3211 ISRAELE: L'attacco della comunità ebraica italiana a Bertinotti

20070508 19:51:00 redazione-IT

di Andrea Scarchilli

A Gerusalemme la comunità ebraica italiana indirizza, rivolgendosi al presidente della Camera in visita, dure accuse alla sinistra nostrana: "Ha pregiudizi su Israele". La stampa sarebbe "parziale" e l’equivicinanza una filosofia sbagliata, visto che è tra "democrazia e fondamentalismo"

Un atto d’accusa a tutto tondo, alla sinistra e alle sue posizioni sul conflitto mediorientale da parte della comunità ebraica italiana. E’ quello che, a sorpresa, ha caratterizzato il secondo giorno della visita del presidente della Camera Fausto Bertinotti in Israele. E’ successo alla Sinagoga italiana di Gerusalemme.

Durante il faccia a faccia con Bertinotti, Vito Anav, presidente della comunità ebraica italiana della capitale israeliana, ha espresso un velenoso auspicio: "Ci auguriamo che la sua visita sia anche l’occasione perché si correggano alcuni pregiudizi sul conflitto arabo-israeliano, su cui gran parte della sinistra italiana fonda le sue prese di posizione. Spero poi che si possa mettere fine alla quotidiana parzialità da parte della stampa di sinistra". Attacco anche alla linea del governo, che sostiene l’equivicinanza tra le posizioni di Israele e quelle dei palestinesi: "Risulta difficile comprendere come si possa parlare di equidistanza o di equivicinanza usando lo stesso metro di misura per la democrazia e il fondamentalismo. Israele è l’unico stato democratico dell’area e dovrebbe essere sostenuto e protetto in tutti i modi. Inoltre, i valori fondanti della sinistra sono rappresentati più da Israele, che da chi sostiene il martirio come mezzo di interazione politica". Alla fine Anav ha rivolto un appello a Bertinotti: "Come presidente della Camera le chiediamo di adoperarsi per un riequilibrio dell’informazione e come autorevole rappresentante della sinistra di operare concretamente per il superamento del pregiudizio".

E’ seguito poi un intervento del professor Sergio Della Pergola, in cui si spiegavano le ragioni della frattura con Israele che avrebbe portato a escludere esponenti ebraici dalle liste dei partiti di sinistra. Bertinotti ha reagito chiamando in causa il ruolo istituzionale: "Mi dispiace di non essere nella condizione, per il ruolo che esercito, di rispondere alla pari, di non poter dialogare come ho fatto in passato con la Comunità Ebraica di Roma". Puntualizzando che "non ho nessuna ragione per pentirmi di quelle posizioni", e invitando la comunità ebraica a chiamare "i leader della sinistra italiana, perché possano esercitare in libertà il confronto che avete ragione di pretendere e che io non sono in grado di esercitare, a meno che non vogliate aspettare la fine del mio mandato". Quanto alla pretesa di riequilibrare l’informazione, Bertinotti non ha risparmiato la stilettata sostenendo di non essere "nella condizione e comunque non avere intenzione di farlo, di rivolgere un appello alla stampa affinché modifichi i propri orientamenti. La stampa sceglie liberamente come collocarsi ed eventualmente chi non concorda può andare a cercare altrove le informazioni". Ha definito poi l’ "equivicinanza" coniata da D’Alema una "formula intelligente che parla il linguaggio della ricerca del dialogo e della pace".

Un contrasto che, evidentemente, Bertinotti ha tentato di sedare in ogni modo ma che ha colto di sorpresa il presidente della Camera ed ex segretario di Rifondazione comunista. Tanto più che il giorno precedente era stato molto "istituzionale", esponendo punti di vista ribaditi nel colloquio con Anav: "La soluzione politica dei due Stati per due popoli è l’unica condizione perché si possa insieme evitare le violenze e dare una prospettiva a due popoli che non hanno nessuna ragione per contrastarsi. Questi due popoli hanno diritto ad avere un futuro e il futuro vive soltanto nel riconoscimento del futuro dell’altro". In riferimento all’esortazione rivolta ieri alle due parti: ad Hamas affinché riconosca Israele, e a Israele affinché riconosca Hamas come parte in causa, se non altro perché non ha senso trattare con esponenti "sostitutivi", che non sarebbero scelti dal popolo. E questo, forse, agli italiani d’Israele non è andato giù.

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EmiNews 2007

 

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