2864 Partito Democratico: cambiare è pericoloso ma necessario

20070223 17:51:00 webmaster

Renato Zangheri (da l’Unità)

Se la discussione sulla nuova formazione politica muove dal lato del sistema stesso dei partiti, del loro funzionamento, della loro capacità di soddisfare il bisogno di partecipazione che preme nella società, è inevitabile giungere a formulare un giudizio di partenza francamente negativo, e tale sembra l’opinione dei più. I partiti e il connesso ordinamento elettorale sono oggi ritenuti in Italia un fattore di ritardo e di rinvio delle decisioni, una causa di malcontento e di delusione.

Questo non significa affatto che non abbiano avuto un ruolo positivo nella storia dell’Italia contemporanea, ad esempio nella ricostruzione postbellica, nella lotta al terrorismo e in altri momenti di grande importanza nella vita del Paese, a partire dalla tenuta, in generale, del sistema democratico. E del resto la crisi non è soltanto italiana, semmai in Italia trova maggiori ripercussioni e complicazioni. E anche è da aggiungere che da noi, e fuori, si risolveranno veramente i problemi aperti solo in un quadro politico e istituzionale europeo, ivi compreso un approfondimento, che ancora non c’è stato, della natura e del profilo attuale dei partiti europei medesimi e del loro necessario ammodernamento. Vedo una giusta cautela su questo punto; sono però convinto che una autoriforma dei partiti europei, anche per estenderne la rappresentatività, darebbe slancio e coerenza al lavoro che si svolge in Italia per la costituzione di un grande partito democratico. È un lavoro nel corso del quale sono stati commessi degli errori nel più lontano e nel recente passato. Alcuni si potevano evitare, specie nelle procedure; altri sono derivati dalle stesse cause che rendono necessario un cambiamento. Era difficile anticipare i risultati positivi del cambiamento prima di cominciare a cambiare.

Ma c’è un altro aspetto della discussione, sicuramente rilevante, ed è il punto di vista della società, la visuale degli attori sociali. È stata presente in questi mesi una componente corporativa e negativa nella protesta di alcune categorie economiche e professionali contro il pacchetto di misure che prende il nome dal ministro Bersani. Parlo di uno degli aspetti più incisivi dell’azione di governo. Sarebbe tuttavia utile inserire quelle misure di riforma in una linea di insieme, necessaria nel suo insieme al Paese, e riconoscibile. Esiste altrimenti il rischio che provvedimenti utili e indispensabili vengano percepiti come dettagli di un programma del quale non sono ben visibili i contorni e il valore complessivo. Non è qui evidente la necessità di un partito che attingendo dalla società proposte, stimoli, critiche, organizzi una politica di riforme? Un partito democratico e popolare può essere un grande terreno di raccolta, di confronto, di selezione, di elaborazione delle domande sociali e locali, adatto a superare i particolarismi ma capace di tenerne conto e di farne valere il significato. Ostacoli di vario genere, una intera ideologia ostile alle riforme e al mutamento l’hanno impedito. Ma sottoposte le ideologie del ’900 ad un esame sereno, e soprattutto all’esame decisivo dell’esperienza, non è difficile ammettere che le cose necessarie possono essere fatte insieme, entro un quadro democratico, nell’interesse del Paese, sulla base della Costituzione. Fra gli altri importanti risultati di una larga convergenza e unità di forze riformatrici, indicherei questo: molti contrasti, che a volte sembrano insuperabili, fra gruppi e partiti della sinistra, verrebbero ricondotti nel partito democratico a differenze di valutazione dei tempi e dei modi, persino ovvie, evitando di farle assurgere a questioni capitali di identità.

Non credo d’altra parte che verrebbe negato a nessuno di tracciare prospettive di lungo periodo, epocali. Il socialismo stesso è passibile di correzioni, revisioni, invenzioni. (La parola è di Togliatti, e il problema è se quell’invito all’invenzione fu poi seguito, o se l’inventore si arenò: è ormai un problema storico; per mio conto credo che ci siamo arenati, almeno fino all’89 e oltre).

Il socialismo, diciamolo con schiettezza, non è all’ordine del giorno. Può essere doloroso riconoscere che una idea per la quale si sono spesi tanti sacrifici è diventata vaga e metaforica. È senz’altro doloroso: ma non possiamo fingere una certezza che non abbiamo. È invece urgente riformare il sistema politico, battere i poteri che impediscono lo sviluppo dell’economia, provvedere a garantire la salute e il lavoro di ogni essere umano, promuovere e favorire l’ascesa materiale e morale delle donne. Sono programmi e obiettivi in parte diversi da quelli tradizionali della sinistra e del centrosinistra, più adeguati alla realtà che viviamo, possibili anche se ardui. Credo che non dispiacerà ai giovani scorgere l’affacciarsi di una forza nuova, popolare, animata da spirito combattivo e costruttivo, che ha abbandonato vecchi rancori e cancellato le barriere che l’avevano divisa troppo a lungo, pronta ad ascoltare le voci delle giovani generazioni. Essendo fuori delle prospettive concrete, il puro e semplice richiamo al socialismo ci porterebbe sopra la realtà, in una zona di predizione e di dibattito quasi accademico, ci staccheremmo dai problemi del Paese, o, nella migliore delle ipotesi, daremmo un nome da molti ritenuto vecchio e fuorviante, sebbene non privo di gloria, a ipotesi di lavoro nuove. Perché allora non chiamare queste ipotesi, se ci sono, col loro nome? Ad essere sincero, non ho sentito in questi anni nessuna particolare passione per un dibattito ideologico fine a se stesso. Passione però per i diritti civili, per la difesa dell’ambiente, per la tutela della salute, per la causa delle donne: questo sì, è il tema di tutti i giorni, ispira lotte pacifiste, dedizione di volontari, grandi progetti umanitari, un’etica dell’impegno, della solidarietà. Queste sono le frontiere sulle quali si discute e si combatte, e più dovrà essere fatto per portare masse di donne e di uomini in ogni Paese all’altezza della loro dignità e del loro futuro.

Ci si può ora chiedere: perché un partito nuovo, anziché una federazione di partiti esistenti, eredi di tradizioni non tutte esaurite, esperti nella pratica organizzativa, largamente conosciuti? Ma restare fermi di fronte a un mondo in veloce cambiamento è ciò che non conviene. A me sembra poco ragionevole insistere su linee superate, dal momento che molte risposte ci sono state date: che l’unione moltiplica e rafforza la coesione, che le divisioni, spesso pregiudiziali, sono fonte di incomprensioni reciproche, che ai grandi sconvolgimenti del mondo si reagisce con adeguati mutamenti nella cultura e nella pratica politica. Cambiare, in definitiva, è difficile e rischioso quanto necessario.

 

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EmiNews 2007

 

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