3087 IL DIRETTIVO DELLA FIEI AUSPICA IL RAPIDO AVVIO DI UNA NUOVA FASE POLITICA

20070406 19:54:00 redazione-IT

(da Notizie FIEI)

Il Direttivo della FIEI, riunitosi il 27 marzo scorso presso la sala F.Santi della CGIL Nazionale, ha approvato la direzione introduttiva della Segreteria FIEI illustrata dal segretario generale Rodolfo Ricci.
Numerose le questioni affrontate durante l’incontro a cui hanno preso parte i membri della Segreteria e della Presidenza Michele Speranza, Cesare Novelli, Rino Giuliani, Stefania Pieri , Francesco Berrettini, Filippo Fiandrotti, oltre a Abdou Fayè, Francesco Calvanese, Carlo Lai, Rita Riccio, Nando Odescalchi, Elisa De Costanzo, Carmelo Nucera. Erano anche presenti Francesco Raco della FILEF di Sydney, Carlo Ghezzi, presidente della Fondazione "Di Vittorio", Antonio Bruzzese, Coordinatore delle attività della F.Di VIttorio in America Latina e Andrea Amaro, dell’Uff. Italiani nel mondo della CGIL Nazionale.

Di seguito alcuni stralci della relazione approvata.

DIRETTIVO FIEI del 27 Marzo 2007 RELAZIONE INTRODUTTIVA

Ci ritroviamo a distanza di diversi mesi dall’insediamento del nuovo Governo e dei primi parlamentari eletti all’estero nella storia del nostro paese.

In questa sala, alla fine di giugno dello scorso anno, assieme alle manifestazioni di grande soddisfazione per il risultato storico del voto e l’elezione di 5 componenti dei nostri organi dirigenti (Bucchino, Bafilfe, Fedi, Farina e Micheloni) avevamo auspicato con i compagni parlamentari eletti, l’avvio di una stagione nuova di lavoro comune e collegiale che valorizzasse la diffuse competenze di cui il mondo del nostro associazionismo dispone e che sostenesse l’azione parlamentare e di Governo sulle questioni degli italiani all’estero da una parte e dell’immigrazione dall’altra.

Ricorderete che avevamo appena superato una fase di accese discussioni polemiche che avevano caratterizzato la fase della campagna elettorale e quella subito successiva, relative sia alla insufficiente partecipazione da molti registrata in sede di definizione delle candidature, sia alla mancata elezione – per pochi voti – di alcune compagne e compagni che senza dubbio avrebbero meritato di sedere anch’essi in Parlamento.

Voglio poi ricordare che un’ulteriore frizione sia era registrata nel dibattito sulla conferma, o meno, del Ministero degli italiani nel Mondo, sulla proposta innovativa, ma probabilmente non ancora matura, del Ministero delle Migrazioni e quindi sull’indicazione del Viceministro per gli italiani all’estero.

Su tutti questi temi si era giunti ad una esposizione mediatica molto forte, con la presenza anche maldestra di tali polemiche fin sulle pagine di importanti quotidiani nazionali.
Vale la pena ricordare che la posizione della FIEI, come quelle delle sue organizzazioni aderenti, è stata caratterizzata, fin dall’inizio della campagna elettorale, dalla ricerca della massima unità e collegialità delle forze politiche e sociali che vi erano impegnate, pur nella distinzione di ruoli e funzioni, e dal sostegno convinto alla presentazione di liste unitarie dell’Unione all’estero; dalla richiesta di riconoscimento della pari dignità tra tutte le forze nazionali e locali che contribuivano alla mobilitazione elettorale e dalla necessità di strutturazione e condivisione di un programma che recuperasse e facesse propria tutto la ampia e innovativa discussione che si è sviluppata negli ultimi due decenni su questo versante, la cui significativa sperimentazione era iniziata già con il primo Governo Prodi, quando Piero Fassino aveva la delega di Sottosegretario al MAE.

Durante la campagna elettorale, la FIEI ha avuto occasione di manifestare pubblicamente il proprio dissenso verso le posizioni che tendevano ad accentuare presunte autosufficienze o posizioni unilaterali da qualsiasi parte provenissero, richiamando sempre alla necessità di comprensione delle diverse situazioni, di colloquio e interlocuzione con ogni ambito di aggregazione e rappresentanza democratica che sosteneva l’Unione nei diversi paesi, non soltanto perché ritenevamo e riteniamo che questa sia una prassi in ogni caso corretta, ma anche perché era l’unica che poteva risultare efficace e vincente. Tutto ciò a partire dalla consapevolezza delle modalità storiche in cui si è costituita la rappresentanza nell’universo dell’emigrazione italiana nel mondo, delle le relazioni tra i momenti di rappresentanza politico-partitica, sociale ed associativa.

