3105 IV° CONGRESSO DS: L'intervento di Gavino Angius

20070419 20:14:00 redazione-IT

Il testo integrale dell’intervento di Gavino Angius al Congresso Nazionale dei Ds

"Vorrei fare una cosa quasi assurda. E discutere con voi come se non ci sentisse nessuno.

Si scioglie la più grande forza della sinistra italiana. Queste settimane abbiamo sentito tante parole: «andare avanti», «fare in fretta», «non si può tornare indietro». Qualcuno ha detto una frase che mi ha molto colpito e anche un po’ ferito: «andare avanti anche se si perdono pezzi».

Come se le nostre Compagne e i Compagni fossero pezzi. Penso che si sia sbagliato a dire questo perché se convengo con Fassino che sia sbagliata l’idea che separarsi possa essere considerato il modo giusto per risolvere i problemi, non è però errato chiedersi su che cosa ci si unisce, quando soprattutto cessa di essere se stessa una forza politica autonoma.

Francamente pensavo che, presa la decisione di dare vita al nuovo partito, ci sarebbe stata nella relazione di Fassino una più coraggiosa apertura, insomma una nuova iniziativa politica rivolta non a noi, per carità, o alla mozione di Fabio Mussi, ma alle altre forze riformiste. Una più coraggiosa e nuova iniziativa. Nella sostanza non è stato così. Francamente non riesco a capire bene che cosa della nostra mozione sia stato accolto, parlo delle proposte essenziali. Naturalmente lo ringrazio per l’attenzione, le mie riserve restano e il mio dissenso è confermato.

Non condivido il carattere del Partito che si profila, ritengo sbagliato il percorso e il suo ristretto orizzonte culturale.

Il contenuto della mozione lo conoscete, care Compagne e Compagni, già il nome «Democratico e Socialista», qualcosa vorrà pur dire di diverso e di distinto: chiedevamo un’impronta laica più forte, un partito federato che senza sciogliersi cercasse di unire le politiche, le culture politiche del riformismo italiano quella socialista, laico liberale, cristiano democratica, ecologista aperto di più ai movimenti moderni dal femminismo alla non-violenza. Un ressemblement, qualcosa di nuovo, di diverso e di originale.

Io non condivido il progetto così com’è, come viene fuori dai due congressi della Margherita e dei Ds, se lo avessi condiviso non avrei presentato la mozione e poi diciamoci le cose come stanno: non stiamo decidendo da soli, c’è un vincolo, c’è un patto già definito, in un qualche modo chiuso. Che margine abbiamo? Possiamo assumere, domando, una nuova iniziativa politica? Non parlerò dei grandi problemi che ha posto Fassino, ce li abbiamo di fronte. È giusto, è stato giusto richiamarli e nemmeno parlerò dei problemi che abbiamo nel Governo e nelle grandi cose che stiamo facendo per il nostro Paese. C’è però una questione che mi sembra ancora irrisolta, il problema cioè delle nostre difficoltà che non sono date soltanto dai numeri ristretti che abbiamo al Senato ma dalle distanze politiche che a volte si manifestano nella coalizione.

Troppo spesso anzi per dire la verità si sostiene che con la nascita del cosiddetto nuovo Partito Democratico il Governo si rafforzerà e l’Unione pure. Può darsi. Ma non capisco. Già oggi il Governo è diretto da Romano Prodi che sarà il capo del nuovo Partito Democratico e i vice-premier sono D’Alema e Rutelli, favorevoli al progetto. Già oggi in Parlamento ci sono i gruppi dell’Ulivo. Che cosa cambierebbe dunque? Ancor meno mi convince questa specie di ruolo d’ordine che verrebbe assegnato al Partito Democratico nell’Unione come forza riformista rispetto ad una sinistra radicale riottosa e bizzarra. Pensiamo forse che fatto il Partito Democratico noi potremmo evitare le sortite di Rossi o di Turigliatto? O pensiamo di arginare dall’altra parte, mi scuserà l’amico Clemente Mastella, le sue incontinenze? O pensiamo forse di arginare le ossessioni dei teo-dem della Margherita? Posto così secondo me il Partito Democratico rischia di accentuare non di attenuare le divisioni.

