3149 Ricordare il “25 aprile” a Belo Horizonte

20070426 18:29:00 redazione-IT

Bruna Peyrot da Belo Horizonte

il 25 aprile si è svolto il Seminario di presentazione dell’Associazione Amici dell’Unione del Minas Gerais, alla presenza del ministro della Segreteria Speciale Luiz Dulci e di un folto pubblico. Molti i militanti e i dirigenti
del Pt di Belo Horizonte. Oltre alla commemorazione della data del 25 aprile per capirne il significato per la storia italiana, si è discusso, alla luce del recente IV Congresso
dei Democratici di Sinistra, che cosa sia una "coalizione", una "unione" e una "federazione", comparando la storia politica di Italia e Brasile. Il ministro Dulci ha fatto un’ampia panoramica dell’impegno dei governi Lula (primo e
secondo mandato), dicendo in particolare che la
sfida è stata non applicare una ideologia alla politica, ma trasformare la politica in un’ipotesi di teoria politica stessa.

Il 25 aprile 1945 è stata una data che ha rifondato l’Italia. E’ la data della liberazione dal nazifascismo, con l’aiuto degli alleati angloamericani, ma soprattutto con quella grande partecipazione di popolo che fu la Resistenza.
E’ la storia di un’altra Italia, quella che ha dato origine alla democrazia e alla Repubblica, una storia che continua perché la democrazia, come diceva Norberto Bobbio non solo è il sistema politico per ora più giusto, ma non finisce mai… c’è sempre ancora qualche diritto da scoprire, valorizzare e rendere attivo sul piano del diritto.
La “Resistenza” era durata per tutto il ventennio fascista italiano, clandestina e spesso all’estero. Uscì alla luce del sole l’8 settembre 1943, data dell’armistizio con gli angloamericani, quell’armistizio che era stato tenuto segreto ai tedeschi di Hitler dal re Vittorio Emanuele III e dal generale Badoglio, gli stessi che poi fuggono vergognosamente lasciando l’Italia in completo sfacelo.
E con loro molti generali dell’esercito italiano e molti gerarchi fascisti si rifugeranno anche in America latina per restare impuniti. Il disastro italiano fu totale. E l’esercito italiano, prima alleato dei tedeschi ora se li ritrovava nemici. I tedeschi, per vendetta, cercano di uccidere o prendere prigionieri più soldati italiani possibili.
Il simbolo di questo tragico annientamento fu certo Cefalonia, isola greca del mar Ionio dove la divisione Acqui (10mila uomini) che si era rifiutata di consegnare le armi ai tedeschi, venne distrutta dalla Wehrmacht.
In questo contesto, soltanto la Resistenza ha ripreso in mano le sorti dell’Italia attraverso il Cln (Comitato Liberazione Nazionale) e soprattutto quello del nord Italia. Il Cln univa i principlai partiti antifascisti.

