3165 CERIMONIA DELLA LIBERAZIONE A DACHAU

20070501 13:06:00 redazione-IT

Sabato 28 aprile, di fronte ai forni crematori del campo di
concentramento di Dachau, si e’ svolta la cerimonia di commemorazione della Liberazione dell’Italia dal fascismo, organizzata dal Consolato Generale e dal Comites di Monaco di Baviera.All’inno nazionale sono seguiti i discorsi ufficiali del Console Generale Adriano Chiodi Cianfarani e del presidente del Comites Claudio Cumani.
La cerimonia e’ terminata con la deposizione di corone di fiori al monumento ai deportati.

Riportiamo il discorso tenuto dal presidente del Comites, Claudio Cumani

Gentile Console Generale, gentili signore e signori,

ancora una volta siamo qui, per ricordare l’insurrezione nazionale proclamata il 25 aprile 1945 dal Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia, insurrezione che consentì di liberare quasi tutte le città del nord del paese e che è a fondamento della festa della Liberazione dell’Italia dalla barbarie delle dittature fascista e nazista.

Ed ancora una volta lo facciamo qui, davanti a forni crematori del Campo
di Concentramento di Dachau, che con la loro nuda, tragica semplicità ci
impongono di evitare ogni retorica e di raccoglierci piuttosto a
meditare nuovamente sul nostro passato, sul nostro presente, sul nostro
futuro.

Come ci ricorda il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la
Festa della Liberazione è la Festa di tutti gli italiani, perché questa
data rappresenta il riscatto dell’Italia da una dittatura che aveva
calpestato libertà e democrazia, perseguitando, arrestando e torturando
gli avversari politici, arrivando perfino ad assassinarli, anche in
terra straniera ed ingaggiando sicari stranieri. (Di uno di questi,
Antonio Gramsci – colui che Mussolini definiva “sardo gobbo dal cervello
indubbiamente potente” – è ricorso proprio ieri il settantesimo
anniversario della morte in carcere). Una dittatura che aveva oppresso
le minoranze etniche nazionali, aggredito altri popoli in guerre
coloniali e di conquista, sviluppato politiche razziali ed antisemite,
appoggiato le dittature in Europa e nel mondo. Una dittatura che infine
si era accodata alla guerra voluta da Hitler – apparentemente ormai
prossimo ad una conclusione vittoriosa – nella meschina speranza che
qualche migliaio di morti le premettessero di sedersi al tavolo della
pace, dalla parte del vincitore pigliatutto.

Attraverso la Resistenza, la parte migliore, più consapevole, del popolo
italiano ha riscattato l’intero Paese. Ha ricordato il Presidente:
"La lotta di Liberazione fu innanzitutto moto spontaneo delle coscienze,
che si estese dalle Fosse Ardeatine a Marzabotto, da Porta San Paolo a
Cefalonia, dalle montagne italiane ai Balcani, dalle carceri di Regina
Coeli e San Vittore" al campo di concentramento della Risiera di San
Sabba a Trieste ed "ai lager nazisti. E fu sacrificio di tantissimi
italiani, insieme con vaste schiere di giovani soldati americani,
inglesi, francesi, canadesi, polacchi e di altri Paesi alleati. La
Liberazione fu per l’Italia il frutto di innumerevoli sforzi, coerenti
nello spirito e negli scopi anche se distinti nei modi, che
anticiparono, accompagnarono e spesso integrarono l’intervento pur
determinante delle forze anglo-americane: la lotta partigiana in armi,
le azioni di combattimento delle Forze Armate in Italia e all’estero
dopo l’8 settembre, la resistenza dei deportati e degli internati nei
lager e quella spontanea delle città come dei piccoli comuni, fino
all’azione, spesso silenziosa e misconosciuta, di tantissimi singoli
cittadini".

E con la "svolta di Salerno" del 1944 – con la quale il PCI sancì la
priorità della causa nazionale della liberazione rispetto alla causa del
partito ed allo stesso mito della classe operaia – la Resistenza si
affermò come vero momento unitario e nazionale, che vide insieme
repubblicani e monarchici, liberali, democristiani, azionisti,
socialisti, comunisti. Insieme, uniti nella volontà di ridare
indipendenza, libertà e dignità ad un paese occupato, ferito, offeso,
umiliato. Anche nella differenza di opinione e progetto politico. Gli
atti fratricidi che pur ci sono stati non riescono a contraddire questo
spirito largamente maggioritario. Riconoscere, comprendere questo,
significa capire perché la Resistenza sia davvero l’atto fondativo della
nuova Italia, perché il 25 aprile sia davvero una festa di tutti gli
italiani.

