3199 Silvana Mangione: A MODO MIO

20070504 23:11:00 redazione-IT

Iniziano lunedì 7 maggio le riunioni di Commissioni tematiche e continentali del CGIE, che precedono la prima assemblea plenaria convocata dopo le elezioni degli organi interni, avvenute a dicembre scorso. Elezioni che hanno provocato molte reazioni, alcune profondamente giustificate, altre rispondenti alla strategia che tende alla paralisi di un organismo la cui esistenza costituisce ancora la massima garanzia del mantenimento di un quadro armonico di rappresentanza degli italiani all’estero.

Una difficile plenaria, dunque, la prossima. Ci vorrà sia volontà di ascolto e mediazione sia intelligenza di dialogo e capacità propositiva. Demolire è facile. Arroccarsi su posizioni preconcepite altrettanto. Sempre difficile è invece il saper sentire e tener conto delle diverse posizioni, per ottenere un risultato finale che faccia onore al Consiglio e si avvalga dell’apporto di tutte e due quelle che, da qualche tempo a questa parte, si chiamano «maggioranza» e «minoranza» interne. Ribadisco: da qualche tempo a questa parte. Lo spartiacque è stata indubbiamente la prima esperienza di partecipazione degli italiani all’estero alle consultazioni politiche italiane, con l’elezione dei rappresentanti diretti delle nostre comunità e l’inattesa (per quanto riguarda il mondo dell’Italia fuori d’Italia) vittoria dell’Unione sulla Casa delle Libertà. A prescindere dagli errori di tattica e dalle cause immediate di quanto è successo. Diciamolo. Perché se non metabolizziamo questo dato di fatto, non possiamo avviare un ragionamento serio su quanto sta succedendo e succederà al CGIE. Che il risultato potesse essere prevedibile lo indicava, ad esempio, la composizione degli eletti al Consiglio generale in tutti e tre i suoi mandati, a partire dal 1991. Tuttavia ciò non ci aveva mai impedito, in passato, di dialogare serenamente, di raggiungere conclusioni su cui ci si trovava tutti concordi, di votare all’unanimità mozione dopo mozione. Il clima di lavoro è sempre condizionato dall’atteggiamento delle varie componenti di un consesso pluralistico e di diversa estrazione territoriale, elettiva, nominata, continentale, di categoria, di genere e quant’altro possa entrare in gioco ed ora io non sappia elencare. Ecco dunque che la responsabilità di far funzionare il CGIE sta a tutti noi, uno per uno. Scaricare le colpe di comportamenti dirompenti su una realtà od un’altra è il comodo nascondersi dietro un dito, un ditone, una mano – se volete – trasformando il CGIE nel teatrino dei «sound bites», l’urlo e l’attacco, il muro contro muro, che sono sempre, come si diceva prima, facili, facilissimi, ma certamente non costruttivi.
C’è invece molto da costruire. Prima di tutto la proposta di riforma della legge istitutiva del Consiglio. Ho letto attentamente il documento di lavoro su cui saranno chiamate ad esprimersi le Commissioni Continentali prima e l’assemblea poi. L’impianto concettuale è molto interessante. Parecchie indicazioni non fanno altro che ribadire facoltà e poteri già contenuti nella legge attuale, ma forse mai applicati fino in fondo, perché troppi Consiglieri e forze esterne hanno perseverato nel definire il CGIE esclusivamente come «organo consultivo». Ho sempre detto e scritto che le facoltà del CGIE sono quattro: conoscitiva, consultiva, propositiva e programmatica. Le maggiori modifiche suggerite finora insistono sulla composizione, le cariche interne, le commissioni continentali. Gli anglofoni extraeuropei dovranno valutare con attenzione la loro spaccatura in due commissioni continentali – Nord America e AfricAsiAustralia – con conseguente totale perdita di peso nel rapporto fra i numeri: 7 Consiglieri per AfricAsiAustralia, incluso il Nord Africa; 11 Consiglieri per il Nord America, incluso il Messico (e conseguenti incongruenze nell’approfondimento delle diverse necessità culturali e sociali); 21 per l’America Latina senza Messico (?!); 26 Consiglieri per l’Europa. Non c’è bisogno di dire null’altro. I paesi anglofoni extraeuropei, nei quali continua la mobilità di giovani ricercatori, manager, punte di diamante di differenti esigenze di studio e lavoro, al di là dei Vice Segretari d’area, praticamente non riusciranno più a collocare loro esponenti nel Comitato di presidenza e nelle altre cariche previste da quest’ipotesi di modifica della legge istitutiva. Ancora, il lavoro, da svolgere principalmente nelle aree continentali, serve sì al doppio compito di ufficio gratuito per parlamentari già eletti e trampolino di lancio per ambizioni più o meno corrispondenti alla reale fisibilità di concretizzazione, ma frustra il compito fondamentale che continua ad avere il CGIE, quello propositivo – sentite le voci di tutte le realtà elettive, associative, istituzionali, che costituiscono il tessuto dei territori rappresentati. Ancora, prevedere la convocazione alle riunioni continentali delle associazioni che hanno partecipato alle elezioni dei Consiglieri è un’idea bellissima. Ahimè, essa è facilmente attuabile soltanto in paesi così piccoli che la riunione può essere raggiunta ìn macchina o in treno, ma nei nostri paesi extraeuropei il costo diventa improponibile. Faccio un solo esempio: gli Stati Uniti, nei quali esistono 11 Com.It.Es. e, fatti i dovuti conti, si tratterebbe di spostare circa sessanta persone su un territorio che copre tre fusi orari e sei ore di volo da una costa all’altra, per non menzionare che i presidenti dei Com.It.Es., appunto undici, eletti e rieletti, diventerebbero una assoluta minoranza di fronte agli esponenti delle associazioni. Ecco, tocchiamo un altro tasto pruriginoso: come devono essere eletti i Consiglieri del CGIE? Chi mi conosce sa che per anni mi sono battuta a favore dell’elezione di secondo grado, quella vigente, ad opera di un’assemblea elettorale composta dai membri dei Com.It.Es. e delle associazioni più rappresentative. Adesso, proprio perché sia i Com.It.Es. che i parlamentari vengono eletti a suffragio universale, sono convinta e mi batterò affinché il CGIE, organismo di rappresentanza diretta degli italiani all’estero, venga a sua volta eletto a suffragio universale, in concomitanza con le votazioni per i Com.It.Es., per avere un chiaro mandato dalla base e non essere soggetto a ridicoli attacchi vuoti di significato alla sua legittimazione. Infine, perfezioniamo sì il dettato istitutivo della Conferenza permanente Stato – Regioni – PA – CGIE, ma non facciamone oggetto di uno strumento di legge separato, perché togliere una norma da una legge è facilissimo, approvare la nuova legge che re-istituisce l’ente cassato non è affatto sicuro. Il CGIE non può permettersi di perdere la facoltà programmatica che condivide con lo Stato e le Regioni, perché nella Conferenza permanente, malgrado i dubbi di qualcuno, siamo attori davvero paritari nei confronti di Stato, Regioni e PA.

Silvana Mangione

 

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EmiNews 2007

 

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