3206 Guglielmo Bozzolini: "Un'altra Svizzera è possibile"

20070506 20:23:00 guglielmo

Riportiamo l’intervento del Direttore della Fondazione ECAP, Guglielmo Bozzolini,alla festa del 1.Maggio a Bülach (Svizzera)

Questo primo maggio è dedicato alla lotta contro la precarietà e ha come slogan il rispetto.
Sembrano due parole astratte, ma penso che non ci siano concetti che più chiaramente esprimano la necessità di cambiare radicalmente rotta rispetto alla politica dominante in Svizzera in questi ultimi anni.
L’economia è ormai da tempo uscita da una lunga situazione di crisi, i profitti delle banche e delle grandi imprese esplodo, le quotazioni di borsa continuano a salire e i manager si raddoppiano i compensi, ma il potere d’acquisto dei salari (è un dato statistico di questi ultimi giorni) è cresciuto in Svizzera nel 2006 solo del 0.1% dopo che era sceso costantemente dal 2001 al 2005.

La ripresa economica è quindi accompagnata da una redistribuzione verso l’alto della ricchezza, dai poveri ai ricchi, dal lavoro alla rendita, senza precedenti.
Nello stesso tempo le condizioni materiali di lavoro si precarizzano sempre di più:
• aumenta il lavoro a chiamata e i contratti a tempo determinato, di breve e brevissima durata
• si allungano e si flessibilizzano gli orari reali di lavoro e il tema della riduzione dell’orario settimanale è ormai scomparso dall’agenda politica
• molti lavoratori e lavoratrici sono costretti ad accettare forme di lavoro apparentemente autonomo, in cui l’unica autonomia è quella delle imprese che scaricano su di loro i rischi e li costringono a concorrenziarsi l’un l’altro in una corsa al ribasso.
• Aumenta il lavoro serale, al sabato e alla domenica. Per un numero crescente di lavoratori e di lavoratrici tra straordinari, turni, cantieri costantemente attivi e aperture domenicali dei negozi, sta di fatto scomparendo la divisione tra tempo libero e tempo di lavoro e diventa sempre più difficile organizzare autonomamente la propria vita e la propria rete di rapporti sociali.
• La disoccupazione non diminuisce nonostante la ripresa economica ed i lavoratori e le lavoratrici disoccupati/e, in nome del rapido reinserimento, vengono costretti, per abbellire le statistiche, ad accettare qualsiasi occupazione, anziché a cercare un lavoro stabile, entrando in questo modo in un circolo infernale: disoccupazione – occupazione temporanea – disoccupazione
• Una parte consistente della popolazione continua a vivere in condizioni di povertà e dipende agli aiuti dell’assistenza sociale nonostante lavori
Il quadro che ho sommariamente schizzato indica chiaramente come la precarietà non riguardi solo le condizioni di lavoro, ma per una fetta crescente di popolazione, sia entrata anche negli aspetti più personali ed intimi dell’esistenza.
In questa situazione, parlare di rispetto, vuol dire rilanciare il rispetto verso il lavoro e verso le lavoratrici e i lavoratori:
• rispetto del diritto ad una lavoro dignitoso e ad una vita decente,
• del diritto alla salute ed a lavorare senza ammalarsi o infortunarsi,
• del diritto al sapere e alla formazione lungo tutto l’arco della vita.
Ma rispetto vuol dire anche rispetto delle persone, non solo in quanto lavoratori e lavoratrici, ma come cittadini e cittadine, in quanto tali portatori di diritti irriducibili, indipendentemente dal sesso, dalla nazionalità, dal colore della pelle, dalla lingua, dalla provenienza o dalla religione.
Per lottare contro la precarietà del lavoro e la precarizzazione dell’esistenza è quindi da un lato necessario ridare centralità al lavoro dipendente a tempo indeterminato, dall’altro indispensabile battersi con determinazione contro ogni forma di discriminazione e di esclusione sociale.
Il sindacato e le organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici devono cioè ribadire con forza che non esiste difesa delle condizioni di lavoro di qualcuno che non passi attraverso la difesa delle condizioni di tutti e che la difesa dei diritti di un gruppo o di una categoria, passa attraverso l’estensione dei diritti collettivi.
Bisogna quindi rompere la spirale di paura quotidiana che ci porta sempre più spesso a trovare il colpevole della crescente precarietà della nostra vita, nel diverso, nello straniero, nel disoccupato, in chi dipende dall’assistenza sociale o, come accade con la 5° revisione dell’AI, nell’invalido, accusato di essere un approfittatore senza voglia di lavorare.
Bisogna proporre un’alternativa sia al liberismo trionfante dei potentati economici, che dietro l’ideologia della responsabilità individuale stanno promuovendo l’imbarbarimento dei rapporti sociali, sia alle chiusure identitarie di chi pensa che si possano affrontare la sfida della modernità e i problemi della globalizzazione richiudendo le frontiere o riducendo i già scarsi diritti dei migranti.
Bisogna cioè rafforzare una proposta politica che abbia al centro il lavoro e la sua dignità e conseguentemente abbia come obiettivi l’espansione dei contratti collettivi, l’introduzione in ogni settore dei salari minimi, il rafforzamento delle normative antidumping e contro il lavoro nero, il miglioramento della protezione dai licenziamenti, la parità salariale tra uomini e donne, l’estensione delle possibilità di pensionamento anticipato, la valorizzazione e il riconoscimento delle competenze dei lavoratori e delle lavoratrici ed il diritto alla formazione.
Una proposta politica che si sviluppi a partire dal valore della solidarietà e dal riconoscimento dei diritti di ciascuno di noi: il diritto a vivere e lavorare liberamente e alla luce del sole – perché nessun uomo e nessuna donna possono essere illegali -, il diritto a poter andare via dalle condizioni di fame, miseria e oppressione politica che colpiscono molte zone del pianeta, il diritto a vivere e lavorare in tranquillità senza essere costantemente destabilizzati dalla rapacità di manager attenti solo alla rendita finanziaria, il diritto a potersi integrare nella società dove si vive, esercitando i diritti politici senza i quali non c’è cittadinanza, ma vivendo liberamente le proprie usanze e tradizioni.
Dobbiamo cioè fare rafforzare la Svizzera democratica e solidale, multi culturale, attenta al dialogo, capace di accogliere, integrata in Europa ed aperta al mondo. Dobbiamo aiutarla a emergere e a crescere, a non piegarsi al blocherismo dominante, che ormai fa capolino anche nelle dichiarazioni di qualche insospettabile politico di sinistra.
Per sconfiggere la destra e costruire nuovi spazi di socialità, dobbiamo abbandonare una logica puramente difensiva, assuefatta alle sconfitte e ai luoghi comuni e rilanciare una proposta politica alternativa.
Non è facile, ma un’altra Svizzera è possibile.

www.ecap.ch

 

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EmiNews 2007

 

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