Questo ragionamento è stato praticato congiuntamente con la CGIL e le sue organizzazioni, è stato anche condiviso formalmente, purtroppo non è stato praticato da tutti con la necessaria coerenza.
I risultati del voto, quelli positivi e quelli meno positivi, e i successivi esiti polemici cui ho prima accennato, danno conto della giustezza della nostra posizione.
Una posizione, vorrei aggiungere, che non ci ha visto affatto isolati politicamente, ma in ottima compagnia: oltre alla CGIL, altre importanti organizzazioni, come le ACLI e un più vasto fronte di associazionismo democratico hanno condiviso e sostenuto posizioni simili alle nostre.

Ciò ha costituito, tra l’altro, un’importante premessa per il positivo esito di un’altra lunga battaglia sostenuta in prima persona dalle organizzazioni della FIEI dentro la CNE (Consulta Nazionale dell’Emigrazione), che ha portato al rinnovo di questa importante sede di confronto istituzionale, alla elezione del compagno Rino Giuliani alla sua Presidenza, all’inaugurazione di una nuova fase di discussione e di confronto positivo tra le forze associative nazionali.
Ma su questo, il comp. Giuliani avrà modo di aggiornarci in modo approfondito durante la nostra discussione.

Bisogna poi rilevare come, subito dopo le elezioni, il tavolo di consultazione permanente dei partiti dell’Unione sia letteralmente “saltato”, per l’ accentuata conflittualità interna tra le sue forze principali, per la marginalizzazione lamentata da altre ed infine per il disinteresse oggettivo di altre ancora.
Solo in queste ultimissime settimane, a distanza di quasi un anno, questo tavolo pare essersi ricomposto, quanto meno è tornato a riunirsi, incentivato, probabilmente, dal paventato rischio di imminenti elezioni anticipate.

A questo si deve aggiungere un certo scontento lamentato dai nostri parlamentari eletti, in ragione di obiettive difficoltà nell’azione dei due rami del Parlamento, con il ricorso frequente al voto di fiducia e con la conseguente difficoltà di disporre di un luogo di approfondimento aperto delle questioni specifiche dell’emigrazione italiana che aspettano da decenni di essere risolte.

Una difficoltà che, su un versante più ampio, è anche manifestata dalla scarsa visibilità dei parlamentari sul piano dell’opinione pubblica nazionale; ciò continua a riprodurre, pur dopo la novità storica del voto all’estero, una condizione di secondarietà e marginalità dell’emigrazione italiana sullo scenario nazionale, sia sul piano delle sue storiche rivendicazioni, e ancora di più, se si vuole, quanto alla lettura strategica dell’emigrazione come risorsa e alla presunta, potenziale funzione “sprovincializzante” che i nuovi parlamentari dell’estero avrebbero potuto assumere ad esempio rispetto all’altro grande tema dell’immigrazione nel nostro paese.

Alcuni nostri parlamentari hanno anche pubblicamente lamentato la insufficiente interlocuzione con il Governo; e noi ci sentiamo di aggiungere che appare anche insufficiente la capacità dei parlamentari eletti nelle liste dell’Unione di lavorare assieme con obiettivi condivisi o almeno con una strategia comune, pur nella normale differenziazione delle questioni ritenute prioritarie.
Anche rispetto a questo, ancora soltanto negli ultimi giorni pare essere stata ricostituita una sede formale di confronto con il Vice Ministro; ma il fatto che riprendano forza e consenso le ipotesi di comitato interparlamentare, proposta inizialmente di Tremaglia, che raccolga tutti i 18 eletti all’estero, dà conto di una certa “volontà di riscatto” che accomuna gran parte degli eletti a prescindere dal proprio orientamento politico.

E’ anche corsa voce, nei giorni della crisi, di un costituendo “Partito degli emigrati” da affiancare alle liste dell’Unione, oppure di una sorta di AISE mondiale (sull’esempio della lista del Sen. Pallaro).

