3339 La genetica contro il razzismo: conoscere le origini della specie umana per abbattere i pregiudizi

20070529 18:19:00 redazione-IT

La genetica contro il razzismo. Secondo Alberto Piazza, conoscere le origini comuni della specie umana aiuta ad abbattere i pregiudizi razziali

di Elisa Frisaldi

I nostri geni racchiudono gli elementi per abbattere i pregiudizi razziali. In tempi in cui immigrazione e integrazione sembrano parole sempre più difficili da coniugare e nelle città crescono diffidenza e intolleranza
verso gli stranieri, la genetica di popolazione può avere interessanti ricadute anche sul piano socioculturale, oltre che scientifico.

È questa l’opinione di Alberto Piazza, docente di genetica umana presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Torino, che ha appena concluso uno studio sulle origini del popolo etrusco. Un’opinione, la sua,
condivisa tra gli studiosi che scavano nel passato della specie umana.

Professor Piazza, che cosa ci insegnano gli studi sulle origini delle popolazioni?

Ci permettono di approfondire la conoscenza del nostro passato. Grazie alle attuali tecniche molecolari è possibile tracciare una memoria storica che le fonti precedenti alla scrittura non ci possono dare.

Quando le indagini riguardano epoche di cui non esiste documentazione scritta, si assiste a un’inversione temporale dei ruoli dei genetisti e dei paleoantropologi: i risultati forniti dai primi diventano i presupposti necessari alla formulazione di ipotesi che i secondi dovranno confermare.

Questo tipo di approccio consente di ricostruire la storia delle popolazioni, i loro movimenti migratori e le modalità di distribuzione in una certa area geografica. Il rapporto tra archeologi e antropologi ha così ricevuto un nuovo impulso che potrà contribuire alla ricomposizione tra i
saperi umanistico e scientifico.

Dal punto di vista genetico quanto siamo diversi uno dall’altro?

Il progresso della ricerca genetica, della paleontologia e
dell’antropologia ha contribuito a confermare la teoria monocentrica secondo la quale discendiamo da un unico ceppo genetico. Inoltre, lo studio del genoma umano ha permesso di scoprire che le differenze tra due individui della stessa specie sono estremamente piccole. Ci distinguiamo l’uno dall’altro per idee, cultura, aspetto esteriore. Ma non per struttura biologica. Ognuno di noi possiede singole variazioni che ci impediscono di considerarci una razza pura.

La maggior parte delle persone non è ancora completamente conscia di questo concetto. Inoltre, involontariamente, noi umani notiamo solo i caratteri visibili delle persone (colore della pelle, dei capelli, degli occhi) senza
considerare che, a livello genetico, rappresentano una piccolissima parte della nostra variabilità biologica.

Eppure tendiamo a considerare nemico tutto ciò che è appare diverso da noi…

Probabilmente avviene per un meccanismo di difesa. Era così anche in passato. Basti pensare alle grandi esplorazioni del Quattrocento e del Cinquecento: le descrizioni e i disegni di quei viaggi rappresentano sempre l’estraneo, "il selvaggio", in modo mostruoso.

Il pregiudizio razziale è un problema culturale: se i risultati della ricerca possono aiutare a sfatare i miti, non sono sufficienti a sradicare l’idea di ‘altro’ e perciò di nemico. Il razzismo esiste ancora e in Europa, per esempio, sta tornando a prendere piede l’antisemitismo. Io
credo che queste resistenze contro il diverso si potrebbero ammorbidire con un’educazione basata sulle certezze scientifiche attuali.

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EmiNews 2007

 

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