Ne facevano parte: Mauro Scoccimarro e Giorgio Amendola per il Pci; Pietro Nenni e Giuseppe Romita per lo Psiup; Ugo La Malfa e Sergio Fenoaltea per il Partito d’Azione; Alcide De Gasperi per la Democrazia Cristiana; Alessandro Casati per il Partito Liberale.
La Resistenza arrivò a contare fino a 150mila militanti nel. Il 50% a formazioni di orientamento comunista (Brigate Garibaldi); il 30% al Partito d’Azione di Ferruccio Parri (Brigate di Giustizia e Libertà); il 20% a formazioni monarchiche (del generale Badoglio) e autonome.
La Resistenza fu una guerra durissima, piena di rappresaglie (la più terribile quella delle Fosse Ardeatine vicino a Roma con 335 ostaggi fucilati e a Marzabotto in Emilia Romagna con 1836 civili sterminati dal generale Reder). Fu una guerra con più di 10mila vittime civili, 40mila deportati nei campi di concentramento, con 700mila militari internati nei campi di lavoro perché si erano rifiutati di continuare a collaborare con la Germania e non aver aderito alla Repubblica di Salò, ultimo tentativo di Mussolini di riprendersi l’Italia.
Il Cln fu il primo momento di un Patto di Unione di centro sinistra dove partiti laici, di tradizione comunista e cattolica si misero insieme per liberare l’Italia. Le differenze erano molte e si sarebbero viste dopo la guerra, ma nel 1943 si era scelto strategicamente l’unità di azione in vista dell’obiettivo prioritario dell’unità nazionale.
E oggi gli eredi di quelle stesse forze, dopo oltre mezzo secolo di vita politica italiana, spesso difficile e anche con percorsi separati, proprio in questi giorni a Firenza, all’occasione del Congresso dei Democratici di Sinistra, stanno discutendo la creazione di un Partito Democratico che le fonda insieme.
Colpisce oggi come gli eredi dell’antico partito comunista di Togliatti e gli eredi della Democrazia Cristiana di De Gasperi dopo essersi duramente contrastati per quasi mezzo secolo in un’Italia sulla quale l’influenza del Vaticano è sempre stata molto forte, oggi si sforzino di costruire un unico partito, nello spirito del Patto che aveva liberato l’Italia dal fascismo.
Ma torniamo al 1945.
La Resistenza era durata 20 mesi, pochi ma intensi per fondare soggettività politiche nuove. Le generazioni nate dal 1920 al erano state educate dalle scuole fasciste. La scelta di andare in montagna, modo di dire che significava stare dalla parte della guerriglia partigiana, le aveva come purificate. Le aveva rinnovate al sentido democratico.
Nell’aprile 1945 la Resistenza comincia a vincere. Gli americani che molto lentamente avevano risalito l’Italia e liberato Roma nel 1944, ripartono dalla linea cosiddetta “gotica” situata all’altezza della Toscana, e arrivano a Bologna, mentre le città di Milano e Torino insorgono spontaneamente.
Mio padre, vicecomandante partigiano delle Brigate di “Giusizia e libertà” mi raccontava sempre le discussioni fra i partigiani delle pianure piemontesi. C’erano quelli che volevano aspettare l’ordine degli americani per puntare su Torino, altri invece volevano contare solo sulle proprie forze. E questo non sarebbe stato indifferente per il “dopo” politico, per la dignità dei partigiani e le popolazioni che rappresentavano: liberarsi da sé avrebbe dato più consapevolezza politica al senso della propria cittadinanza.
Vinse l’autonomia. E Fra il 18 aprile e il 1 maggio, tutta l’Italia settentrionale si era liberata pressoché da sola. Intanto il 27 maggio, Mussolini, sorpreso a fuggire travestito da militare tedesco, in Svizzera, viene arrestato e fucilato. Il suo corpo con quello dell’amante Claretta Petacci esposto in piazzale Loreto a Milano: un simbolo abbattutto del regime.
Il fascismo dunque era finito. E dopo che accadde? Una lunga storia di politica italiana che racconteremo in altre occasioni. Oggi vorrei soltanto offrire al pubblico alcune riflessioni sul significato della Resistenza nella storia italiana.
La Resistenza italiana è stata una pagina difficile e ardita che ha sempre condizionato quello che è successo dopo. Nella Resistenza italiana si sono verificate, come bene ha descritto lo storico Claudio Pavone, tre tipi di guerre:

1) una guerra di liberazione contro l’occupante tedesco.

2) la Resistenza fu anche una guerra civile, perché combattuta fra italiani, fra i sostenitori dell’ordine di Mussolini e chi invocava invece una legittimazione politica ispirata alla democrazia.