Tutto ciò costituisce il segnale di un certo disorientamento e scontento che pervade molti ambienti, anche se i risultati ottenuti in sede di legge finanziaria, relativamente agli stanziamenti per la nostra emigrazione, non sono stati negativi: si è trattato comunque di uno dei pochi capitoli di spesa che complessivamente non risultano essere stati tagliati e che anzi hanno riscontrato un pur modesto aumento.

Siccome a distanza di soli due mesi dall’approvazione di una delle maggiori manovre finanziarie della storia d’Italia, si evidenzia un insperato trend positivo sia sul versante delle entrate che su quello dell’aumento del tasso di incremento del PIL, è possibile riproporre con convinzione un’azione che consenta il raggiungimento di alcuni risultati.
Per far ciò è opportuno ed essenziale il rilancio di un confronto ampio che recuperi, o meglio inauguri, ciò che fino ad oggi è in gran parte mancato: vale a dire un tavolo di confronto e discussione che metta insieme il fronte della rappresentanza sociale ed associativa dell’emigrazione italiana, quello della rappresentanza politica, quello parlamentare e di governo, finalizzato alla ridefinizione di un programma minimo di legislatura, condiviso e che possa godere del sostegno del CGIE.
I temi da affrontare sono molti e, a prescindere dalla inopportunità di procedere da soli, o in ordine sparso, c’è anche da dire che nessuno pare disporre di saperi e competenze esaustive ed autosufficienti sul merito delle varie questioni.

Dalle materie fino ad oggi prese seriamente in considerazione dai parlamentari e dal Governo, ad esempio, continuano a restare fuori un molteplicità di temi, (solo alcune affrontate in sede CGIE), di fondamentale rilievo e di valore strategico: per esempio quelli relativi alla armonizzazione delle politiche regionali, alla formazione e qualificazione professionale, al sostegno alla piccola imprenditoria, alle nuove generazioni, alla cooperazione internazionale, agli interventi di scuola e cultura, alle situazioni di povertà e indigenza, ecc.

Ci si trova sempre più frequentemente di fronte ad equivoche interpretazioni o letture; ne cito solo alcune:

a)- che il mondo dell’imprenditorialità e del lavoro autonomo degli emigrati italiani, come quello dei fabbisogni formativi e di qualificazione dei lavoratori e dei giovani possa essere rappresentato in via prioritaria dalle camere di commercio;

b)- o che i problemi dell’assistenza sanitaria in America Latina si risolvano con il finanziamento di polizze assicurative locali, in un momento, in cui, invece, si assiste in quei paesi, alla ristrutturazione dei locali sistemi sanitari in chiave di maggiore partecipazione pubblica, analogamente ai sistemi sanitari europei; ciò, che aprirebbe interessanti opportunità di cooperazione nell’ambito dell’assistenza sanitaria e quindi ancora più interessanti momenti di relazioni tra l’Italia e questi paesi rispetto alla volontà di rafforzamento dei locali sistemi di welfare.
E comunque un incremento dell’assistenza diretta non può far cadere l’attenzione per la proposta di assegno sociale per le fasce indigenti o in difficoltà dei nostri connazionali più anziani.

c)- altro equivoco molto frequente è quello che confonde e sovrappone la rappresentanza dell’emigrazione con il ruolo di servizio dei patronati.

Oppure ci si trova di fronte a decisioni che lasciano francamente perplessi, come l’affidamento di un mega-progetto di 6 milioni di euro da parte del Ministero del Lavoro alla partecipata “Italia Lavoro” per realizzare qualche ricerca in America Latina (Brasile, Argentina, Uruguay) sui fabbisogni formativi dei nostri giovani emigrati e sulle potenziali connessioni con il mondo delle imprese italiane che hanno ivi delocalizzato; abbiamo avuto modo di far presente che con 6 milioni di euro, solo per portare un esempio, si possono installare 60 laboratori informatici permanenti in altrettante località latino-americane, per contribuire a ridurre il il “digital divide” che affligge anche i nostri giovani connazionali residenti in quelle aree.

Altro fatto non condivisibile, quello della “silenziosa” riconferma di un programma, a titolarità del MAE, ma cofinanziato dalla UE, secondo un modello a suo tempo proposto proprio dalle nostra organizzazioni FIEI e CGIL in Europa, di consistenza pari a circa 40 milioni di euro da spendere nel quinquennio 2007-2011 per i programmi ITENETS e Partenariati transnazionali; cosa strana è che sui risultati del precedente analogo programma, di analoga consistenza finanziaria, se ne sa quasi niente, né, a parte noi, c’è stato qualcuno che abbia almeno posto l’interrogativo.

