3100 IMMIGRAZIONE: Arrivano in Italia per cercare lavoro e finiscono per creare nuovi impieghi

20070418 21:52:00 redazione-IT

Gli imprenditori non comunitari sono 227.000, provengono da 150 Paesi e crescono del 10% annuo. Ricerca di Unioncamere, Nomisma, Crif e Adiconsum. Rimesse stabili; consumi e investimenti crescono al crescere dei profitti

ROMA – Arrivano in Italia per cercare lavoro e finiscono per creare nuovi impieghi. Gli imprenditori non comunitari sono 227.000, provengono da 150 Paesi differenti e crescono al ritmo del 10% annuo. Lo sostiene una ricerca redatta da Unioncamere, Nomisma, Crif e Adiconsum. Le rimesse sono stabili, mentre consumi e investimenti crescono al crescere dei profitti. Il 70% ha un rapporto con le banche, e il 40% ha chiesto un finanziamento, per un valore medio di 34.000 euro.

L’immigrazione diventa sempre più "un"opportunità per il sistema Italia”, secondo Giorgio De Rita, amministratore delegato di Nomisma. “La creazione di impresa è di per sé una scelta di cittadinanza, uno strumento di impianto nel nostro Paese – ha continuato De Rita – e il sistema del credito deve servire sia ad intercettare i nuovi imprenditori e risparmiatori, sia a promuovere un’integrazione degli stessi nella società”.

Negli ultimi 5 anni le imprese individuali di stranieri sono aumentate di 100.000 unità, ad un ritmo del 10% annuo, contro l’1,2% della crescita della base imprenditoriale complessiva nazionale nel 2006, arrivando a rappresentare il 34% delle nuove imprese individuali nell’ultimo anno. L’80% dei nuovi imprenditori è emigrata in Italia dopo il 1990, e il 60% dopo il 1995. Solo il 10% delle imprese straniere censite era nato prima del 2000, mentre il 20% delle attività sono state create nel 2005.

Nella maggior parte dei casi si tratta di imprese create da zero, solo il 12% ha rilevato attività già esistenti. Il 66% dei titolari ha studiato almeno fino a 17 anni e il 67% dichiara di voler rimanere per sempre in Italia. Il 70% delle ditte individuali non hanno dipendenti, tuttavia il 15% hanno un collaboratore, il 12% hanno fino a 5 addetti, e l’1% contano più di 10 lavoratori. Il 23% delle imprese ha aumentato il fatturato negli ultimi tre anni, mentre solo il 15% ha diminuito il giro d’affari. L’aumento dei guadagni si traduce in aumento dei consumi e nuovi investimenti, mentre le rimesse rimangono sostanzialmente stabili al crescere del reddito. Gli investimenti medi si aggirano sui 10.000 euro e nella maggior parte dei casi sono frutto del ricorso all’autofinanziamento, a cui si affiancano i prestiti di amici e parenti (16%) e delle banche (15%).

Sette imprenditori stranieri su dieci hanno rapporti con le banche, soprattutto per il conto corrente (95%) e per la gestione di incassi e pagamenti (24%). Il 40% hanno chiesto un prestito, il cui valore medio è di 34.000 euro, un valore gonfiato però dal 26% delle richieste per l’acquisto di immobili. Le imprese immigrate sono finanziate in primis dalle banche di dimensioni piccole (26,8%), più radicate sul territorio, mentre i medi e grandi istituti detengono rispettivamente il 19,4% e il 20,5% del mercato. Negli ultimi tre anni il tasso di insolvenza dei prestiti è stabile, ma aumentano i tassi di sofferenza (quasi l’8% a giugno 2006), ovvero i ritardi di due, tre mesi nei pagamenti delle rate.

Secondo Enzo Mario Napolitano, di Welcome Banking, il sistema finanziario e creditizio deve aprirsi alla realtà dell’immigrazione, ma senza buonismi. Una volta assistiti nella fase di apertura dell’azienda, le imprese devono essere lasciate al mercato e “gli imprenditori debbono poter entrare nelle camere di commercio e nelle banche come imprenditori e basta, senza aggettivi, né colori”. Il commercio è commercio. (gdg)

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EmiNews 2007

 

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