3) infine, fu guerra di classe, perché molti militanti di appartenenza comunista speravano anche in cambiamenti di vita nei loro luoghi di lavoro, dove l’organizzazione capitalistica era nella mano ferrea dei grandi gruppi economici.
La prima interpretazione, quella della Resistenza come atto di liberazione dallo straniero fu l’idea vincente. Fu questo il significato che venne divulgato in Italia fino agli anni sessanta. Fu il movimento del ’68 e la generazione degli storici di quel periodo a dare rilievo ad altre sue dimensioni. Dire questo salvaguardava il suo carattere unitario, anche se nella decade degli anni cinquanta l’unità fra i partiti della Resistenza non c’era più perché la componente comunista e socialista era stat emarginata e duramente combattutta dalla Democrazia Cristiana nel 1948.
La seconda interpretazione, quella di essere una guerra civile vinse a metà. Cioè i nuovi soggetti politici antifascisti avrebbero scritto una Costituzione democratica e innovativa, ma il corpo dello stao con la sua burocrazia e i suoi ministeri sarebbe rimasto lo stesso.
Infine, la terza interpretazione della Resistenza come guerra di classe sarebbe stata sconfitta perché, in particolare gli anni cinquanta avrebbero vissuto una feroce repressione, specialmente, nelle fabbriche dove nessuna forma di sindacato sarebbe stata tollerata.
L’Italia avrebbe continuato a vivere dopo le stesse divisioni culturali e politiche del prima.
Il 2 giugno 1946 venne eletta un’Assemblea Costituente e nello stesso tempo si scelse la forma istituzionale dare al nuovo stato: vinse la repubblica con 12.718.641 voti contro i 10.718.502 dati alla monarchia. Lo scarto fu minimo: due milioni di voti.
L’Italia risultò spaccata a metà. Fu una caratteristica che incise l’identità dell’Italia che non si sentì mai unita. Forse però l’Italia non si si è mai sentita unita perché la sua storia è sempre stata una storia di frammenti politici. Dal tempo delle Signorie e dei Principati del Rinascimento cinquecentesco fino alle spedizioni e alle rivolte del Risorgimento, i disegni politici che la concernevano non nascevano dal suo percepirsi “Una”.
L’Italia si è sempre sentita fiera di essere piena di autonomie: Valli, comunità montane, città, paesi e regioni sono stati e sono ancora le vere patrie dell’italiano. L’italiano non si sente unito dalla bandiera né si commuove al sentire l’inno nazionale.

L’identità italiana è un paradosso. Da un lato è consapevole di essere portatore di un’antichissima civilizzazione che gli impone una grande forza antropologica, data dall’essere crocevia di culture, centro di alta densità artistica, cuore del Mediterraneo con i suoi valori di accoglienza e familismo, erede di imperi e grandi letterature.
Dall’altro non si sente italiano politicamente. E se è vero che, come dice Renan, “una nazione è un’anima”, all’anima dell’italiano manca la memoria di una identità politica solida.
Il coagulo che poteva unire le mille culture italiane non si è ancora realizzato pienamente. Poteva essere rappresentato dalla Costituzione, ma non è stata impostata una pedagogia nazionale successiva che ne trasmettesse i valori al popolo italiano.
Soprattutto i Principi che aprono la Costituzione italiana e che detreminano l’inviolabilità dei diritti fondamentali dell’uomo e della donna, secondo le costituzioni dei moderni, sono ancora oggi un riferimento essenziale sui quali trovare unità di intenti.
La Costituzione, infatti, non è solo una Carta che regola la convivenza civile, ma un qualcosa di più, che va oltre il gioco delle parti e oltre le differenze fra partiti o altre forme di associazionismo politico e sociale. La Costituzione è un atto che contiene la storia di un popolo e gli equilibri storici che l’hanno determinata, che contiene il presente, cioè una guida per i nostri modi di vivere e contiene infine anche il futuro cioè la sua piena realizzazione.
La democrazia, per concludere con un’affermazione di Boaventura De Sousa Santos, deve sempre essere democratizzata.

 

3149-ricordare-il-25-aprile-a-belo-horizonte

3921

EmiNews 2007

 

Visits: 7

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.