto si risolverà con l’ingresso nella maggioranza dell’Udc, tanto più dopo la sua astensione di ieri. Ma una maggioranza allargata all’Udc potrebbe fare proprie le linee di politica estera tracciate oggi da D’Alema, la stessa «continuità» e la stessa «discontinuità», lo stessa «equivicinanza» a Israele e Palestina, lo stesso sguardo sul Libano, le stesse critiche a Bush, la stessa risposta alla lettera dei sedici ambasciatori? Non scherziamo. Cossiga infatti aggiunge puntuale la sua dose di veleno: «Certo, dopo che le dichiarazioni del ministro degli esteri sono state bocciate, bisogna cambiare, e me ne duole, anche il ministro degli esteri, e candidato ideale sarebbe Casini». Giulio Andreotti potrebbe dolersene di meno. E forse non aveva torto chi, giorni fa, aveva raccomandato a D’Alema di stare in campana, perché nella storia della Repubblica chiunque pretenda di fare politica nel mondo senza compiacere il potente alleato d’oltreoceano ci rimette o la poltrona o qualcosa di più.

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Filoamericano a vita. Imprese e atti del senatore Pininfarina
In molti si saranno chiesti come mai Tps (Tommaso Padoa Schioppa), il nostro accorto ministro dell’economia, si sia dato tanta pena per sostenere la decisione sulla Tav in Val Susa. Il voto di ieri al Senato offre una possibile spiegazione. Forse Tps, con quella estemporanea dichiarazione, voleva orientare il voto del massimo sostenitore della Torino Lyon ad alta velocità, Sergio Pininfarina. Il tentativo non è riuscito, Pininfarina, senatore a vita, cavaliere del lavoro, già presidente degli industriali, già parlamentare europeo, attuale presidente del quotidiano La Stampa, per 50 anni famoso mago del design automobilistico, ieri in Senato si è astenuto, facendo mancare il proprio indispensabile voto al centro sinistra, chiamato a difendere la linea del governo sull’Afghanistan. Una linea non gradita all’ambasciatore degli Usa Ronald P. Spogli e per questo malvista anche da Pininfarina.
Pininfarina è fondamentalmente un filoamericano. Ha sempre lavorato all’unisono con le case americane di auto, vendendo loro progetti ed elaborando prototipi. Il punto di massimo contatto si è realizzato nel corso del decennio ’80, con un episodio di politica industriale veramente fuori dall’ordinario. Possiamo leggerlo nella documentazione ufficiale dell’impresa: «Il 7 settembre 1983 scatta l’accordo per la produzione di un coupé-cabriolet a 2 posti su telaio Cadillac, la più prestigiosa marca della General Motors. E’ la prima volta che la General Motors affida ad un carrozziere esterno lo stile e la costruzione di una sua automobile in grande serie. Un programma che prevedeva una produzione giornaliera di carrozzerie della Cadillac Allanté trasportate attraverso un ponte aereo a partire dal secondo semestre del 1986, da Torino a Detroit. Oltre 22.000 Allanté rappresentano il frutto di questa importante commessa fino al 1993». Alcuni ricordano un ponte aereo andata-e-ritorno. Nella storia della Cadillac (http://www.4tutto.com/auto/storia/cadillac.htm) si legge: «aerei jumbo trasportavano a Torino gli organi meccanici ed oltre 100 componenti diverse prodotte negli Stati Uniti (dal cruscotto al climatizzatore). La pista dell’aeroporto di Caselle dovette essere allungata per consentire l’atterraggio del Boeing 747. Nella fabbrica di San Giorgio la Pinifarina montava gli organi meccanici e gli eleganti arredi interni sulle carrozzerie. Alla fine di questo processo le Allantè venivano spedite al Metropolitan Airport di Detroit al ritmo di 56 esemplari alla volta. Tra il 1987 ed il 1993 furono così costruite oltre 22.000 Cadillac Allantè. Questa convertibile … è oggi un classico molto ricercato fra i collezionisti».
Pinifarina è stato un grande industriale. Sempre il sito della sua impresa spiega così i suoi successi:« Nei suoi oltre cinquant’anni di lavoro, la Pininfarina ha avuto un costante e progressivo sviluppo tecnico e produttivo: il valore della produzione è aumentato di circa 90 volte da 8,2 m di Euro (650 m di Lire di allora) a oltre 700 m di Euro; le unità prodotte di oltre 100 volte: da 524 a oltre 53.000; il numero dei dipendenti è più che quintuplicato (da 560 a oltre 3000). Attualmente conta diversi stabilimenti, in Italia e all’estero». Non può che colpire il fatto che gli addetti siano aumentati di 5 volte e le auto prodotte di 100 volte. G. Ra.