Si potrebbero citare una serie di altri esempi, come i criteri di finanziamento ai centri di lingua e cultura, che 10 anni fa si era riusciti ad ancorare, su nostra proposta a Piani-Paese discussi ed approvati da Comites, CGIE e MAE e che sembrano, adesso, ancorati a niente; come anche i criteri di assegnazione di contributi del MAE per la stampa e l’informazione delle nostre comunità, o per le iniziative culturali; aggiungo anche l’incredibile indifferenza verso politiche di sostegno all’associazionismo nazionale, ecc..

Ciò che vogliamo porre in evidenza è che si sta riproducendo una prassi per la quale una ristrettissimo numero di attori molto autoreferenziali discute –poco e con pochi elementi- e decide da solo.
A nostro parere, quindi, la problematicità di questo momento si registra sia su un fronte tecnico che su un fronte strategico.
Su quest’ultimo piano, una acquisizione molto innovativa di dieci anni or sono, quella cioè della assoluta necessità di un coordinamento interministeriale degli interventi per la nostra emigrazione che facesse interloquire il MAE con il Ministero del Lavoro, della Pubblica Istruzione, delle Pari Opportunità, del MINCOMES, della Cultura, è finita nel dimenticatoio.

Come FIEI e anche come CNE al completo, abbiamo sollecitato in più occasioni il Viceministro a inaugurare una prassi di consultazione; a una positiva risposta non sono seguiti atti conseguenti.

Non vogliamo sottovalutare la già difficile situazione dei nostri parlamentari, ma non si può negare che anche con loro, le opportunità di colloquio e confronto siano molto scarse; e con ciò, forse, al di là di tutto, ne risulta affievolita la loro capacità di proposta e la possibilità per tutti, di rafforzare e consolidare i rapporti con le comunità italiane all’estero.

Quanto al CGIE, esso si ritrova oggi, dopo la rielezione delle cariche rese vacanti dalle dimissioni di diversi parlamentari eletti, – positiva come risultato, ma decisamente infelice quanto a metologia applicata che rischia di renderlo ingovernabile e molto conflittuale al proprio interno-, nella incredibile situazione di essere nuovamente sotto scacco dalla seconda decisione del TAR del Lazio che non ha riconosciuto i criteri di nomina dei membri dei Patronati e dei Sindacati, con l’ennesima esclusione dell’EPASA-CNA a favore del patronato della Coldiretti (che si chiama EPACA), evidentemente inesistente all’estero.

Quindi in un momento politicamente molto importante, il CGIE è, e presumibilmente resterà di nuovo inattivo per diverso tempo, a fronte di scadenze importanti che erano state programmate come la Prima Conferenza Mondiale dei Giovani italiani all’estero, il dibattito sulla sua riforma (oltre a quella dei Comites) e il suo ruolo alla luce della novità della rappresentanza parlamentare, il dibattito sull’azione delle Regioni e la preparazione della Conferenza Stato-Regioni-P.A.-CGIE.

Tutti questi fatti messi in fila forniscono un quadro preoccupante; e riproducono una sorta di sindrome del “Governo amico”, da cui vengono talvolta irretite realtà organizzate che hanno sostenuto con convinzione l’affermazione di una compagine di governo e che, pur perseverando nell’intenzione, trovano, via via, sempre maggiori perplessità rispetto alla sua azione, collezionando elementi di critica che tuttavia restano inespressi.

Credo che siano in molti a trovarsi in questa situazione. E, senza voler per forza trovare giustificazioni, ciò costituisce uno dei motivi per cui anche la FIEI ha attraversato in questi ultimi 6 mesi una fase di “impasse”. All’aver fatto presente pubblicamente, in alcune circostanze la delicatezza della situazione, ci si è anche trovati anche di fronte a inopportuni ammonimenti.

Una situazione questa che risulta non accettabile, dal nostro punto di vista, poiché non può portare ad altro che ad un ulteriore indebolimento complessivo: dell’azione di governo da una parte e delle organizzazioni che lo sostengono, dall’altro; infine dell’immagine stessa dei parlamentari.