Lo spirito penso avrebbe dovuto e dovrebbe, ancora oggi e nei prossimi mesi, essere un altro: non dare tutto per chiuso ma anzi cercare di riaprire. Chi ha detto e dove sta scritto che non si debba ripartire su basi nuove? Chi ci insegue? Perché non possiamo pensare di ricominciare, di riaprire il tavolo, di rivolgerci con un altro spirito allo Sdi, ai Verdi, all’Italia dei Valori, ad altre forze, chiedendo ad essi con pari dignità e rispetto di riprendere, di ricominciare. Non si darebbe così molto più di quanto accada oggi un carattere inclusivo e originale? Invece sul nuovo partito ci si accapiglia, fatemelo dire, sulle regole, su come si vota, sui leader, sulle sedi, sulle tessere. Non m’interessa niente. Non sono cose di grande fascino e nemmeno francamente penso che nell’affannosa ricerca dell’identità del nuovo Partito possiamo un giorno costruire un pantheon e ventiquattro ore dopo demolirlo.

Non penso che si possa pensare una legge elettorale funzionale al nuovo Partito per cercare di dire agli altri ma voi vi dovete aggiungere comunque dovete starci dietro. E non penso che sia accettabile. Non è accettabile che dopo che il Governo abbia varato la legge sui Dico subito dopo si organizzi una manifestazione contro quella stessa legge del Governo. Perché è questo il punto politico, non solo la difesa della famiglia che io difendo esattamente quanto coloro che promuovono quella manifestazione. Troppa confusione, troppa confusione.

Per queste ragioni io penso che dovremmo allora cercare di unire le forze del riformismo italiano, unirle attorno ad un progetto nuovo condiviso di società con un orizzonte culturale ideale diverso. Ci misuriamo, è vero, con grandi e difficili problemi, il più rilevante dei quali, è, secondo me, la privatizzazione della politica, la riduzione del suo ruolo ad essere un’ancella subalterna un giorno dell’economia, un giorno della finanza a volte delle religioni.

Negli ultimi decenni del Novecento il neo-liberismo, il neo-conservatorismo hanno prodotto i guasti più profondi che vivono oggi le società contemporanee: l’anti-solidarismo come cultura politica ma anche come modello sociale segnato da individualismo esasperato, egoismo, antistatalismo, dall’indifferenza ai costi sociali delle ricette economiche, al diffondersi su scala mondiale di pulsioni belliche giungendo addirittura a sostenere in alcune sue componenti le guerre di civiltà, favorendo la distruzione dell’ambiente fino a produrre cambiamenti climatici che sconvolgono il mondo.

Neo-liberismo e neo-conservatorismo hanno prodotto questi danni. Per non tacere del male oscuro delle società moderne che colpisce i giovani. Negli Stati Uniti abbiamo visto a cadenze annuali le stragi nelle università, da noi, invece, a cadenza settimanale vediamo le stragi del sabato sera. Non so cosa sia peggio. Quel senso di fragilità e di violenza che travolge le nostre vite è il segno di un vuoto.