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Due voti che sembravano sicuri
Al senato si astengono Andreotti e Pininfarina. Non votano Turigliatto e Rossi. Ed è caccia al colpevole
Andrea Fabozzi

Mattina presto, finisce il suo intervento D’Alema, nell’aula del senato si alza Giulio Andreotti, come sempre il primo ad intervenire. Raccomanda di non dimenticare l’Ocse e i giovani islamici laureati in Italia. Insomma parla d’altro. Sembra un po’ fiacco il senatore a vita, fuori dai giochi. Sembra.
Intanto Prodi sorride nella sala stampa di palazzo Chigi: «Era ora, questa bella iniziativa di Francesco ci accompagnerà nei vertici internazionali». Parla di Rutelli, che è lì al suo fianco, e di un altro genere di iniziativa: la presentazione del «logo Italia» che il governo ha deciso di lanciare proprio adesso. Il governo.
D’Alema intanto ha fatto il suo capolavoro. Il discorso sulla politica estera gli è venuto proprio bene. Dei sette dissidenti che c’erano al mattino non ne ha convinto nemmeno uno, ma cinque voteranno comunque a favore del governo il che è abbastanza. Sarebbe abbastanza se non ci fossero sorprese dai senatori a vita. Gli ex dissidenti si iscrivono a parlare uno dopo l’altro. Giannini e Grassi del Prc, poi Bulgarelli dei Verdi («è l’ultima volta che mi piego…»), poi Franca Rame che imbarazza il presidente di turno: «Posso fare adesso la dichiarazione di voto o la faccio più tardi?». «Più tardi, prego», risponde Gavino Angius. Stanno zitti solo il trozkista Turigliatto e l’ex Pdci Rossi.
Il ministro: sono molto onorato
Accanto a D’Alema c’è Livia Turco non perché è dalemiana, lo è, ma perché è senatrice e non può mancare. Poi arriva anche Mastella, l’altro ministro senatore. Si ferma a parlare del caso Abu Omar, dei Dico, tutte cose che sembrano importanti. Andreotti apprezza il riferimento di D’Alema alla continuità della politica estera. Alle dodici e trenta arriva Rita Levi Montalcini, con troppo anticipo, mancano più di due ore al voto. Cossiga ha già detto che vota contro «per coerenza alla mia storia atlantica». Ciampi lo aspettano. Colombo è sicuro. Scalfaro ha la febbre. Pininfarina l’ha preso in carico Fassino. Questo lo raccontano tutti: la risolvono tra torinesi. Il vecchio confindustriale non è mai venuto a votare ma stavolta deve un favore al segretario Ds. Il liberale Zanone è tranquillo. Andreotti c’è.
E’ mercoledì delle ceneri. Turigliatto annuncia che si dimette. Bulgarelli che si sospende dal partito. D’Alema comincia così la sua replica: «Il voto di oggi si presenta un po’ strano. Confliggono due mozioni che approvano entrambe la politica estera del governo. Sono molto onorato. Il senato gareggia su come sostenere il governo, diciamo». Ha deciso qual è l’insidia principale: la mozione di Calderoli che approva la politica estera del governo e la sua continuità con quella di Berlusconi. Non vuole sorprese a sinistra, si volta da quella parte e assicura che il governo ascolterà le preoccupazioni dei cittadini di Vicenza. «Si aprirà un dialogo, ne terremo conto». Poi si volta a destra, torna D’Alema: «Chi vuole votare contro la politica estera del governo lo faccia apertamente». Ma «non dica che è in continuità con quella del centrodestra perché non è vero». Dice «discontinuità» e guarda a destra. Al centro, ai senatori a vita, non guarda mai.