Crediamo sia invece necessaria una rapida svolta, per molteplici ragioni:
Primo, che, alla luce della migliorata situazione economica del Paese, diversi obiettivi su cui la grande maggioranza delle organizzazioni politiche ed associative può certamente convenire, sono realisticamente raggiungibili, quindi da riproporre con convinzione.
Secondo, che bisogna farlo in fretta perché nessuno può dare per certo che torneremo a votare nel 2011. Appare molto più probabile una scadenza diversa. E agli elettori, qualche risultato significativo bisognerà presentarlo !
E in ogni caso, la storia di impegno e di lavoro di mezzo secolo delle nostre organizzazioni, ci impone da una parte la rivendicazione di alcuni risultati visibili e contemporaneamente la tutela di un’immagine di coerenza e di serietà che ci ha storicamente caratterizzato e che deve continuare a caratterizzarci.

Vorrei a questo proposito far nuovamente presente, qualora ce ne fosse bisogno, che il mondo del nostro associazionismo si trova impegnato. fin dal suo nascere, su un doppio fronte: uno è quello del versante italiano, di cui stiamo abbondantemente parlando anche in questa occasione; l’altro, per niente secondario, è quello della rivendicazione di pari diritti e misure di integrazione nei paesi di accoglimento, un momento caratterizzato tra l’altro, dalla progressiva intensificazione delle relazioni politiche ed istituzionali locali e dal progressivo riconoscimento del suo ruolo di attore sociale e civile in paesi a grande presenza migratoria, come dimostra il consistente aumento della presenza di nostri connazionali in tutti i momenti di rappresentanza istituzionale, dai consigli comunali, a quelli provinciali, a quelli regionali, fino ai parlamenti nazionali.
Ciò avviene, pur in misura diversificata, un po’ dappertutto. E l’interesse verso la politica locale è ovunque, e giustamente, crescente dentro le nostre collettività. Esso costituisce un segnale oggettivo del procedere dell’integrazione di milioni di connazionali.

Ora, se dal versante italiano non si producono innovazioni forti e convincenti nelle politiche verso le nostre collettività, non solo o non tanto sul piano delle risorse, ma soprattutto su quello della funzione strategica che esse possono rappresentare in un mondo globalizzato e multipolare, sotto il profilo politico, culturale ed economico –cosa che un governo di centrosinistra dovrebbe cogliere meglio di altri-, la prospettiva non potrà che essere quella di un maggiore distacco e disinteresse verso l’Italia, soprattutto da parte delle nuove generazioni, che costituiscono il futuro della nostra emigrazione.

La rappresentanza che abbiamo eletto nell’aprile 2006 si trova in effetti, dentro questo dilemma: o riesce far valere e a dar conto di un salto di qualità effettivo, oppure il rischio è che questa rappresentanza -e il suo stesso persistere sul piano istituzionale- siano destinate ad un pericoloso indebolimento.

E’ qui, crediamo, che si gioca la capacità di rilancio dell’azione politica da parte di tutti. E forse la proposta di coordinamento interministeriale ritrova, in questa ottica, una sua validità.
O l’emigrazione italiana, da problema nazionale qual è stato, diventa davvero una risorsa nazionale a tutti i livelli, oppure la sua collocazione esclusiva a livello “vice ministeriale” di un Ministero seppure importante come il MAE, la stringerà in una posizione marginale dalla quale sarà anche difficile giustificare la presenza di 18 eletti dall’estero nei due rami del nostro Parlamento.

COSA FARE, QUINDI ?

Io penso che la fase di rodaggio di questa nuova importante stagione politica debba essere data per conclusa; bisogna tornare a manifestare, sulla base del nostro patrimonio ideale, del patrimonio di elaborazioni e di programmi realizzati in questi anni, la nostra capacità di analisi e di proposta anche critica laddove necessario; il nostro associazionismo, assieme ad altre reti e federazioni, con tutti i suoi limiti e la ristrettezza di mezzi a disposizione, continua a costituire la vera spina dorsale della rappresentanza dell’ emigrazione; gli elementi di aggregazione e di libera partecipazione continuano ad essere i suoi elementi costitutivi. Così come il rapporto strategico con le grandi organizzazioni sociali come la CGIL in Italia e con grandi realtà sociali e politiche di progresso all’estero.

