3279 IMMIGRAZIONE:Condannati per un ritardo burocratico, il nemico per richiedenti asilo e rifugiati

20070521 12:50:00 redazione-IT

In decine di casi il fax con il ricorso contro l’espulsione è arrivato quando l’immigrato era già sull’aereo per il rimpatrio coatto, verso un paese dove lo aspetta la tortura o perfino la morte”: raccontano gli esperti dell’Asgi

ROMA – Un ritardo burocratico, un fax mandato troppo tardi, una comunicazione fuori tempo massimo o un’esitazione di un giudice possono tradursi anche in condanne a morte. Succede nei casi in cui rifugiati, esuli o semplici immigrati da paesi che non rispettano i diritti umani fondamentali sono rimpatriati nonostante le richieste di asilo e nonostante i ricorsi alla Corte europea per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu).

E’ questo il tema che è stato analizzato oggi a Roma nel corso di un convegno organizzato dall’Asgi, Associazione studi giuridici sull’immigrazione, che con l’occasione ha dato notizia dell’apertura della nuova sede romana.

Il focus del convegno – al quale hanno partecipato esperti della materia, avvocati e giuristi – è stato dedicato proprio all’applicazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo contro la tortura e come strumento di protezione contro l’allontanamento dei richiedenti asilo. Ci sono state infatti negli anni decine di casi di richiedenti asilo o di rifugiati che fanno ricorso contro i provvedimenti di espulsione, ma che sono incappati nella burocrazia e quindi condannati a tornare nei loro paesi a rischio di tortura o perfino della pena di morte. L’Asgi ha voluto dedicare un convegno specifico all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo ("nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”), perché appare oggi come uno snodo anche di altre questioni. “Parlando dell’articolo 3 – ha detto oggi Veljko Mikelic dell’Asgi – va ricordato che l’importanza dei diritti fondamentali della persona contenuti i questo articolo hanno valore assoluto e come tali non possono subire limitazioni, esclusioni o deroghe”. Sempre secondo Mikelic, proprio il valore assoluto dell’articolo 3 della Convenzione obbliga tutti gli Stati contraenti a “non esporre l’individuo al rischio di trattamenti degradanti e inumani, conseguentemente questo obbligo limita anche il potere dello Stato di eseguire l’espulsione degli stranieri in certi casi”.

Veljko Mikelic, che sarà il responsabile dell’Asgi nella nuova sede romana, ha proposto oggi al convegno una rassegna della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa ai richiedenti asilo. Sono stati raccontati soprattutto alcuni casi che hanno poi fatto giurisprudenza, come quello di Soering contro la Gran Bretagna nel luglio del 1989. In quel caso il ricorrente era un cittadino tedesco che rischiava di essere estradato dalla Gran Bretagna negli Stati Uniti dove poteva essere soggetto alla pena capitale con l’accusa di duplice omicidio. La Corte europea dei diritti umani a cui era stato presentato il ricorso ha dato ragione al ricorrente perchè nello specifico egli sarebbe stato posto in condizioni estreme di detenzione nello Stato della Virginia, dove i giudicati alla pena capitale trascorrono il periodo prima dell’esecuzione in condizione estreme tra cui la sorveglianza permanente, la permanenza in stanze strette e inadeguate. Come per Soering la Corte si è pronunciata in questi anni per molti altri ricorrenti. Al convegno di oggi si è parlato per esempio del caso di Crus Varas (contro la Svezia), di Vilvarajah e altri contro la Gran Bretagna e di tanti altri casi che hanno visto come protagonisti immigrati di paesi come lo Sri Lanka, o casi di persone accusate di terrorismo.

Quello che è emerso comunque dal convegno, a prescindere dai singoli casi pure molto interessanti in sé, sono state le difficoltà giuridiche di applicazione della norma, o per meglio dire di interpretazione della norma e le difficoltà pratiche e perfino burocratiche. Dal punto di vista giuridico molti degli intervenuti hanno fatto presente che le direttive della Corte sulla Convenzione sono qualche volta contraddittorie o di difficile applicazione pratica. Per accettare i ricorsi, per esempio, è necessario che il ricorrente dimostri non sono la fondatezza reale delle minacce a cui andrebbe incontro in caso di rimpatrio coatto, ma anche la fondatezza delle minacce personali a cui va incontro. In altre parole se uno straniero fa ricorso alla Corte contro la sua espulsione per motivi di salvaguardia dei suoi diritti fondamentali, deve dimostrare che il rischio di essere sottoposto a tortura o a qualsiasi altro trattamento inumano da parte del suo paese di origine sia effettivamente dimostrabile e riferito alla sua stessa persona. C’è stato per esempio un caso in cui il ricorso è stato riifiutato a un cileno che non voleva tornare in Cile per non essere torturato come quando accadeva ai tempi di Pinochet. Ma siccome nel frattempo il regime di Pinochet era caduto, allora la Corte ha respinto il ricorso e il ricorrente è stato rimpatriato. Casi analoghi sono accaduti anche per altri paesi.

Ma non ci sono solo i problemi teorici e di intepretazione autentica delle Convenzioni sui diritti dell’uomo e sulla giurisprudenza che ne è scaturita. Ci sono da affrontare ogni giorno, per decine di immigrati, esuli o rifugiati, anche problemi pratici e burocratici. Il giurista della Corte di Strasburgo, Andrea Tamietti, ha per esempio rivolto un appello a tutti gli avvocati che si occupano di diritti umani e di ricorsi, a non aspettare l’ultimo momento utile per mandare notizia del provvedimento di espulsione alla Corte. La procedura infatti è semplice ma si può inceppare. Si manda un fax alla Corte avvisando la Cancelleria che sta per avvenire un provvedimento di espulsione. La Corte ha dunque spesso – ha raccontato Tamietti – poche ore per decidere e può anche succedere che mentre la Corte si riunisce per emettere la sentenza pro o contro il ricorrente, nello stesso momento lo stesso ricorrente è già stato estradato. I governi interessati non sanno neppure quello che sta succedendo. Per questo, dice Tamietti agli avvocati, bisogna agire subito e mandare la notizia della estradizione il prima possibile, magari – ha spiegato scendendo nei particolari – senza aspettare il venerdì, giorno in cui alle 17 la Corte europea chiude i suoi uffici per riaprirli solo alle 9 del lunedì. Ci sono anche degli Stati, ha spiegato ancora Tamietti, che praticano le espulsioni e le estradizioni proprio il sabato, sapendo che la Corte è chiusa e che quindi qualsiasi ricorso (se non è stato già avviato) diventa inutile. “Attenzione – ha concluso quindi Tamietti parlando direttamente agli avvocati – non mandateci le notizie di espulsione quando ormai è troppo tardi. Ci sono stati casi in cui il fax è arrivato quando l’immigrato era stato già imbarcato sull’areo per il rimpatrio coatto”. (pan)

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EmiNews 2007

 

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