3162 Senza lavoratori non c’è futuro

20070501 19:17:00 redazione-IT

Guglielmo Epifani

Il 1° maggio di quest’anno tiene insieme il filo della memoria e quello del futuro. Sessant’anni fa in questo giorno si consumava a Portella della Ginestra il primo eccidio di lavoratori del dopoguerra. Caddero braccianti, contadini, giovani e meno giovani, sotto le armi degli uomini del bandito Giuliano, mossi da potenti interessi del latifondo agrario e, come poi ha ricostruito la ricerca alle fonti, anche stranieri del tempo. Uomini interessati a colpire, insieme con la Cgil, la sinistra politica italiana.

Prima e dopo Portella una lunga scia di sangue segnava capi lega, capi braccianti, uomini che appartengono alla tragica e grande epopea dei caduti per la democrazia e il lavoro. La Sicilia assumeva così la forma di una terra in cui si cercò in tutti i modi di fermare l’anelito al cambiamento e alla giustizia sociale senza riuscire né a intimidire né a fermare – se non nella logica brutale delle armi – il processo di riscatto e di liberazione delle classi subalterne.

Il presente e il futuro li portiamo invece a Torino, città simbolo di lavoro e lavoratori che non si rassegnano al declino produttivo, alla chiusura di imprese e attività e che intendono essere protagonisti di un rinnovato progetto per il Paese.

«L’Italia riparte dal lavoro» vuol dire che senza il ruolo centrale e riconosciuto del mondo del lavoro non esiste una vera via di uscita dai problemi del Paese. Dietro tante aziende che si riorganizzano, i segni della ripresa industriale, della produttività e degli investimenti anche se non mancano situazioni molto difficili come per esempio quello della Bertone c’è il ruolo fondamentale e decisivo di chi, giorno dopo giorno, spesso in condizioni di precarietà, ne assicura la possibilità concreta.

In questo quadro il 1° maggio di Torino esprime due precisi messaggi: verso l’impresa, perché riconosca e valorizzi il lavoro, la sua dignità, i suoi diritti; verso il governo perché operi nel segno della proposta e della richiesta delle tre confederazioni in materia di politica di sviluppo, di welfare, di coesione e di politiche di redistribuzione del reddito.

Le prossime settimane diranno se i confronti aperti sui temi dello sviluppo, delle pensioni, del mercato del lavoro, del valore dei redditi dei pensionati avranno questo esito o meno. Ma già da oggi è chiaro che senza la consapevolezza di questa esigenza di equità e coesione, la situazione del Paese è destinata a galleggiare.

Oggi ricorderemo ancora una volta i tanti morti e feriti a causa degli incidenti sul lavoro. Lo farà, ne siamo certi, anche il presidente Napolitano. E lo faremo dicendo quello che più di ogni cosa può aiutare davvero a vincere questa sfida: non si consideri la morte sul lavoro come una fatalità, un male necessario, qualcosa che riguarda lavoratori e impresa. No. Si assuma finalmente questo dramma come una grande e tragica questione nazionale, come uno dei tratti distintivi della qualità della nostra democrazia e della nostra comunità nazionale.

 

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EmiNews 2007

 

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