C’è una parte del popolo che è convinta che nessuno la difende più, che nessuno la rappresenta, che non gli dà voce, riscopriamo gli operai quando fischiano Mirafiori o quando muoiono nei cantieri. C’è una condizione di vita materiale che riguarda milioni di cittadini che è al limite dell’indigenza e della povertà e sono sempre gli stessi. Quale famiglia si può costruire un ragazzo o una ragazza che guadagnano mille euro al mese? Dicono che siano liberi, non è vero che sono liberi. La nostra rischia di essere e di diventare come altre democrazie, una democrazia senza libertà e contemporaneamente si accumulano ricchezze immense, patrimoni enormi. Adesso può darsi che Telecom sia salvata anche da Berlusconi, non lo vedo come salvatore della patria. Il cosiddetto manifesto che sarebbe la base fondativa del nuovo Partito francamente non mi convince, per niente. Non convince il suo eclettismo culturale. Ma ciò che colpisce, come del resto è stato testualmente detto da Prodi, è che il Pd con quel manifesto si colloca al centro delle forze riformiste progressiste, al centro. È una definizione precisa. Quel documento per quanto ci riguarda, e lo dico a nome della mozione, va rifatto tutto, di sana pianta. Forse certe nostre critiche non sono state inutili se Piero Fassino nella sua relazione ha detto testualmente «bisognerebbe emendare il testo, raccogliere le integrazioni» e, così ha detto, «redigere un testo nuovo». Avanzo una proposta.

Procediamo allora ad una radicale riscrittura di quel testo. Nella sua relazione però Piero ha anche detto un’altra cosa. Ha detto che alla fine della fase costituente si cercherà di coinvolgere altre forze riformiste. Bene ma non basta. La proposta formale che avanzo è che il dispositivo congressuale finale del nostro congresso, e anche quello della Margherita, approvino sostanzialmente una nuova proposta e cioè che quel testo, il manifesto fondativo del nuovo partito, sia redatto non solo da noi e dalla Margherita ma nella sua stesura siano chiamate tutte quelle forze del riformismo italiano alle quali la stessa relazione di Fassino ha fatto riferimento.

Allargando così, ben oltre i Ds e la Margherita, quell’arco di forze chiamate a gettare le basi, a definire gli orizzonti ideali, a costruire quelle progettualità di cui il riformismo italiano, le sue culture, quella socialista ambientalista laica, è portatore. Questa sarebbe una nuova proposta politica e darebbe forza ideale, più passione partecipativa alla costruzione del nuovo partito e permetterebbe a tutte le diverse componenti di essere protagoniste di una nuova fase della vita democratica. Se davvero non è tutto precostituito, se davvero si vuole lavorare ad un progetto inclusivo e non selettivo, se davvero si vuole ricominciare dando pari dignità ad ogni forza politica democratica rispettandone i caratteri e le peculiarità e soprattutto valorizzandone gli apporti, allora si abbia il coraggio di fare questo passo che non è un passo indietro, care Compagne e Compagni, ma al contrario è un passo avanti verso il perseguimento della costruzione di quel nuovo soggetto politico più largo, più grande, più ricco che già dal ‘96 con l’Ulivo avevamo pensato. Non è se ci pensate bene, una grande idea originale e questo lo dobbiamo fare prima dell’assemblea costituente, non dopo. Per quanto mi riguarda l’accantonamento di quel manifesto e la sua riscrittura che va anche intesa come ben oltre l’allargamento a forze della cultura e dell’intellettualità italiana, è una specie di condizione, se volete. Mi rendo conto, naturalmente, non voglio darmi troppa importanza, del senso e del significato di questa affermazione. Tenete conto però che l’avanzo questa proposta a nome di tutta la mozione e che per noi ha un particolare significato.

Ecco vedete, care Compagne e Compagni, di quel testo, di quel manifesto due questioni di fondo non mi convincono e non ci convincono. In quel manifesto c’è un difetto di innovazione, di apertura limitando il campo ideale e culturale e sono contenute, fatemelo dire, visioni vecchie della laicità e un giudizio inaccettabile sul ruolo storico e sul presente storico del socialismo democratico moderno. Voi tutti, se guardate all’Europa, siete sicuri davvero che la sinistra d’ispirazione socialista abbia esaurito la sua funzione? Provate a cancellare e a togliere da tutti i paesi europei le forze d’ispirazione socialista, ma che cosa rimane per animare quelle democrazie, per dargli il senso di una novità e di una vita viva vissuta dalle persone, eppure in Italia solo in Italia è stato scritto il socialismo è morto. Con queste testuali parole si apriva questo autunno non solo un articolo ma un’impressionante campagna di stampa. Non si capiva bene se si parlava del socialismo di Lenin o di Nenni, di Blair o di Zapatero, il tribunale della storia aveva emesso questa sentenza, permettetemi di ricusare il giudice di quel tribunale.

