2853 Italia vista dal Brasile: Crisi di governo o Italia in crisi?

20070222 23:29:00 webmaster

di Bruna Peyrot, da Belo Horizonte

Ieri, 21 febbraio 2007, il governo Prodi è caduto. L’atto che lo ha sancito sono state le dimissioni presentate da Prodi stesso al capo dello stato Napolitano in tarda serata. L’atto che lo ha provocato è stata la votazione al Senato sulla mozione programmatica della politica estera italiana presentata dalla maggioranza al governo che è stata bocciata con 160 voti contro 158. I contrari infatti (coalizione di Forza Italia di Berlusconi) sono stati infatti 136 e gli astenuti (che in Senato valgono come se fossero voti contrari) 24. La mozione del governo recitava così: “Il Senato, ascoltate le comunicazioni del ministro Massimo D’Alema sulla politica estera, le cui linee fondamentali sono ispirate al rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, al ruolo prioritario dell’unione europea, al riconoscimento e al rilancio del ruolo dell’Onu, al rispetto delle alleanze internazionali, le approva".

La relazione del ministro D’Alema era stata ampia e importante ed aveva dato risalto ai seguenti punti: prima di tutto la rivendicazione di una coerenza in politica estera come condizione essenziale per la credibilità internazionale dell’Italia, dichiarando che "la politica estera del governo è stata coerente con gli impegni assunti con gli elettori e con gli interessi strategici del Paese". Sottolineando poi come la “Casa della Libertà” di Berlusconi avesse stravolto gli equilibri della politica estera italiana dopo l’ “11settembre”, D’Alema ha parlato della presenza italiana in Afghanistan: uno dei passaggi più attesi dalla sinistra radicale, sempre contraria a qualsiasi mediazione in merito e sostenitrice del ritiro assoluto dei militari italiani. "La pacificazione dell’Afghanistan non è una missione Nato ma dell’Onu, all’interno della quale la Nato svolge una funzione delicata e essenziale. Ma la missione è una missione soprattutto politica e civile. E’ questo che ripeterò al Consiglio di sicurezza dell’Onu", ha sottolineato D’Alema. Ragion per cui l’talia deve restare in Afghanistan perché "se non fossimo lì non potremmo più avere diritto di esercitare il nostro peso in seno alla comunità internazionale… e di svolgere un ruolo a favore della pace". Per questo: "L’Italia chiede alla comunità internazionale una conferenza internazionale per la pace in Afghanistan capace di coinvolgere tutti i paesi della regione e le istituzioni internazionali… Il ritiro delle truppe italiane sarebbe un atto unilaterale che allontanerebbe l’Italia dall’Unione europea e che ci isolerebbe”.

Altro punto difficile è stato il Libano dove, ha proseguito il ministro : ”i nostri militari stanno svolgendo un lavoro di straordinario rilievo, non solo, come è evidente, dal punto di vista militare, nella sicurezza, nell’interposizione, nella riduzione degli incidenti sul confine israelo-libanese, ma anche uno straordinario lavoro di assistenza delle popolazioni, di sminamento dell’area colpita dalla guerra, di prevenzione di incidenti fino a un lavoro di istruzione nelle scuole per evitare che i bambini libanesi vengono colpiti dalle cluster bomb”. Sul Medio Oriente e , più in generale, nel rapporto con il mondo islamico, il ministro aveva evidenziato la necessità di aprire "la porta dell’Europa" ai Balcani occidentali e alla Turchia, "perché il processo di adesione di un grande paese islamico è la grande risposta a chi teorizza lo scontro di civiltà" e sostenendo ancora che "l’Italia è tornato a essere un Paese amico sia degli arabi che di Israele".

Anche il tema “caldo” della base Usa a Vicenza (vedasi scheda Italia1 già spedita) è stato accennato da D’Alema dicendo che era possibile un maggior dialogo con la popolazione senza mettere tuttavia in questione l’alleanza con gli Usa.

D’Alema ha chiesto al Senato “il consenso più ampio possibile per continuare nel difficile e impegnativo cammino per la pace". Pur sapendo che alcuni non condividevano pienamente la sua politica , “persone che possono essere messe a disagio”, a loro ha chiesto “ un’adesione entusiastica a ogni passaggio, ma la valutazione di un impegno complessivo e dei valori a cui questo impegno si ispira".

Chiaramente il discorso limpido di D’Alema, rafforzato da una serie di azioni condotte nei nove mesi di conduzione del Ministero degli Esteri che hanno dato sostanza alle sue parole, è stato una sfida. A nostro avviso per diversi motivi. Il primo è che la politica estera del governo Prodi ha presentato una progettualità vera con idee e programmi che è stata apprezzata sia dagli stati interessati (per esempio il Libano) sia da buona parte degli italiani che ha ravvisato in questo modo di procedere la trasparenza di intenti dei propri dirigenti politici. Quella trasparenza alla quale lo stesso D’Alema ha invitato a conclusione del suo intervento: "E’ venuto il momento delle assunzioni di responsabilità. Chi condivide la politica estera del governo lo voti, chi non la condivide voti contro. Per noi è fondamentale misurare il consenso di quest’Aula, condizione preziosa per andare avanti con il lavoro".

