3328 LA SICILIA E LA SECESSIONE STRISCIANTE

20070524 11:58:00 redazione-IT

di Agostino Spataro

Strano. C’è chi scappa dalle regioni autonome e chi vi si rifugia come se fossero un nuovo
Eldorado. Accade in Italia, nel pieno di questa lunga e confusa transizione, soprattutto in alcune zone del nord dov’è in atto una secessione strisciante che vede intere comunità spostarsi nelle regioni a statuto speciale, evidentemente attratte dai molti vantaggi che offrono quei territori.

C’è un gran fermento per valli e montagne che lascia trasparire un’inquietudine di fondo, poco identitaria e molto particolaristica, come un’attesa nervosa e gravida di propositi minacciosi che potrebbero mettere in discussione la convivenza solidale della nazione, oggi, più che mai, appesa al filo del federalismo fiscale che verrà.
Succede, in particolare, nel Veneto dove gruppi di comuni hanno deciso, o minacciano, di passare col Trentino Alto Adige e col Friuli.
All’altro capo d’Italia, in Sicilia, la gente guarda sconcertata a tali spinte e si domanda: come mai a quelle latitudini l’autonomia è così attraente, mentre dalla nostra, la più speciale che ci sia, si fugge?
Com’è ormai assodato, dall’Isola si continua a partire (i giovani e non solo) in cerca di un lavoro, di un ospedale, di una scuola decenti; o semplicemente per respirare l’aria delle libertà che qui mancano.
Insomma, se dal Veneto del boom economico si fugge verso il “paradiso” del regime speciale del Trentino Alto Adige, in Sicilia succede esattamente il contrario.
Qui, infatti, non arriva nessuno. A parte le carrette d’immigrati in transito.
Certi sostenitori del ponte sullo Stretto se la prendono con l’insularità, forse per omettere ben altre responsabilità.
In realtà, il principale ostacolo non è questo breve braccio di mare, ma il modo di concepire e di praticare l’autonomia trasformata in un recinto, in un muro invisibile che blocca ogni spinta di progresso e di legalità proveniente dal Paese.
In questi 60 anni, l’Italia ha raggiunto traguardi davvero inimmaginabili, mentre l’Isola -come vedremo- è in coda a tutte le classifiche, quasi una sorta di palla al piede. Il divario di reddito, d’infrastrutture e di servizi non è stato colmato; perciò è da ritenere fallito l’obiettivo primario dell’Autonomia concessa in fretta e furia sotto la minaccia della guerra civile separatista.
Viviamo una contraddizione evidente che ha determinato risultati molto deludenti e mette in discussione il tabù di un’autonomia ormai agli sgoccioli che, a Palermo, una piccola tribù multicolore asserragliata nei palazzi del potere, continua a difendere senza accorgersi che la regione sta correndo verso il precipizio.
Parliamoci chiaro: in Sicilia l’autonomia ha generato un sistema di potere ibrido che ha elargito privilegi e indebite prebende a una cerchia ristretta di gruppi di pressione, mentre in Trentino Alto Adige, in Valle d’Aosta e in Friuli ha prodotto sviluppo, lavoro e benessere diffuso per le popolazioni. In ciò consiste diversità di fondo che caratterizza le due concezioni e pratiche dell’autonomia.
La realtà è sotto gli occhi di tutti e si può sintetizzare mediante alcuni poco invidiabili primati conseguiti in 60 anni di autonomia speciale che l’Ars si appresta a celebrare con festeggiamenti davvero fuor di luogo e molto costosi. La presidenza del parlamento siciliano (che si vanta di essere il “più antico d’Europa”) aveva richiesto 10 milioni di euro, ridotti alla metà a seguito di varie proteste, fra cui le nostre. Miseria e spensieratezza, si potrebbe dire! Certo, alcuni hanno ragione di festeggiare, visto che più mal governano più prendono voti. Purtroppo, la situazione siciliana consente di fare questo ed altro.
A noi non resta che richiamare alcuni di questi imbarazzanti “primati” sperando che facciano riflettere la gente e soprattutto gli invitati a questa festa surreale e anche un po’ insolente.
Nei mesi scorsi, l’Istat ha rilevato che il 31% delle famiglie siciliane vive al di sotto della soglia di povertà. Un dato di per se allarmante cui fa da pendant un altro di Eurostat secondo cui l’Isola è la regione più povera dell’Europa. Infatti, considerando 100 la media del Pil dell’Ue, la Sicilia, col 67,3%, si ritrova all’ultimo posto della classifica europea. Bolzano è al 140,2%, tanto per capire l’entità del divario esistente fra le due regioni a statuto speciale.
Se può consolare, aggiungo che, solo grazie all’allargamento (nel 2007) dell’ UE a Romania e Bulgaria, la Sicilia precede le dieci regioni rumene e bulgare più disastrate dell’Unione.
Dall’Annuario statistico italiano (2006) apprendiamo che la Sicilia è prima anche nella graduatoria regionale della disoccupazione avendo raggiunto quota 285 mila unità, corrispondente al 16,2% del totale della forza lavoro, mentre la Campania è al 14,8% e il Trentino al 3%; l’indicatore nazionale al 7,7%.
Perciò, non è una bestemmia affermare che, nell’ultimo quinquennio, almeno 150 mila siciliani, soprattutto giovani, hanno lasciato l’Isola alla ricerca di un lavoro.
Anche nel settore sanitario la Sicilia accusa un dualismo diabolico fatto di un’enorme spesa cui corrisponde una scarsa resa dei servizi erogati. Anche per questo si emigra dall’isola o si muore in corsia.
Scandagliando fra le tante anomalie, colpisce soprattutto l’elevato numero degli ambulatori e laboratori privati convenzionati che, nel 2003, in Sicilia erano 167 per Asl. Vi sono tante altre “voci” che gridano allo scandalo, ma qui si rivela l’indice il più alto d’Italia che stride contro i 48 della Lombardia, i 10 del Trentino, gli 8 del Friuli e i 6 dell’Umbria.
Complessivamente, la spesa sanitaria assorbe circa il 60 % del bilancio regionale e, produce, insieme alla Puglia, il peggiore conto sanitario fra le regioni italiane.
Una situazione fuori controllo che la giunta Cuffaro ha pensato di risanare mediante una nuova, indiscriminata stangata fiscale che fa leva su aumenti dell’Irap (a carico delle imprese) e delle addizionali Irpef (a carico dei cittadini che già pagano le tasse) e sulla maggiorazione e
l’introduzione dei tickets. Misure inique che non intaccano le vere fonti dello spreco. Per altro, il ministero della Salute le ha ritenute insufficienti e, quindi, dovranno essere rielaborate, ri- contrattate e riapprovate. Sperando che, questa volta, i deputati all’Ars siano presenti al completo e più attenti a quel che votano.

Agostino Spataro

 

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EmiNews 2007

 

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