A fronte di una crisi evidente delle forme e delle modalità di gestione della rappresentanza, visibile in Italia come altrove, ma incredibilmente ignorate o prese sottogamba nei nostri ambienti, della sempre più frequente e negativa autoreferenzialità che caratterizza molti momenti decisionali, si deve rispondere con il richiamo forte ai principi fondanti della nostra storia e della nostra identità: la partecipazione e la discussione innanzitutto e un posizionamento politico che riconfermi l’autonomia della nostra organizzazione in un rapporto dialettico con le forze politiche dell’unione e con le forze sociali di progresso di questo paese.

(…)
—————–

Sintesi dell’intervento di Carlo GHEZZI – Presidente Fondazione Giuseppe Di Vittorio al Comitato Direttivo nazionale della FIEI (Roma 27 marzo 2007)

"Esprimo apprezzamento per lo scenario nazionale e internazionale, così come i problemi affrontati ed i propositi annunciati, offertici dalla relazione di Rodolfo Ricci. In questo contesto si colloca agevolmente il rinnovato impegno che la Segreteria della Cgil intende sviluppare nei confronti delle comunità italiane operanti nei paesi extra europei di fronte ai compiti nuovi ed antichi che ci attendono.
Prendendo la parola nel corso dei lavori del vostro organismo dirigente ho la possibilità, della quale vi ringrazio vivamente, di illustrarvi alcune scelte che la Cgil ha fatto affidandoci nuovi compiti.
La Segreteria ha deciso di affidare alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio il concreto coordinamento di tale suo impegno all’estero che si concretizza sia nel consolidamento dei rapporti con le locali organizzazioni dell’italianità, sia in raccordo con le presenze dirette della Cgil che in quei territori operano, sia nel rafforzamento del sistema di relazioni che la Cgil intrattiene con associazioni amiche o a lei legate da protocolli o da patti, sia infine nell’intessere costruttivi e proficui con coloro che sono interessati al miglioramento delle relazioni tra il nostro e il loro paese e le rispettive collettività.
Per dare attuazione al compito affidatoci abbiamo provveduto a stipulare delle convenzioni e a definire più puntualmente i nostri rapporti con la Presidenza nazionale dell’Inca-Cgil, con il sindacato dei pensionati (Spi-Cgil) e con la Fiei che integrino e rafforzino quelle già operanti con la Cgil.
La attività che la Fondazione Giuseppe Di Vittorio svolge ruota, come sapete, attorno ai temi della storia, della memoria, dell’approfondimento culturale, della ricerca sulle tematiche economico-sociali e istituzionali.
Nell’anno in corso siamo particolarmente impegnati, dopo le conclusioni del Centenario della Cgil, a ricordare il Cinquantesimo anniversario della morte di Giuseppe Di Vittorio, i 50 anni del Mercato Comune Europeo, il Bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi.
Stiamo avviando a tal fine un piano di iniziative in Italia e nel mondo, anche in collaborazione con i sindacati locali e con le comunità italiane all’estero, sul quale ci auguriamo di poter verificare il vostro consenso e di poter realizzare le integrazioni al nostro programma e mettere in campo tutte le sinergie da voi stessi proposte e che risulteranno reciprocamente utili. Di tale piano di lavoro abbiamo avuto occasione di informare le strutture con le quali collaboriamo, ivi compresa la vostra, del programma di massimo previsto fino alle ferie del corrente anno.
La funzione di coordinamento attribuitaci, i protocolli di collaborazione sottoscritti, i piani di lavoro comuni che ci auspichiamo poster vedere presto realizzati, non inficiano l’autonomia che ogni singola struttura deve avere, ne tantomeno i suoi programmi di lavoro coerenti con la funzione che ognuno è chiamato a svolgere.
Augurandovi buon lavoro vi confermiamo la nostra più completa disponibilità a rafforzare il lavoro comune già avviato e ed esaminare congiuntamente ogni nuova proposta che voi riteniate utile avanzare.
Le celebrazioni per Di Vittorio, il rapporto tra MEC e Mercosur e la loro evoluzione nella costruzione di un mondo bipolare, le celebrazioni per Garibaldi, per le quali siamo stati accolto nel comitato nazionale che ha sede al Ministero dei Beni Culturali, costituiscono un primo utile terreno per operare insieme."

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*)- seguono altri interventi nelle prossime comunicazioni FIEI

 

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EmiNews 2007

 

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