Questo consenso tanto invocato è mancato per un soffio. Intorno alla mancata approvazione, a nostro avviso, si sono coagulati alcuni movimenti che possono essere così sintetizzati:

1) astensione di due senatori della “sinistra radicale”: Franco Turigliatto di Rifondazione Comunista e Fernando Rossi eletto nelle Marche nella lista dei Verdi-Comunisti italiani, ex troskista, due persone che pretendono di portare il linguaggio, spesso forte, delle piazze nelle istituzioni. A questo proposito non è possibile ora considerare il loro modo di ragionare un semplice comportamento individuale, perché essi esprimono in ogni caso un’area culturale italiana con la quale è spesso molto difficile confrontarsi sia per lo stile dei linguaggi sia per la radicalità delle posizioni che non accettano troppo il dialogo. A questa parte si deve chiedere di interrogarsi se è coerenza attaccare globalmente le politiche riformiste e poi stare seduti (con relativo stipendio) sugli scanni di una istituzione parlamentare e cosa e in che modo la loro radicalità pensa di costruire un società che pur è nazionale e quindi chiamata a esprimere un’identità collettiva in quanto tale;

2) altri personaggi che hanno agito la scena della “caduta” sono coloro che l’hanno sempre invocata, gli oppositori della “Casa delle Libertà” raccolti intorno alla mozione del senatore Roberto Calderoli della Lega Nord che in un primo tempo approvava l’operato del governo sostenendo che “continuava” la linea del precedente governo Berlusconi in politica estera. Solo dopo la dura replica di D’Alema – che ha affermato :"Credo che sia del tutto legittimo rivendicare la novità della politica estera del governo Prodi dal governo Berlusconi. Noi non avremmo aderito alla politica neoconservatrice dell’amministrazione americana e non avremmo mandato i soldati in Iraq" – la mozione Calderoli è stata trasformata in dissenso aperto.

3) attori importanti di questa drammatica vicenda sono però altri di cui si parla, tutto sommato, poco sulla stampa italiana concentrata sui due senatori della “sinistra radicale”. A nostro avviso invece bisognerebbe analizzare di più perché a questi conveniva la caduta del governo Prodi e proprio sulla politica estera. Si tratta di “vecchi” della politica: Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e Sergio Pininfarina. Sono senatori a vita, non eletti dunque, ma il loro voto è stato sempre determinante per dare la maggioranza a Prodi, fino alla mozione D’Alema. Che cosa è successo? Pininfarina da un anno non si presentava al Senato. Pare sia stato letteralmente obbligato a partecipare e convinto ad astenersi da Forza Italia. Cossiga che pur aveva sempre votato per Prodi si è astenuto a sua volta, affermando dopo che non avrebbe mai pensato a una caduta del governo in carica. Infine, Andreotti, colui che da oltre mezzo secolo tira molti fili della politica italiana, legato in modo molto stretto al cardinale Camillo Ruini, presidente della Commissione Episcopale italiana (Cei). Da poche settimane, infatti, erano pronti a diventare legge dello stato i cosiddetti “Dico” cioè o diritti e i doveri dei “conviventi” che avrebbero concesso a molti tipi di convivenza (fratelli e sorelle, amici ecc.) dei diritti di reversibilità (eredità, pensione ecc.). Far cadere l’attuale governo sulla politica estera – parte forte del governo in carica – per fermare invece proposte inaccettabili per l’establishment cattolico sembra essere tipica dei metodi strategici dei personaggi in questione;

4) i DICO, elaborati da una cattolica convinta come la ministra della Famiglia, Rosy Bindi e da una comunista e femministra come la ministra delle Pari Opportunità Barbara Pollastrini non sono piaciuti alla gerarchia cattolica che ancora pretende di interferire direttamente con i suoi uomini dentro le istituzioni italiane. Secondo la Cei, infatti, riconoscere qualsiasi convivenza umana, diversa da quella di marito e moglie significa avallare lo scardinamento della famiglia e quindi il principio anche di autorità su cui si basa la chiesa cattolica. In altre parole, la legislazione italiana deve sempre corrispondere alla visione del mondo cattolica. Neppure quella dei cattolici che ben diversamente si stanno comportando e anche esprimendo, come è successo anche in passato nelle battaglie per la legge su aborto e divorzio.
I DICO, dunque, era ed è la posta in gioco nel comportamento di Andreotti e Cossiga, ma soprattutto del primo che pochi giorni addietro aveva affermato che non sarebbero stati mai votati!

