3049 «Povero lavoratore italiano»: ha il salario più basso d'Europa

20070330 11:53:00 redazione-IT

Secondo il rapporto Eurispes su lavoro e retribuzione in Europa, negli ultimi 5 anni il reddito degli italiani è quello che è cresciuto meno e «solo i portoghesi si accontentano di retribuzioni inferiori alle nostre». Colpa dell’inflazione e non solo.

(Scarica il rapporto dal link in alto a sinistra)

Povero lavoratore: l’inflazione ha prosciugato i salari italiani. Basta quasi leggere il titolo del rapporto Eurispes su lavoro e retribuzione nel Vecchio Continente fra il 2000 e il 2005, per rendersi conto che la percezione diffusa che la qualità della vita dei cittadini italiani negli ultimi cinque anni sia peggiorata, è in realtà molto più che una sensazione: è un dato di fatto. Dati e grafici alla mano, il prestigioso istituto di studi politici economici e sociali, in 12 paginette (chiare quanto disarmanti) ci spiega infatti che i salari italiani, nel giro di un solo lustro, sono divenuti tra i «più bassi in termini di potere d’acquisto di quelli della stessa Grecia e superiori, in Europa, solo a quelli del Portogallo». A mettere all’angolo i lavoratori italiani sono stati in sostanza due fattori concomitanti: da un lato un’inflazione superiore ai livelli europeo e dall’atro il sostanziale blocco delle retribuzioni.

Ma andiamo con ordine. Dall’Eurispes ci dicono che, prendendo in considerazione il periodo, mentre vi è stata una «crescita media del salario comunitario – per l’insieme dei paesi europei – del 18%, nel nostro Paese i lavoratori dell’industria e dei servizi (con esclusione della Pubblica amministrazione) hanno visto la propria busta paga crescere solo del 13,7%». Ma non solo. Se infatti diventa abissale la dofferenza con la Gran Bretagna (prima in classifica nel vecchio Continente) che ha visto crescere i salari dei propri lavoratori del 27,8%, non ce la passiamo meglio nel confronto con le retribuzioni in Francia (+17,5%), Spagna (+ 17,2%) e Portogallo (+16,2%).

Solo la Germania e la Svezia (paesi che comunque hanno livelli retributivi ben più alti dei nostri) segnalano una crescita inferiore (rispettivamente +11,7% e +7,7%), mentre i lavoratori di Gran Bretagna, Norvegia, Olanda e Finlandia hanno visto, nel quinquennio, la propria busta paga accrescersi di oltre il 20%. Passando dalle percentuali agli euro, questo basso livello retributivo (anzi «infimo» per usare i termini del rapporto Eurispes), si nota soprattutto su due dati: il costo medio in euro per ora di lavoro e il livello del salario netto annuo del lavoratore dipendente. In Italia nel 2004 il costo medio in euro per ora di lavoro (calcolato sui dati forniti dallo Yearbook dell’Eurostat e relativo ai lavoratori a tempo pieno in imprese con più di 10 dipendenti, escluse l’agricoltura e la Pubblica amministrazione) era di 21,3 euro. Laddove in Danimarca e Svezia era sopra ai 30, in Belgio, Francia, Olanda, Finlandia e Germania e Gran Bretagna tra i 25 e i 30. Insomma: una cifra inferiore a quello di tutti i paesi europei ad eccezione della Spagna (14,7 euro), della Grecia (13,3 euro) e del Portogallo, che è anche il paese dove i costi del lavoro sono minimi (9,5 euro all’ora).

Ma è passando al reddito netto del lavoratore dipendente nei diversi paesi europei (secondo i dati elaborati dall’Eurostat e dall’Ocse e forniti a quelle agenzie dagli Istituti nazionali di statistica fra i quali, per l’Italia, l’Istat), calcolato a parità di potere d’acquisto, che i dati Eurispes ci spiegano come le retribuzioni in Italia sianno veramente le più basse d’Europa. Anzi di più: «Si nota subito la posizione infima del lavoratore italiano – penultimo nel 2006 fra tutti i paesi europei – si legge nel rapporto Eurispes- giacché solo i portoghesi si accontentano di retribuzioni inferiori alle nostre».

Infatti: laddove nel 2006 un lavoratore del Belpaese aveva un reddito netto di poco più di 16mila euro, un lavoratore inglese si aggirava sui 28mila, uno francese sui 19mila, uno spagnolo sui 17mila e così via. Ma soprattutto, quello che preoccupa, è il fatto che negli ultimi tre anni la nostra posizione è peggiorata: nel 2004 ed ancora nel 2005 le nostre retribuzioni nette erano superiori a quelle greche e appena inferiori a quelle spagnole. Nel 2006 vi è stato il sorpasso della Grecia. E il motivo di questa perdita di posizioni è facilmente spiegabile, ci dicono dall’Eurispes: «di fronte ad una crescita dei salari in Europa dell’ordine del 15% in tre anni (con punte di oltre il 30%, come in Gran Bretagna ed in Grecia) il salario italiano si è accresciuto solo del 4,1%, la crescita più contenuta fra tutti i paesi del Vecchio Continente».

Infine l’inflazione che ha giocato un ruolo non trascurabile nel deprimere i salari dei nostri lavoratori in termini di potere d’acquisto: essa infatti negli ultimi quattro anni, e cioè dal 2002, ha avuto un andamento decisamente superiore alla crescita dei salari riducendo ulteriormente il valore reale in termini di potere d’acquisto. «L’effetto congiunto dell’erosione del potere d’acquisto causata dall’inflazione, dell’elevato peso del cuneo fiscale e della contenuta dinamica salariale spiega perché – si legge quindi nelle conclusioni del rapporto Eurispes – pur essendo il costo del lavoro nel nostro Paese ben più alto che in Spagna e Grecia ed è di poco inferiore a quello britannico, il reddito che resta al lavoratore (salario netto a parità di potere d’acquisto) sia sceso nel 2006 al di sotto di quello degli spagnoli e dei greci e a poco più della metà (57%) di quello del lavoratore del Regno Unito».

Di fronte a questi dati, se proprio vogliamo darci una magra consolazione, gli studiosi dell’Eurispes, ci dicono che «da un punto di vista della competitività, ciò si dimostra naturalmente un vantaggio, perché la modesta dinamica salariale, se confrontata con quella dei nostri partner europei, ci assicura un discreto vantaggio in termini di costi». Insomma: dato che i lavoratori italiani vengono pagati meno, convengono di più ai datori di lavoro. E chissà che un giorno anche l’Italia, come i cosiddetti paesi in via di sviluppo, diventerà un Paese dove a imprese e industrie conviene delocalizzare.

http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=64743

 

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EmiNews 2007

 

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