3006 Da badanti ad assistenti familiari – dossier di "NOI DONNE"

20070323 16:15:00 webmaster

Si prende cura dei nostri anziani, dei malati e senza di lei il nostro sistema sanitario sarebbe ormai al collasso, ma è una figura fragile. Chi sono le “badanti”?
(Daniela Ricci e Catia Iori)

Arriva dai Paesi dell’Est come turista e in pochi giorni è una clandestina senza identità. Come far emergere un fenomeno sommerso così diffuso? Come salvaguardare la qualità di un lavoro indispensabile, l’integrazione sociale delle donne che lo svolgono e al tempo stesso i bisogni e l’economia delle famiglie?

Sono in gran parte straniere le “assistenti familiari”, definite comunemente con il termine poco appropriato di “badanti”, occupate nell’assistenza di anziani e di persone non autosufficienti. Una marea di 500mila o forse 700mila donne (le cifre in questo caso non sono ufficiali così come il fenomeno in gran parte sotterraneo, complesso quanto molto diffuso) che si è estesa in ogni luogo d’Italia, dal più piccolo paese alla più grande metropoli, ha fatto ingresso nelle nostre case e si prende cura di noi, delle nostre famiglie, dei nostri anziani. Senza di loro oggi nel nostro Paese il sistema di assistenza sarebbe in seria crisi. La maggior parte di loro proviene dall’Est Europa e arriva in Italia regolarmente con un visto turistico che dura pochi giorni. In genere sono alla prima esperienza lavorativa e restano in media un anno nel nostro Paese. Il tempo di accantonare un gruzzolo che servirà a tamponare le difficoltà per le quali sono state costrette a partire, poi fanno rientro a casa. Secondo i dati raccolti circa la metà di loro sarebbe clandestina, ricattata e sfruttata da organizzazioni illegali prive di scrupoli che guadagnano sul traffico “di cura”. Le altre sono contattate attraverso conoscenti o parenti ma solo per una minima parte di loro il contatto con le famiglie avviene mediante un servizio pubblico o un’agenzia. Il lavoro è molto duro e chiede spesso un’assistenza continua agli anziani e ai malati, 24 ore su 24, in cambio di 700/800 Euro mensili. E quando si perde il lavoro si perdono anche la casa e i mezzi per vivere. Alcune Regioni hanno ratificato formalmente la figura dell’assistente familiare. Su questa base già da tempo in Italia si stanno svolgendo esperienze significative per sostenere le famiglie nelle spese legate al carico di cura, per l’avvio di percorsi formativi rivolti alla qualificazione del lavoro delle assistenti familiari e di progetti finalizzati a sollevare dall’isolamento le donne che svolgono questa attività. Ed è recente il riconoscimento della figura per contratto – in via di definizione mentre chiudiamo il servizio – e l’impegno della ministra Rosy Bindi ad istituire un Fondo nazionale non autosufficienza per sostenere le spese delle famiglie. Il fenomeno richiede tuttavia ulteriori approfondimenti e scelte che vanno ad intrecciare ambiti politici differenti, dal sociale al lavoro a quello dell’immigrazione. In queste pagine apriamo su questi temi un’ampia riflessione.

Il fenomeno e il contesto
IL PRIMO IMPIEGO DELLE DONNE IMMIGRATE
le donne immigrate come nuovo Servizio di cura familiare