Cito nuovamente il Presidente:
"La Liberazione fu un risultato di decisiva importanza per l’avvenire
del Paese, ma al tempo stesso e soprattutto fu la premessa, la
condizione per un’Italia nuova, per la Costituzione, per la faticosa ed
entusiasmante edificazione di una democrazia vitale, per la rinascita
economica e sociale, per lo sbocciare della realtà istituzionale
dell’Europa e delle Organizzazioni Internazionali […]: tutte conquiste
che la Liberazione dell’Italia e dell’Europa ha reso possibili, tutte
tappe di un difficile cammino che continua nel presente e si proietta
nel futuro."

Chi come me ha avuto la fortuna di conoscere personalmente alcuni dei
grandi protagonisti di quella generazione è rimasto colpito da quanto
quei politici fossero permeati – anche nelle situazioni di scontro duro
– da un profondo senso di rispetto per le istituzioni e per gli stessi
avversari, nei quali si riconosceva comunque un interlocutore, una parte
integrante del comune tessuto nazionale.

Quella uscita dalla guerra di Liberazione era una generazione di
politici sui quali tutto si potrà dire, tranne che avessero intrapreso
l’attività politica per interesse personale o per prospettive di
carriera. Perché anzi quella scelta comportava il serio rischio della
galera, del confino, della deportazione, della vita stessa. A muovere
quella classe politica erano al contrario valori forti, ideali, visioni
del mondo per le quali aveva senso rinunciare ad una vita normale e
rischiare tutto.

E se è giusto chiedere a chi è nato dopo quei tempi tragici di non
dimenticare (perché "chi non ricorda è condannato a ripetere") è anche
doveroso chiedere a chi si impegna oggi di mantenere alto il profilo
dell’impegno politico e sociale, di riprendere la lezione di vita e di
stile della generazione che spese la sua giovinezza nella guerra di
liberazione, nelle carceri, al confino, nei campi di concentramento.

Una politica che è solo esibizione e spettacolo, apparenza televisiva e
personalismo, una politica che parla solo a se stessa e ragiona solo in
termini di carriere ed organigrammi, favori e clientelismi, è la
negazione della Resistenza.

Sarebbe ben triste se per avere dei politici mossi da valori ed ideali
si dovesse – per legge naturale – passare prima attraverso dittature e
guerre. Perché anche oggi ci sono ingiustizie e disuguaglianze contro le
quali vale la pena battersi. Perché una guerra, una guerra vera anche se
silenziosa, è ancora in corso in Italia nelle zone controllate dalla
malavita organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangeta, sacra corona unita,
per citarne alcune). Perché ogni anno siamo colpiti dalle centinaia di
morti sul lavoro nei cantieri italiani, dove la logica del profitto e
dello sfruttamento ha ragione delle più elementari norme di sicurezza.
Perché continuamente sentiamo e leggiamo degli enormi guadagni delle
grandi compagnie industriali e finanziarie – e dei loro superpagati
manager – ottenuti magari anche attraverso licenziamenti e
ridislocazioni dei posti di lavoro nelle parti più povere del mondo
(senza peraltro portarvi sviluppo, ma nuove schiavitù, orari
insostenibili, sfruttamento minorile). Perché sempre maggiori sono le
distanze fra la minoranza dei ricchi e la grande maggioranza dei poveri,
nel mondo e nei singoli paesi. Perché la precarietà e l’insicurezza
minano le nuove generazioni e la loro capacità di immaginarsi e
programmarsi un futuro. Perché altissima è la sfida del rischio
ambientale cui questo modello di sviluppo ci espone. Perchè imponente è
la sfida alla coesione ed all’integrazione che accompagna le inevitabili
ed inarrestabili migrazioni umane.

E quindi anche oggi, come allora, come al tempo della guerra di
Liberazione, abbiamo bisogno di cittadini e di una classe politica che
siano capaci di visioni del mondo, di nuove frontiere e nuovi orizzonti
all’altezza delle sfide in atto, speranze e progetti per i quali abbia
senso impegnarsi, spendere se stessi, anche rischiando in proprio.

Ed è quindi ancora attuale l’appello che nel 1954 Piero Calamandrei
rivolse ai giovani, ma che oggi rivolgo a tutti noi. L’appello a
coltivare la memoria, l’appello a coltivare "nella vita politica", ma
anche nel nostro impegno quotidiano sociale, culturale, personale,
"quella serietà civica, quell’impegno religioso di sincerità e di
dignità umana che fu il carattere distintivo della Resistenza".

Grazie.

 

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EmiNews 2007

 

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