Questi fatti sollevano ancora alcune considerazioni di contesto, sull’Italia in generale:

1) Ci sembra sia in atto uno scontro profondo fra, principalmente, due Italie molto diverse fra loro, che si fronteggiano dai tempi del Risorgimento (voluto da una minoranza attiva, con senso utopico e unitario) e poi si sono combattute durante il fascismo e anche dopo, nelle politiche per lo sviluppo della modernità sociale italiana. Queste due Italie oggi sono una di fronte all’altra per la questione della laicità. Laicità significa che lo Stato si presenta e opera come un luogo aperto al’incontro e al dialogo con le diverse componenti anche religiose della società a partire dal loro rispetto della Costituzione che dà base ai valori che devono essere condivisi per la costruzione della cittadinanza. Oggi, la parte conservatrice legata alla Cei e a quella parte del cattolicesimo che ben rappresenta lo stesso papa Benedetto XVI, non vuole un’Italia libera dal giogo religioso, con leggi adeguate a rispecchiare ciò che già di fatto è. L’altra Italia, quella laica e progressista è ancora timida nel proporre le innovazioni che la interpretano anche sul piano istituzionale, come ha dimostrato il primo governo Prodi, caduto nel 1998. Molta parte dei cattolici è ormai insofferente di fronte alle ingerenze nella propria coscienza di vescovi e prelati che vivono staccati da una realtà di convivenze ben più complessa di quella dei palazzi vaticani.

2) La laicità ha anche un’altra misura: quella del rapporto Chiesa e Stato che in Italia è regolamentata dai Patti Lateranensi (art.9) della Costituazione. Da un lato altre componenti religiose hanno siglato o stanno per siglare (buddisti, islam ecc.) Intese con lo stato italiano sull’esempio di quelle più antiche di ebrei e valdesi. Questo riduce, se non nei fatti, sul piano culturale e simbolico lo spazio che si vuole egemmonizzare da parte del Vaticano che non è più il solo, soprattutto a livello culturale, detentore della “verità” pedagogica e formativa dei futuri cittadini con il privilegio – concesso dal Concordato – di ore di religione cattolica obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado pubbliche italiane. Questa paura di perdere la “pedagogia” della società italiana si è resa palese nel “no” ferrero di Ruini all’incarico di ministro della Pubblica Istruzioni dato a Rosy Bindi che pur cattolica sincera non è integralista né si lascia soggiogare dai diktat papali.

3) Un altro aspetto della questione riguarda la società italiana tutta e il “Progetto –Italia” che nessuno sa più esprimere. Chi siede in Parlamento è pur sempre stato votato – e da una legge elettorale assurda che ha voluto Berlusconi per tentare di non perdere le ultime elezioni di fatto perse, ma che sta impedendo comunque di governare – dai cittadini, una parte dei quali condivide la logica berlusconiana. Berlusconi non è certo da demonizzare, ma da battere politicamente, costruendo e producendo progettualità là dove lui ha disgregato lo stato e la società. Il suo modo di pensiero è diventata un ragionamento che ha messo radici nella società italiana: valore assoluto dell’interesse individuale, dignità di analisi al luogo comune, linguaggio popolare e poco analitico, tanta tv e poca lettura vera dei fenomeni e così via… Berlusconi è diventato un esempio per chi crede e rincorre il successo facile nella vita. Lo studio e la cultura vera sono stati oggetto di disprezzo dei berlusconiani che vantano la spocchia del non sapere come un valore.

4) Questi anni sono stati distruttivi del tessuto sociale profondo della società italiana che non ha trovato, neppure o poco attraverso la Sinistra, una globalità di visione. E interi patrimoni culturali che la alimentavano si sono lentamente esauriti: esaurita la memoria della Resistenza al nazifascismo, esaurita la storia del movimento sindacale e socialista perché sono state chiuse le sezioni di base dove si tramandava nella pur necessaria trasformazione del partito che ne era stato l’erede, cioè il Pci (Partido comunista italiano). Il problema che quelle scuole umane di base non sono state sostituite da nulla, spesso solo da giochi di potere fra individui interni ai partiti della Sinistra stessa.

5) Ognuno di queste punti meriterebbe una trattazione a sé. E altri se ne potrebbero elencare. Ci basti ricordare che l’Italia oggi sta male. Si autopercepisce divisa e senza futuro. Non lo si vede. E separata dai grandi tesori culturali che hanno fatto la sua storia: i valori della convivialità e accoglienza mediterranea, la storia di libertà che ha caratterizzato il movimento oepario e contadino, i gridi di libertà e di coerenza pieni di senso dello stato e della storia come Giacomo Matteotti, ucciso per aver denunciato i delitti fascisti. Sono queste storie, di italiani coerenti e leali verso il destino storico della propria patria che la cultura media italiana ha dimenticato.

6) Queste brevi note, in conclusione, per dire che la crisi che c’è dentro e dietro il governo Prodi è più ampia dei due voti in meno al Senato che l’hanno resa tale. E che non sarà certo né un governo tecnico né una nuova impresa elettorale a risolvere. Su queste considerazioni sarebbe oltre modo interessante aprire un confronto e un dibattito anche con gli amici brasiliani.

 

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EmiNews 2007

 

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