Da sempre la prima occupazione delle donne immigrate è il lavoro di cura (ricomprendendovi dentro anche il lavoro di pulizia che ne è figlio) intesa in senso ampio, in quanto competenza ascritta ovunque al genere femminile e trasmessa dalle madri alle figlie di generazione in generazione. Perciò il baliatico, l’accudimento dei bambini, il lavoro domestico, da ultimo, la cura degli anziani e delle persone disabili, sono la “naturale” nicchia lavorativa di prima destinazione della immigrazione femminile. Quindi un sapere di cura e una disponibilità alla cura immediatamente spendibile sul mercato del lavoro occidentale senza particolari iter formativi che lo precedano, a costi relativamente bassi che si incrocia con le esigenze di aiuto di famiglie, ieri benestanti e oggi di tutti i ceti sociali. Il fenomeno delle “badanti” si inscrive perciò nello scenario mondiale della migrazione femminile esasperando in senso “etnico”un mercato del lavoro di cura, soprattutto a tempo pieno, che come sappiamo è ormai occupato essenzialmente da donne straniere. La sua connotazione presenta alcune caratteristiche importanti di novità. E’ esploso nell’arco di pochissimi anni raggiungendo dati quantitativi altissimi, vede una nuova immigrazione femminile dell’Est europeo con buona o alta scolarizzazione possesso di competenze professionali specifiche e di esperienze lavorative pregresse, è motivato da condizioni economiche collassate dal crollo del sistema sovietico che per quanto non siano da povertà estrema sono comunque schiacciate solo sui bisogni primari, si presenta in realtà familiari di tutti i ceti sociali e soprattutto in famiglie i cui membri conoscono solo la realtà del lavoro subordinato ed hanno solo l’esperienza “dalla parte dei lavoratori”. In particolare il fenomeno “badanti” risponde a una cultura (o dovere sociale) della domiciliarità resa sostenibile da un prezzo della cura ancora competitivo con i ricoveri residenziali, una esigenza di supporto domiciliare nei confronti di una grande età anziana sempre più bisognosa di assistenza tutelare, carenze del sistema di welfare impostato secondo un’ottica prestazionale e connessa essenzialmente ai bisogni biologici, una impossibilità/indisponibilità alla cura a pieno tempo da parte dei familiari, in particolare delle donne che, come già visto: se giovani, non riescono a conciliare il lavoro per il mercato con un surplus degli impegni di cura e comunque non sono più disponibili a farsi carico da sole di una assistenza ad alta intensità, se più anziane, hanno problemi di tenuta fisica e comunque non intendono impegnare il tempo ritrovato solo nella assistenza familiare

Nazionalità, culture, storie
UNA PLURALITÀ DI RUOLI, UN FENOMENO INGOVERNATO
secondo le stime ufficiali nel nostro Paese le assistenti domiciliari sono 500mila ma i dati del sommerso ne raddoppiano il numero