Pinin Farina si siede a destra
De Gregorio nella notte ha cambiato idea e voterà contro il governo. Arriva Anna Finocchiaro, la presidente del gruppone dell’Ulivo. Vestita di viola, che in qualche caso porta fortuna. Arrivano le telefonate di Fini e Berlusconi, Calderoli ritira la sua mozione. Follini e l’Udc comunicano che si asterranno. Al senato vale voto contrario, ma insomma è un segnale. Finocchiaro attacca anche lei: «Forse non posso competere in creatività con Calderoli, ma – dice alla destra – non dubitate della mia perfidia». Arriva Ciampi, sollievo a sinistra. Ma arriva anche Pininfarina, i senatori dell’Unione lo accarezzano con gli occhi ma lui non li guarda, gira dall’altra parte e va a sedersi proprio sopra Andreotti, tra due senatori di Forza Italia, Cingolani e Scarabosio. Zanone cerca di avvicinarsi, Cingolani e Scarabosio lo allontanano agitando rassegne stampa. Qualcuno pensa a Fassino. Finocchiaro si guarda intorno, Russo Spena fa i conti su un foglietto, poi si alza e punta Chiti al banco del governo. Non porta buone notizie. D’Alema fa la faccia a palloncino. Mastella sale da Marini, Marini dà la parola al senatore Rossi che conferma: «Non partecipo al voto». Turigliatto è già fuori dall’aula.
Tutti contro Rossi: vota, stronzo
Si vota. Si accendono le luci verdi dei sì, le rosse dei no, poi quelle gialle degli astenuti. Sono troppe: 24. Finocchiaro è la prima a capire. Si gira, fa due passi e urla in faccia a Rossi: «Vota». Cossutta, che siede lì accanto, non sembra Cossutta: «Devi votare», grida due volte. «Irresponsabile». E batte il pugno sul tavolo. Passano secondi inutili, Marini non chiude la votazione. «Stronzo vota», «venduto vota», tutti i senatori dell’Ulivo sono girati verso Rossi. Lui impassibile incrocia le braccia. La tesserina per votare abbandonata sul banco. Marini non chiude ancora. Zanone ci riprova con Pininfarina: «Che fai? Cambia voto». Le sue guardie del corpo iniziano a lanciare fogli. Arrivano i commessi. Andreotti non lo tocca nessuno. Rossi non cede. Sarebbe comunque inutile. Anche con il voto suo e di Turigliatto il governo sarebbe andato sotto. Marini finalmente chiude e annuncia: «319 presenti, 318 votanti, maggioranza 160, a favore 158, contrari 136, astenuti 24». Mozione respinta. «Stronzo sei contento?»,strilla Manuela Palermi. «Coglione, adesso la gente capirà quello che sei veramente», si incazza un senatore diessino che evidentemente lo conosce bene. Rossi per un po’ non si muove. Poi fa la cartella e se ne va, la tesserina sta per dimenticarla sul banco. Marini scampanella. D’Onofrio si prende la parola per precisare che l’Udc non si è astenuto per distinguersi dal centrodestra ma era un modo per far cadere Prodi. Sia chiaro. Finocchiaro si riguarda il tabellone. Calderoli riceve i complimenti. Russo Spena l’aveva detto. Un senatore fa persino coraggio a Rossi, che scende le scale tra gli insulti. Insultano anche De Gregorio. D’Alema si alza, Livia Turco lo guarda triste. Il centrodestra è tutto in piedi. Ballano e gridano: «Dimissioni, dimissioni, dimissioni». Volano rassegne stampa, copie delle mozioni, pagine di giornali con gli ultimatum di D’Alema. Andreotti scivola via. Nessuno lo vede. Nessuno lo ferma.

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EmiNews 2007

 

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