Io penso che il valore d’uso delle idealità socialiste sia vivo anche oggi e non è vero siamo più modesti che alla nascita di un Partito Democratico così come si configura, non ci sarebbe alternativa. Cautela e modestia.

Alternative credibili praticabili pronte, la pretesa che
il Partito Democratico che si profila raccolga tutto, sia capace di rappresentare tutto, può rivelarsi una sorprendente illusione. A sinistra si lascia un vuoto, uno spazio, non ci si dovrebbe meravigliare se qualcuno cerca di riempirlo perché i singoli, i nomi contano e anche le passioni, anche i cuori.

La sfida dell’umanità e la sfida che abbiamo davanti in Europa chiedono soprattutto a noi un sussulto di razionalità. Io, care Compagne e Compagni, credo nel primato della ragione come valore guida dell’agire umano e penso alla laicità come principio indissolubile di democrazia. Sono intollerabili quelle disuguaglianze spaventose che viviamo nel nostro tempo e so bene che viviamo fenomeni che contribuiscono in maniera impressionante allo sviluppo di ansie collettive e quando per centinaia di milioni di uomini e donne la ricerca primaria del senso non si orienta più in misura sufficiente sulla politica cercando in esse le risposte ad un deficit di padronanza del proprio futuro allora possono mostrarsi nel pensiero laico, nella ragione i sintomi di un malessere. Il malessere cioè dovuto alla percezione che la storia sia sfuggita di mano. Ci sono centinaia di esseri umani che pensano questo e pensare di consolidare la politica attraverso un credo religioso può essere qualcosa che può essere fatto, può diventare un fattore positivo ma si possono anche trovare in esse le risposte, esponendosi al rischio d’indebolire e di colpire il pluralismo, di ridurre la sfera di autonomia della scelta degli individui.

So bene che la Chiesa cerca di rispondere alle ansie collettive riproponendo il suo dogma. Ma cercare di affermare la superiorità di una morale, la sua, di fronte ad altre idee del nostro tempo che hanno origine nella tradizione illuministica, non perciò stesso possono essere considerate inferiori. Io non credente non mi considero un immorale, né portatore di una morale inferiore. E quando avviene che le più alte gerarchie della Chiesa sollecitano cittadini italiani che esercitano funzioni pubbliche a rispondere e cito testualmente come medici, infermieri, personale amministrativo, giudici, insegnanti, parlamentari nell’esercizio delle funzioni pubbliche a rispettare prima di tutto i precetti dettati dal magistero che essi esercitano, siamo al limite della violazione di un articolo preciso della Costituzione repubblicana. La Chiesa è libera ma anche lo Stato lo è e lo Stato è sovrano. Il laico cerca il dialogo con le religioni perché sa che esse contengono un messaggio di speranza e tendono ad una finalità umanistica. Per questo, care Compagne e Compagni, dico solo una parola. Noi non possiamo considerare da chiunque vengono pronunciate certe parole nei confronti di gay o di lesbiche, non sono persone innaturali, sono persone, sono cittadini liberi e uguali come in tutte le democrazie del mondo.

Un credente, disse una volta Bobbio, cerca ciò che ha già trovato, l’uomo di ragione più modestamente invece non trova neppure quello che ha più intensamente cercato. Finisco.