Chi sono le donne immigrate che vivono al nostro fianco: le nuove serve? I nuovi servizi alla persona? I nuovi sostituti familiari? Le quasi figlie? Le nuove donne di casa?
Il fenomeno delle assistenti familiari ci ha sorpreso impreparati; non è stato governato all’inizio e lo è poco tuttora; lo si sta inseguendo, in corsa; non è ancora diventato, insieme alle famiglie degli anziani che sostengono da sole l’affiancamento e il pagamento di tali figure, un punto rete dei welfare locali di cui sono co-partner e a cui consentono significativi risparmi.
La regolarizzazione del fenomeno avvenuta nel 2002 ha fatto registrare 702mila domande, di cui l’84% (590mila) per assistenza familiare o collaborazione domestica e il 16% per lavoro subordinato, di esse 321.000 domande da parte di donne (45,7%) e fra queste 233.000 (74%) di provenienza dall’Est europeo, di cui 90.000 ucraine, 65.000 rumene, 26000 polacche, 26000 moldave. Le iscrizioni all’INPS nel contratto colf (quindi regolari) per l’anno 2003 sono state 490.678 (l’8,5%° degli abitanti). Tuttavia nel Rapporto della Caritas veneta si parla del 68% di badanti non regolarizzate, un dato che va più che a raddoppiare i numeri sopra indicati.
La graduatoria generale delle prime 10 nazionalità presenti nel nostro Paese vede un netto predominio delle Ucraine e delle Rumene (48,3% delle regolarizzate), seguite dalle moldave.
L’aumento della immigrazione dai paesi dell’Est europeo nel periodo cha va dal 2002 al 2003 è stato del 754%. Le dimensioni del fenomeno nel sommerso registrano comunque oggi di nuovo, una presenza altissima di curanti straniere senza permesso di soggiorno in quanto la regolarizzazione ha sanato solo quel periodo lasciando pressoché inalterate le quote dei flussi migratori, ad eccezione dell’ultimo decreto del 2006 (15.000) che comunque non ha inciso significativamente sul problema. Si ritiene che oggi, in base ad alcune ricerche, non abbiano il permesso di soggiorno: il 77% delle assistenti familiari straniere (Censis); il 43% delle assistenti familiari straniere (Fondazione Andolfi). In sostanza tutte le stime coincidono, comunque, nel ritenere che le assistenti straniere non siano meno di 500.000 e in ogni Regione o zona la loro consistenza quantitativa supera di gran lunga gli investimenti dei servizi locali in atto sul versante della Assistenza domiciliare
Il profilo delle assistenti familiari straniere può essere diviso in tre categorie: le donne anziane, le donne giovani e le migranti pendolari.
Le donne più anziane (le più numerose) che per prime nel 2000 hanno affrontato il percorso migratorio, hanno un età compresa tra i 40 e i 55 anni; possiedono un buon titolo di studio – tra loro ci sono moltissime diplomate e molte laureate – e una professionalità ben definita in cui si identificano e che hanno esercitato fino al 1990/91 con esperienze di lavoro strutturato e di immigrazione. In genere sono sposate, con figli grandicelli; molte sono separate o con matrimoni fragili da cui intendono prendere le distanze utilizzando a tale scopo anche la scelta migratoria. Hanno, Infine, un progetto di guadagno con il massimo risparmio che considera le esigenze della famiglia allargata e che prevede un ritorno programmato.
Le donne più giovani che si stanno presentando dal 2002, hanno un’età che va dai 23 ai 33 anni, fresche di studi, spesso interrotti dopo il diploma, sono in genere nubili o già separate. con figli piccoli che vengono curati da parenti e con progetti matrimoniali di radicamento sociale e di non ritorno.
Le migranti pendolari, sostanzialmente le polacche, sono donne di varie età e scolarizzate che godono di una legislazione particolare in grado di consentire interessanti strategie di conciliazione in base a cui sulla stessa situazione di cura si possono alternare, nell’anno, due figure curanti in una ottica di mini-impresa (in genere amiche fra loro o della stessa famiglia).
Analizzando il contesto di provenienza delle donne ucraine e moldave possiamo constatare che molte di loro hanno lavorato nei Kolkotz, hanno vissuto nelle case “di fabbrica” in convivenze collettive; hanno fatto l’esperienza del regime sovietico (studio, lavoro e servizi per tutti ma senza libertà) e l’esperienza della perestroika (libertà ma crollo economico, mafia, lavoro di spaccio). Tante hanno vissuto il dramma di Cernobil dell’86 di cui hanno conosciuto le caratteristiche contaminanti solo dopo un mese (1600 agglomerati urbani sotterrati, 1.500.000 abitanti coinvolti, 15% delle zone agricole contaminate) mentre i loro padri o zii hanno vissuto la grande carestia del 1932/33 (6 milioni di morti) e l’esperienza dei gulag da cui molti non sono tornati. Per la prima volta affrontano questa dura esperienza della migrazione di massa al posto degli uomini: un vero e proprio esodo con conseguenze psico-sociali pesantissime, tenute a bada da rapporti telefonici e da pulmini itineranti (nella sola regione della Bucovina oltre 2mila pulmini fanno la spola settimanale con l’Europa di cui 700 con l’Italia).
Per quanto non “nostrane”, le “badanti” sono apprezzate comunque perché hanno la pelle bianca, quindi in qualche modo europee e perciò più vicine a noi per cultura e stili di vita rispetto alle donne che arrivano dal Sud del mondo. Sono poi in grado di meglio orientarsi rispetto alle nostre esigenze; sono in genere ben curate, ben scolarizzate e diverse provengono da professioni parasanitarie quindi già orientate all’assistenza.

