3232 Letteratura: Leo Zanier intervista Agota Kristof nella sua casa a Neuchâtel

20070508 17:02:00 redazione-IT

di Leonardo Zanier

L’appartamento. "È al 3. piano", dice al citofono. Dentro un casone antico, in un vicolo del nucleo medievale di Neuchâtel. Vi sono arrivo in taxi dalla stazione, anche se mi avevano detto che è vicino. Non solo perché i taxisti sanno. È una via divertente, piena di negozietti eleganti e coloriti. Le facciate sono tutte decorate, dipinte, di festoni di fiori, di tralci di vite. Su un pilastro del suo portone c’è un bel gatto grigio e nero, dipinto anche lui. Ha un muso tra il sorridente e lo strafottente. Vedo con sollievo che c’è l’ascensore.

Stranamente cilindrico, per guadagnare spazio. Mi aspetta sulla porta dell’appartamento. Cappelli nerissimi, tagliati a caschetto, zigomi forti, occhi scuri e orientali, sorridente. Il colore prevalente dell’appartamento è il giallo. Constato con invidia: ordinatissimo. Penso: chissà quanti/e scocciatori/trici vengono a farle perdere tempo, ma non ha l’aria di chi lo sta perdendo. Le avevo mandato "Libers… di scugnî lâ" nell’edizione, in francese, dell’Università di Losanna. Mi chiede del friulano. Che tipo di lingua sia. Le dico quel che so e che da noi è impossibile, anche da bambini, pensare che esista una sola lingua. Attorno e dentro ci sono l’italiano, lo sloveno, il tedesco, parlate di transizione.
È stata una lunga simpatica affettuosa chiacchierata. Non registrata. Quello che segue ne è la ritrascrizione a memoria, appoggiata da pochi appunti. La scrivo come fosse un discorso diretto, dal vivo. Ma per darle un’aria meno impegnativa, non metto le virgolette, le faccio però precedere da "Agota Kristof". Fidatevi…
Quelle che si potrebbero chiamare le mie domande, precedute da LZ, sono qui ridotte a pochissime parole. Si collegano tutte al testo precedente. Anche nel colloquio ci sono state raramente lunghe frasi. Quasi pezzi di un discorso per mettere in moto una sua reazione dentro a delle parentesi, a delle caselle: colmare i dubbi, riempire i vuoti. Ma ci saranno anche sorprese…

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LZ – Madre: cucina-orto, padre: aula scolastica…
Agota Kristof – Certo erano due mondi che comunicavano, alle volte tantissimo, altre meno, ma "grazie" alle punizioni frequenti, l’educazione era rigida, frequentavo spesso l’aula della scuola. Venivo lì "confinata-esiliata", da mia madre, insomma affidata per la penitenza a mio padre. È lì che ho imparato a leggere, prestissimo. Mio fratello, anche se punito assieme a me, non mi seguiva, non amava la scuola: andava a tagliare e spaccare legna nella stalla. L’orto-frutteto era davvero grande, se ne occupava solo mia madre. Ci lavorava molto, allevava anche animali: capre, galline, oche, maiali. Nel paese non c’era nessun negozio, faceva tutto lei, provvedeva a tutto lei: verdura, patate, frutta, legumi, formaggio, carne, faceva anche il pane, era un lavoro a tempo pieno, senza mai fine, senza interruzioni.
LZ – Grand-Mère: cosa c’è di comune con la madre?…
Agota Kristof – Certo che la madre e i suoi saperi c’entrano moltissimo con la Grand-Mère come l’ho descritta in Le Grand Cahier. Come avrei altrimenti saputo tutte quelle cose?…
LZ – Primo marito, ungherese…
Agota Kristof – Era ben più anziano di me, era stato il mio professore di storia, ci eravamo sposati nel 1954. È vero: dovevo fare tutto io, non era per nulla disponibile, studiava e basta; chiedeva continuamente sussidi alla Confederazione, per i suoi studi. Ma solo per se, a me non ha mai pensato, li otteneva anche. Ci siamo separati, formalmente, nel 1961 e, appena possibile, divorziati. Non è tornato in Ungheria, è rimasto in Svizzera, vive a Basilea. La figlia avuta con lui, Béri Ziussanna, qui Susanne, ha ora 51 anni, anche lei divorziata. Ha due figli, Camille e Klyde. È responsabile culturale per il Cantone di Neuchâtel.
LZ – Neppure il secondo matrimonio, con un fotografo svizzero abbastanza noto, è durato molto.
Agota Kristof – Siamo divorziati da oltre 20 anni. Con lui ho avuto due figli: Carine Baillot, 41 anni, attrice di teatro, vive a Parigi e Julien, 35 anni, musicista. Si è innamorato di una ungherese, si incontrano ogni mese a Budapest. Ha imparato benissimo la lingua.Ho due fratelli in Ungheria. Vado ogni tanto a trovarli, o vengono loro qui. L’ultima volta sono stata nel settembre scorso. Ma ora faccio fatica a spostarmi, quindi lo faccio il meno possibile, devo farmi accompagnare. Ho un’amica che lo fa volentieri e pensa a tutto. Loro sono sempre rimasti in Ungheria. C’è un particolare interessate: tutt’e tre abbiamo un figlio o una figlia che vive a Parigi.
LZ – Francese, scrive: anche "lingua nemica", non l’ho riportato nel mio testo perché non mi convince… Credo che la lingua materna, una volta imparata, non si dimentica più. Neurologicamente impossibile. Come aver imparato ad andare in bicicletta…
Agota Kristof – È vero in parte. So benissimo l’ungherese, ma non lo uso più per scrivere. So bene anche il tedesco. Perdere la lingua materna non riguarda direttamente me, anche se c’è sovrapposizione; riguarda di più i miei figli. Salvo l’ultimo, come ho ricordato…