Care Compagne e Compagni io penso che oggi nelle società moderne socialismo democratico e liberalismo moderno, come ha detto poco fa Giorgio Ruffolo, sono le frontiere più avanzate dalle quali possiamo attingere valori, idee, proposte, progetti, sogni per affrontare i temi cruciali del nostro tempo. Non mi si dica, però, non ditemelo, che la sinistra resta dentro di noi e che le idealità socialiste le abbiamo sempre nel cuore, ci credo, è così, ne sono convinto ma un partito politico è un pensiero compiuto, ha una sua identità e infatti si dà un nome, in questo caso Democratico e basta, né di sinistra né socialista. Lo dico questo con grande pacatezza anche se, mi permettete, con altrettanto convincimento. Anche in Europa il nuovo spirito di libertà, secondo me, oggi dicono che sia in crisi. Non lo so. Può darsi, però lo spirito di libertà continua a chiamarsi socialismo democratico e liberale ed è lì nelle sue idealità che quel multiculturalismo che crea nuovi intrecci nuove osmosi, nuove finalità, nuove visioni della società, quel multiculturalismo che scioglie i suoi enigmi nel modo più semplice, cioè abbattendo gli steccati, i muri, le barriere, costruendo i ponti diventa una delle più grandi frontiere dell’innovazione a cui tutte le culture politiche sono chiamate. Per questo io penso, care Compagne e Compagni che le idealità socialiste non sono quelle tombe raccolte in un cimitero in qualche angolo della vecchia Europa come si è cercato di far credere. Solo un accecato ideologismo può negare verità tanto stridenti. Penso che senza la sinistra non potrà nascere niente di buono e noi, così abbiamo scritto nella nostra mozione, non siamo disponibili a venir via dalla sinistra italiana e dal campo del socialismo europeo. Attenderemo le conclusioni dei congressi dei Ds e della Margherita, poi decideremo ciascuno naturalmente, per sé stesso e nella propria libertà.

Un ultima finale considerazione personale. Io penso che ad un partito si aderisca come farà ciascuno di voi, per profondo convincimento personale. La politica per qualcuno, almeno per me, è ancora così: una scelta individuale. La politica la si fa e la si pratica, per essa ci si batte, si soffre, si gioisce, si vince e si perde se la si sente come propria, se la si vive come parte di sé, magari non tutta intera, ma in larga misura si. Un partito è sempre espressione di una parzialità ma la sua politica è un pensiero, un movimento di idee, un’intelligenza collettiva, è partecipazione attiva per decisioni che si prendono, mi fa un po’ sorridere lo slogan di adesso “una testa un voto”: metteteci anche il cuore che conta molto. In un partito si può essere anche un’infima minoranza ma se ne deve condividere il nucleo essenziale di idee che ne sono a fondamento, la sua ragion d’essere, non si può essere tollerati o percepiti come una bizzarra diversità, come l’espressione di un pensiero morto, come prodotto di una sconfitta storica o di una perniciosità del futuro. Mi auguro che questo non avvenga.

C’è ancora un fine della storia. Nel secolo scorso si tentava d’indirizzarla questa storia verso il progresso oppure verso le società senza classi oppure verso il regno della libertà. Ora nella storia presente sembrano prevalere i destini personali, percorsi individuali soprattutto nelle democrazie occidentali ma anche qui in Italia, nel nostro paese, e sembrano da soli dare senso all’esistenza umana. Si sta in questi ambiti ma così la storia può fermarsi e questo perché la politica accetta o addirittura rifiuta di dare un senso collettivo di sé cioè comune alla vita delle persone. Possono nascere fortune, ricchezze, carriere in questa chiusura individualistica ma possono anche insorgere rassegnazione, solitudine e indifferenza allora forse la storia cioè i fini bisogna proiettarli nel futuro, chiamando nuovi protagonisti, nuove generazioni, quelle ragazze e quei ragazzi che qui compongono questa platea e costruirlo loro, indurli a costruirlo loro il loro futuro, con le loro menti, con i loro cuori, dare a loro lo spazio necessario, il ruolo che gli compete, il compito che gli attende. Forse è questa, care Compagne e Compagni, la più alta missione della politica qui e ora in Italia. Grazie."

 

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EmiNews 2007

 

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