I PASSAGGI CRITICI CONNESSI AL LAVORO DI CURA DA “BADANTE”
• La decisione di partire e gli ingaggi in loco
• La separazione dalla famiglia ma soprattutto lo strazio del distacco dai figli piccoli gestiti per telefono
• Un viaggio da strozzinaggio (specie se clandestine) con pulmini molto “polivalenti”
• L’arrivo nei nostri territori e il dramma della lingua
• Il ruolo ambiguo delle “badanti anziane” connazionali che sistemano a pagamento
• L’esperienza della solitudine, dello straniamento e della povertà estrema che incontra l’assistenza locale gestita in genere dalla Caritas in un contesto di umiliazione
• Il muoversi nei territori da invisibili e senza nessun luogo proprio
• L’arrivo nella nuova famiglia e l’esame di competenza da superare
• La voglia di tenerezza e di un affetto e il problema della lealtà coniugale

Nel curriculum: serietà, affidabilità, prontezza
UNA TAPPA DEL VIAGGIO DI RITORNO VERSO EST
la rappresentazione del lavoro di cura è un progetto a breve termine

Il lavoro di cura per le donne dell’Est è considerato come un periodo di passaggio in cui non si identificano professionalmente perché da sempre svolto gratuitamente in famiglia in aggiunta al vero “mestiere” per il quale hanno studiato e rispetto a cui si è definito il loro ruolo sociale. In tale ottica il fare la curante, a tempo pieno, ma anche a ciclo diurno, non è ritenuto una prospettiva a lungo termine anche in caso di rivisitazione del progetto migratorio, ma un lavoro da lasciare non appena possibile per altre scelte che non si identifichino con la casalinghità e che non richiedano la messa in ostaggio della propria libertà. La fatica più sentita riguarda la totalità di tempo da mettere a disposizione e la necessità di una convivenza forzata che, quando si aggiunge a pluripatologie pesanti con forti deterioramenti cognitivi, non regge nel tempo se non a gravi rischi per l’assistito e per la lavoratrice. Resta il fatto, comunque, che il lavoro di cura loro affidato è svolto generalmente con impegno, serietà ed affidabilità poiché loro possiedono una forte cultura familiare che ha rispetto ed attenzione verso gli anziani; hanno una chiara consapevolezza circa l’assolvimento dei compiti per cui si è pagati e possiedono una grande facilità all’apprendimento, sia per il livello di istruzione posseduto, sia in quanto le differenze culturali non sono disorientanti anche se va chiaramente riconosciuta l’esigenza di brevi percorsi formativi professionalizzanti.

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"CEDESI BADANTE
PREZZO DA CONCORDARE
CELL. 00/0000 TELEFONARE ORE PASTI"

AVVISO POSTO IN UN BAR DI PARMA APRILE 2005
(vicino all’Ospedale Maggiore)

senza commento
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A.A.A. soluzione familiare cercasi
RITRATTO DI FAMIGLIA IN UN INTERNO
che cosa conduce alla richiesta di aiuto per l’assistenza ad una persona cara, quali sono le aspettative e come ci si muove nel mercato del lavoro di cura?