LZ – Il suo teatro: nel frattempo ho letto tutto. Ma son dovuto andare in biblioteca, non è disponibile nelle librerie. Pieces bellissime, potenti, divertenti, intense… ci sono autori che sente più "vicini"? Becket, Jonesco…? Vengono recitate spesso? Di più dove?
Agota Kristof – Non leggo teatro e non ci vado quasi mai. Scrivere teatro è più facile e divertente che lavorare su altri tipi di scrittura. Basta un abbozzo di storia, si scrive semplicemente il nome di chi dice che cosa e così via. Dopo le poesie ho scritto solo teatro, fino a 50 anni. Quando ho scritto "Le Grand Cahier" ne avevo esattamente 50.
LZ – Tra qualche mese, sempre nelle edizioni Seuil, uscirà un nuovo libro con 4 pieces, ancora inedite.
Agota Kristof – Le mie pieces sono molto presenti nei teatri qui, in Germania e ancor più in Giappone.
LZ – Ci sono registrazioni sonore o filmate del suo teatro, dal vivo?…
Agota Kristof – Non lo so, se le hanno fatte si trovano nell’Archivio letterario di Berna, raccolgono tutto quello che mi concerne, ovvio anche di altri scrittori. Da parte mia mando tutto lì, non tengo niente.
LZ – Poesia: quelle scritte in Ungheria, le ha poi recuperate? Sono state tradotte?
Agota Kristof – No. Sono proprio andate perse. Senza più speranze. Ne’ rimpianti…
LZ – E quelle scritte in ungherese in Svizzera?
Agota Kristof – Sono state pubblicate su delle riviste ungheresi. Sì le ho tradotte in francese, ma mai pubblicate. Né le farò pubblicare. Ne ho inserito dei frammenti nelle pieces teatrali. Di più in C’est egal. Certo molto rielaborate, sono diventate delle piccole storie. L’Istituto ungherese di cultura di Roma, mi aveva chiesto di averle per tradurle e pubblicarle in italiano. Ho detto no! Non mi piacciono più, troppo sentimentali.
LZ – E il diario?
Agota Kristof – È pure scomparso, ma anche se lo ritrovassi non saprei leggerlo, era scritto in una lingua inventata da bambina, che non ricordo più.
LZ – Ha rapporti con gli altri ungheresi rifugiati e rimasti qui?
Agota Kristof – Non molti, ne ho conosciuti diversi in occasione di una grande festa, che si fa anche in Svizzera e che celebra, ogni primo marzo, l’autonomia-separazione dell’Ungheria dall’Austria, nel 1848 (da cui la duplice monarchia); hanno verso di me un sentimento anche di orgoglio. Ma non a tutti piace quel che scrivo. Il fatto più eclatante: un pittore ungherese, coetaneo e molto noto, mi aveva invitata ad una sua vernice. Ci sono andata e gli ho regalato Le Grand Cahier. Me l’ha subito rispedito con una lettera tremenda e sorprendente in cui diceva che i miei personaggi, sono cinici sadici cattivi criminali zoofili, che la mia idea di umanità è inaccettabile e che non se la sentiva di tenere quel libro in casa perché lo turbava e turbava la casa.
LZ – E della separazione definitiva dall’Austria nel 1919?
Agota Kristof – Non mi sembra che ci sia una festa per ricordarla, fu anche per l’Ungheria una catastrofe. Ci smembrarono, la Transilvania andò alla Romania, ecc. Non credo proprio ci sia una festa…
LZ – Abbiamo anche riso un po’ su alcuni "tratti comuni", sorprendentemente tanti: la stessa età, tutt’e due mal di schiena acuto e cronico (lei in più, senza gran successo, è stata operata due volte) che trae origine nello stesso segmento, basso, della colonna vertebrale, la stessa marca di sigarette, arrivati in Svizzera lo stesso anno, 1956, per simmetriche, si potrebbe dire opposte, concause della "guerra fredda", analoghi numeri di figli e di nipoti, coi nipoti siamo potenzialmente all’inizio, la scrittura; con una differenza: non beve più; una bottiglia di vino del migliore cru di Neuchâtel, portatole assieme al libro e al programma di "Intersezioni babeliche" ("Grazie, li farò avere all’Archivio letterario"), è rimasta sul tavolo, senza venire stappata. Eppure ogni tanto la guardavo. La bottiglia. Mi ha segnalato, per chi vorrà approfondire: Due filmati del regista zurighese Erich Bergkraut: Le continent K., Agota Kristof écrivain d’Europe e AK, 9 ans plus tard. Un libro: Prominente Flüchtlinge im Schweizer Exil [Rifugiati illustri nell’esilio svizzero], Bundesamt für Flüchtlinge, Berna 2003. Che le dedica un lungo capitolo, molto ben documentato. Le chiedo anche: E il libro di Valerie Petitpierre sulla sua triologia, che ho letto con grande interesse?…
Agota Kristof – Ce l’ho. Ma non leggo mai quello che scrivono su di me…
LZ – Quasi per finire: integrazione / assimilazione, sinonimi, quasi sinonimi?
Agota Kristof – Certo che sono sinonimi. Gli italiani immigrati qui si sono molto bene assimilati…