Le famiglie italiane che si avvalgono delle lavoratrici curanti appartengono a tutti i ceti sociali: è la prima volta nella storia che famiglie operaie diventano datrici di lavoro con una serie di problemi e contraddizioni non preventivate. Le famiglie devono, da sole, gestire operazioni e procedure complesse (la ricerca, il contratto, l’addestramento) intrecciando passaparola e uffici che si muovono secondo logiche settoriali. Tendono a negoziare il contratto a volte in modo discutibile a causa sia della difficoltà in cui si trovano, sia di una fatica economica legata a situazioni che si prolungano (costi annui che ormai arrivano, con le sostituzioni, sui 15mila € a cui sommare quelli legati al funzionamento di una “casa aperta”) in presenza, soprattutto oggi, di lavoratrici sempre più consapevoli dei loro diritti e della loro strategica utilità. Molte famiglie di fatto non hanno altra scelta che quella di impiegare lavoratrici in nero (in particolare quelle che abitano in zone non”appetibili”, dalle lavoratrici regolari o che si presentano con situazioni molto pesanti alle spalle) con una serie di problemi a cascata che rendono la situazione a rischio o molto critica. Si stanno rendendo conto sempre più che la badante non è la soluzione di tutti i loro problemi per cui occorre continuare ad aggiungere sempre nuovi servizi di supporto o adottare la soluzione delle strutture protette a causa di aggravamenti terminali non più sostenibili a domicilio. Le famiglie cercano dalla badante innanzitutto una copertura temporale massima, disponibilità per tutte le esigenze che si presentano, amorevolezza, affidabilità, affetto. In sostanza, anche perché prese da sensi di colpa nei confronti di anziani delusi nelle loro aspettative, cercano una figura che li sostituisca e una sorta di servizio complessivo. La conoscenza della lingua, per quanto venga ritenuta importante, è un aspetto che la famiglia valuta in subordine al primo punto, pur dovendo sempre più registrare, soprattutto ad esperienza avviata, che si tratta di un elemento fondamentale per stabilire delle relazioni e dei “legami”. La competenza professionale o comunque un approfondimento di ciò che la badante sa realmente fare sul versante assistenziale e del governo della casa fa parte di un approfondimento successivo dopo aver considerato gli aspetti per così dire relazionali e di tipo etico legati innanzitutto a un saper “essere”. In sostanza i familiari ritengono di poter compensare le competenze mancanti legate al sapere e al saper fare assumendosi il carico di un accompagnamento lavorativo e formativo che si sta rivelando molto più pesante e complesso del previsto e che non può essere gestito solo secondo un’ottica del “fai da te”. Gli anziani hanno sempre sperato di essere assistiti dalla propria famiglia e dai propri figli (anzi figlie) ma si stanno rendendo ben conto che questa speranza non può più essere “coltivata”(anche perché i figli sono sempre meno) per quanto cerchino di “farsi curare poco” per non essere di peso. Nell’insieme gli anziani si stanno adattando alla cura delle badanti bianche, sebbene siano presenti fenomeni di resistenza, agiti in modi diversi e spesso sotterranei che, in certe situazioni portano a “consumare” una badante dopo l’altra. Sta di fatto che, generalmente, gli anziani partecipano troppo poco al percorso di scelta e decisionale che riguarda la persona con cui dovranno condividere il quotidiano anche perché la ricerca delle “badanti” è sempre fatta dai familiari in situazioni di emergenza. Ovviamente l’assenza di una esperienza della cura che avviene in situazione di convivenza fa sì che anche gli anziani non abbiano riferimenti a cui collegarsi per cui a volte passano da rapporti di tipo “padronale” e di controllo esasperato a rapporti di tipo genitoriale e familiare con una serie di complessità di cui oggi ci si comincia a rendere conto anche in funzione di necessari interventi mediativi da assicurare.

Le donne immigrate: cosa pensano di dover fare
COME CAMBIA IL PATTO DI CURA FRA LE GENERAZIONI
quali aspettative hanno le donne immigrate e che cosa ricevono?

In genere, soprattutto all’inizio o da parte di quelle che non si sono sufficientemente informate, le donne immigrate rispetto al lavoro di cura con anziani danno molta importanza a un saper stare che non contempla, tuttavia, tutte le difficoltà relazionali che esso richiede e gli investimenti da mettere in atto per quanto riguarda la costruzione di un legame che non può attingere a una storia in comune. Conta molto per loro uno “stare con” che, pur prevedendo un tempo “continuo”, non tiene conto né della stanchezza psicologica che sopravviene, né degli stimoli cognitivi, comunicativi, espressivi e di rinforzo/manutenzione della autonomia residua che dovrebbero essere assicurati e che sono tali da richiedere un impegno e una autoimprenditività che vanno ben oltre la casalinghità. E’ importante, poi, il “saper fare” che attinge dalla loro cultura familiare e dalla loro cultura femminile senza pensare che debbano essere “riconvertite” in quanto agite in un contesto diverso e senza mettere in conto che dovranno prendere in carico situazioni di pluripatologie, spesso non ancora diffuse nei loro paesi e che hanno bisogno di tecniche assistenziali ben precise. Non meno importanti sono ritenuti gli aspetti connessi a un rapporto lavorativo che comunque è di tipo sessuato e viene percepito come tale soprattutto dagli anziani maschi con problemi cognitivi (ma anche da altri) con una serie di criticità tanto più complesse in quanto gestite in grande solitudine. A fronte di questa nuova realtà si pongono comunque degli interrogativi di fondo: come può una società non essere in grado di onorare il patto di cura fra le generazioni e finire per comprare la cura dalle donne dei paesi poveri?
A quale prezzo affettivo le donne dei paesi poveri vendono la cura e l’accudimento ai bambini e agli anziani dei paesi ricchi sottraendo a se stesse e ai propri cari il diritto che viene riconosciuto agli altri? Quanto si potrà sensibilizzare e promuovere, almeno per le donne dell’est europeo (i cui paesi sono relativamente vicini) forme di conciliazione che consentano una presa in carico di un anziano da parte di due figure che si alternano nel lavoro di cura?
E infine: per quanto tempo sarà disponibile questa nuova generazione di curanti dalla pelle bianca, dai modi fini e con una buona istruzione? Per quanto tempo ci si potrà permettere una cura familiare che prevede un rapporto uno a uno?

Da badanti ad assistenti familiari
IL RUOLO DELLA COOPERAZIONE SOCIALE
la proposta di una cooperativa di utenti e di imprese per i servizi di assistenza domiciliare

Come accompagnare e sostenere la transizione dalla figura di “badante”, una lavoratrice autonoma, esclusa dalla rete dei servizi, spesso in situazioni di irregolarità, a quella di “assistente familiare”: una lavoratrice regolare, inserita in una comunità professionale e nella rete dei servizi? Una proposta in merito è stata avanzata dalla cooperazione sociale nel corso del convegno “Da badanti ad assistenti familiari: il ruolo della cooperazione sociale” organizzato a Reggio Emilia da Legacoop, Ceis, Consorzio Quarantacinque Legacoop Reggio Emilia, Consorzio Cooperative Sociali Quarantacinque in collaborazione con il Centro di Solidarietà di Reggio Emilia attivo nell’accoglienza e accompagnamento di migranti.
Lega delle Cooperative di Reggio Emilia e Consorzio Cooperative Sociali Quarantacinque hanno sviluppato nell’ultimo anno un’importante riflessione sul tema del rapporto tra badantato e cooperazione sociale in forza della loro partecipazione a due PIC Equal (Aspasia e Fuori Orario).
"La cooperazione sociale potrebbe avere un ruolo importante – afferma Ildo Cigarini, presidente di Legacoop Reggio Emilia – nella definizione di una figura professionale più strutturata come quella dell’assistente familiare. È possibile fondere le mutualità interne ed esterne attraverso la costituzione di cooperative di utenti capaci di rispondere al bisogno di assistenza delle famiglie e a quello sociale». Concorda con questa ipotesi Alessandro Corvino del Centro Studi Marco Biagi, esperto di legislazione del lavoro: "È ipotizzabile la creazione di una cooperativa di utenti, regolata sul modello delle cooperative di consumatori, che sia in grado di aggregare le famiglie e mettere in rete le competenze di altri soggetti". Il ruolo giocato dalla cooperazione sociale nell’innovazione di questi servizi secondo Loredana Ligabue, coordinatrice nazionale di Equal Aspasia è quello di "diventare espressione diretta della domanda territoriale di solidarietà, inclusione e servizi sociali per rinnovare i valori propri della cooperazione e rendendoli aderenti ai nuovi bisogni". E quale assetto potrebbero avere questi modelli, lo spiega Mauro Degola, segretario generale di Legacoop Reggio Emilia che prefigura "il superamento dell’attuale sistema dei flussi di ingresso, il sostegno all’emersione del lavoro nero tramite deduzioni e detrazioni fiscali, la creazione di una cooperativa di utenti che si occuperà di organizzare e qualificare il lavoro di cura e di supportare la famiglia negli adempimenti burocratici". La strada da percorrere è indubbiamente quella della legalità, come conferma Ramona Campari, segretaria nazionale Filcams Cgil "Le assistenti familiari vivono oggi ai confini dei diritti. La via d’uscita dall’irregolarità potrebbe avvenire passando attraverso il datore di lavoro impresa, un’impresa dove queste lavoratrici possano diventare protagoniste. Maria Chiara Acciarini, sottosegretaria di Stato alle Politiche per la Famiglia chiarisce l’impegno del Governo: "di dare una svolta alle politiche sia in tema di immigrazione che di servizi sociali" riconoscendo il ruolo di grande rilievo rivestito dalla cooperazione sociale della quale "andrebbero valorizzati gli interventi di semplificazione, aiuto e sostegno alle famiglie".