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Quel che segue, inteso come scambi di informazioni, domande mie e sue, aggiungerebbero poco. Saluti con abbracci e baci. Mi fermo a due, non basta, anche se lo so me ne dimentico sempre, me lo ricorda lei: "Qui ci si bacia tre volte".
Riprendo il treno per Zurigo. Subito dopo Neuchâtel, sulla sinistra un paesaggio delicatissimo infinito come pettinato, filari di vigne in terrazzamenti sostenuti da muretti in pietra, si arrampicano sulle falde del Giura, penso che è un vero peccato che oramai, forse, la lascino indifferente…
Già dal treno telefono al regista Bergkraut. Domani mi spedirà i suoi filmati. Mi ha anche subito scritto: la RTSI (la televisione della Svizzera italiana) ha realizzato un adattamento ed una edizione in italiano di Il continente K. Chiederò se possono mandarmene una copia. Ha aggiunto che anche l’editore Casagrande di Bellinzona ha un progetto su AK. Sentirò.
Chiederò anche il libro sui Rifugiati illustri nell’esilio svizzero. Non solo per AK. Ho dato una scorsa all’indice, C’è Silone, Lijenin, Brecht, non mi pare di aver visto Bakunin. "Elvezia il tuo governo"… Ma forse Bakunin entrava, usciva, senza essere mai stato un esiliato. Forse.

 

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EmiNews 2007

 

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