ESPERIENZE A CONFRONTO

L’incontro domanda-offerta
Il progetto “ELSA Politiche di empowerment delle lavoratrici straniere addette alla cura”, promosso a Forlì, Cesena e Svignano sul Rubicone, prevede l’inserimento dei nominativi che hanno superato un corso di formazione in una banca dati utilizzata dallo sportello di incontro della domanda e dell’offerta di lavoro. Rientrano nello stesso intervento le azioni di accompagnamento al lavoro di cura con la supervisione periodica del lavoro, il collegamento dell’assistente con la rete degli aiuti professionali, la pronta sostituzione in caso di abbandono, la mediazione dei conflitti e lo svolgimento di pratiche burocratiche. Una prima sperimentazione nell’ambito dei servizi per l’albo lavoratori, anagrafica anziani e incontro domanda/offerta è stata avviata nel dicembre 2003 dal Comune di Modena attraverso lo “Sportello Informanziani”, poi sviluppata, all’interno del progetto Madreperla, anche in diversi comuni della provincia modenese. Sono attivi a Parma, Fidenza, Borgo Val di Taro e Langhirano, presso le sedi dei Centri per l’Impiego, i “Centri Risorse”, servizi che operano in rete con gli altri soggetti pubblici e privati del territorio, fornendo un incrocio tra la domanda e l’offerta di lavoro e informazioni di carattere sanitario, abitativo, sociale, culturale, di socializzazione. Alle donne immigrate viene fornita inoltre l’opportunità di partecipare a specifici percorsi di formazione professionale e successivamente all’inserimento in uno specifico albo che riconosce e garantisce la professionalità raggiunta.

I percorsi di formazione
"Aspasia – Assistenza domiciliare anziani: sistema integrato di servizi a persone e imprese” è un progetto nazionale che si rivolge a vari soggetti: assistenti familiari e badanti, anziani e famiglie, cooperative sociali ed enti locali. Oltre a creare un sistema integrato di modelli per l’inclusione e a qualificare le professionalità delle badanti, il progetto intende favorire le sinergie tra gli attori del welfare locale e sviluppare una rete informativa tra istituzioni e soggetti del Terzo Settore con: la creazione di un database (Sportello Informanziani Professionale) di informazione e aggiornamento professionale continuo, l’apertura di centri locali polifunzionali che offrono servizi di incontro domanda/offerta, orientamento, counselling, tutoraggio e sostegno all’integrazione delle addette all’assistenza. Le aree coinvolte dalla sperimentazione sono tre: Emilia Romagna (Bagnolo), Puglia (Brindisi) e Sicilia (Ragusa). “ITER strumenti per la certificazione di percorsi femminili” mette in campo in Piemonte la formazione delle assistenti familiari straniere allo scopo di fornire competenze linguistiche e informatiche di base, ma anche competenze professionali (di cura, sanitarie e assistenziali) e prevede la creazione di un albo badanti al quale possono iscriversi le assistenti che hanno ottenuto la certificazione delle competenze.

L’emersione del lavoro nero
Con “Fuori Orario” l’impresa sociale in Emilia Romagna intende offrire non solo nuovi servizi all’interno di un sistema di welfare, ma anche un bacino di occupazione e sviluppo per l’imprenditoria. Tra gli obiettivi del programma: la costruzione di un modello integrato pubblico-privato di servizi assistenziali a domicilio forniti dalle imprese e cooperative sociali delle province di Modena e Reggio Emilia con la definizione di un sistema di incentivi a sostegno della domanda e dell’offerta ufficiale di assistenza privata e un quadro di azioni per la semplificazione burocratica a favore di coloro che intendono accedere al mercato regolare del servizio di cura attraverso le imprese cooperative; il potenziamento organizzativo della cooperazione sociale; la definizione di un piano sperimentale per l’emersione del lavoro nero nel settore dei servizi di cura e assistenza.

Il progetto ‘Madreperla’
È stato realizzato nel corso del su scala regionale grazie al sostegno del Fondo sociale europeo, Ministero politiche sociali e Regione Emilia-Romagna. La Provincia e il Comune di Reggio Emilia hanno affidato alla dott.ssa Ebe Quintavalla il coordinamento su scala locale che prevedeva l’apertura di un punto di incontro. Questo strumento “ha inteso rispondere – recita il documento progettuale – ai bisogni di socializzazione e di un luogo di riferimento per sé cercando di dare una risposta alle situazione di isolamento, di solitudine delle donne immigrate, soprattutto se impegnate nella cura a tempo pieno, ma anche al loro bisogno di creatività, ai loro interessi, alla costruzione di scambi culturali e di relazioni amicali”. Il Punto di incontro è stato fin dall’inizio una casa dove le donne immigrate si sono incontrate ma anche confrontate con le realtà locali, qui ha aperto lo Sportello di aiuto e auto-aiuto per affrontare e superare i momenti di difficoltà. La creazione del Madreperla è stata coordinata da un gruppo di lavoro composto da donne, in prevalenza dell’Est ma anche gruppi di volontariato e associazionismo locale, come la Caritas cittadina e un’operatrice del centro d’ascolto “Sintonia” della parrocchia di San Pellegrino. Nel corso dei primi incontri si è voluto portare alla luce il genere di rappresentazione del lavoro di cura svolta dalle donne immigrate, le richieste, i problemi e i bisogni espressi o inespressi all’interno della loro esperienza lavorativa ed è emerso con chiarezza che occorreva approfondire i bisogni delle donne immigrate e costruire un metodo di lavoro. Sono quindi emerse le linee guida che hanno caratterizzato il punto di incontro dove si possono svolgere attività di socializzazione e per il tempo libero, come festeggiare compleanni e ricorrenze significative. La struttura è dotata di un televisore corredato da antenna satellitare, lettore video e dvd; di una piccola biblioteca per rendere possibile la consultazione di vocabolari, manuali di italiano, ricettari di cucina locale e italiana, guide turistiche e guide ai musei. Si può telefonare ai propri famigliari con tessere di credito pre-pagate; utilizzare una postazione di videoscrittura e internet gratuito; confezionare abiti con la macchina da cucire. Ci si prende cura di sé nello spazio per il taglio dei capelli e la messa in piega e si può disporre di uno spazio cucina attrezzato. Qui si svolgono, inoltre, attività e corsi brevi inerenti, in particolare, il lavoro di cura e si ricevono informazioni e orientamenti su città, provincia e servizi territoriali.
(22 marzo 2007)

www.noidonne.org

 

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EmiNews 2007

 

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