3391 SUL PROCESSO PER I FATTI DEL G-8 DI GENOVA 2001

20070616 16:59:00 redazione-IT

di Lorenzo Guadagnucci

Vincenzo Canterini è un’autentica rivelazione. È un uomo d’azione con il rango di questore: uno s’immagina di trovarsi di fronte in tribuanle un uomo tutto d’un pezzo, rigoroso, orgoglioso del proprio ruolo di comando, deciso a tutelare il proprio onore e quello dei propri uomini. E invece niente.

L’ex comandante del reparto mobile sperimentale della polizia di Stato, quello che fece irruzione alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001, è un uomo che affronta il processo che lo vede imputato con un misto di leggerezza e di stupore. Sembra quasi sorpreso di trovarsi lì, a rispondere al pubblico ministero che lo accusa di falso, calunnia e concorso in violenze.

Affronta le domande e le contestazioni senza coglierne, almeno
all’apparenza, la gravità sia penale che morale. Quando gli chiedono dei
manganelli tonfa, quelli col manico a sette, usati dai suoi uomini a
rovescio, a mo’ di martelli, in modo da lacerare la pelle dei malcapitati
occupanti della scuola, lui osserva che effettivamente dei tonfa si possono
fare usi impropri: "Anche tirarli per aria e riprenderli al volo". Una
battuta.

Quando gli chiedono conto della sua relazione di servizio al questore di
Genova, per la quale è imputato di falso, spiega di avere descritto la
"vigorosa resistenza dei manifestanti che avevano provveduto ad attrezzarsi
con spranghe e bastoni", senza avere visto in realtà alcunché, se non delle
persone ferite, delle spranghe in un angolo e alcuni suoi agenti contusi:
ha scritto quindi la relazione -parole sue- sulla base di deduzioni logiche
e sensazioni, percepite queste ultime da quel che si diceva fra gli agenti
nel cortile della scuola. Quando il pm gli ha chiesto perché non avesse
chiesto informazioni ai suoi capisquadra, che lo precedevano e quindi
potevano avere informazioni di prima mano, ha praticamente scrollato le
spalle: non ce n’era bisogno, bastavano deduzioni e sensazioni. Né il
dottor Canterini sembra turbato alla lettura di alcune delle relazioni
stese dagli stessi capisquadra, in cui sono descritte violenze
ingiustificate contro persone inermi.

Nemmeno le contraddizioni in cui cade lo spaventano. Procede imperterrito
quando il pm gli ricorda il suo interrogatorio durante la fase delle
indagini: il dottor Canterini riferì una frase che gli rivolse un
funzionario del suo stesso reparto: "Con quei macellai non voglio più
averci niente a che fare". "L’avrà detto per quello che ha visto dentro",
dice Canterini in aula. E in effetti qualcosa lo avevano visto insieme
dentro la Diaz: una ragazza inerme -a qualcuno sembrò addirittura morta- in
un pozza di sangue. Perché non fece menzione di queste fatto? Semplice: non
gli pareva di sua competenza.

Il dottor Canterini dice fra l’altro di non aver comandato il suo reparto,
che fu spezzato in due e condotto dentro la scuola da due funzionari
genovesi, e di avere partecipato al blitz con un "ruolo tecnico", come un
osservatore. Un osservatore che fuori della scuola, mentre i suoi sfondano
il cancello, non vede il corpo di Mark Covell, in una pozza di sangue,
travolto e massacrato di botte dagli agenti. Un "non comandante" al quale è
affidato il compito di stilare la relazione di servizio.

Il dottor Canterini è divenuto questore grazie a una promozione che gli fu
assegnata un paio di anni fa, nonostante l’impresa della Diaz e il processo
in corso. E di fronte a un titolo del genere, verrebbe da pensare a un
funzionario dello Stato che mette al primo posto l’onore personale e quello
del proprio corpo d’appartenenza. Non è così. O almeno non sembra. La
perquisizione è descritta come un’applicazione del principio d’anarchia,
senza ruoli gerarchici e una "macedonia di polizie" in azione. Se un capo
c’era, ma non è detto che avesse davvero quel ruolo, il nome da fare,
secondo il questore Canterini, è quello di Vincenzo La Barbera, morto di
malattia nel 2002, con una menzione anche per Lorenzo Murgolo, l’unico
dirigente, fra i trenta agenti indagati inizialmente, prosciolto in
istruttoria. Che l’operazione si sia conclusa con più di sessanta persone
all’ospedale, 93 arresti arbitrari e una macchia indelebile sulla sua
carriera, sul suo reparto sperimentale e sull’intera polizia di stato,
sembrano fatti irrilevanti, marginali, che non toccano la sua persona. Non
c’è davvero nulla di marziale nel dottor Canterini, e questa è una
delusione. Uno si aspetta un uomo contrito, preoccupato, che magari ha uno
scatto d’orgoglio per rivendicare almeno qualche momento alto del suo
passato in polizia, e scopre invece un uomo a volte impacciato ma sereno,
capace di leggerezza e a tratti anche d’ironia. Una rivelazione, appunto.

Peccato che siano in ballo cose più importanti del profilo o della carriera
di un poliziotto finito in una vicenda ben più grande di lui. Quel che
resta, dopo una giornata in tribunale, e alla luce delle udienze più
recenti, è la sensazione che la polizia non tenga affatto al proprio onore
e alla propria credibilità democratica. L’udienza, oltretutto, è parsa per
lunghi tratti una brutta copia di Porta a porta, con battibecchi continui
fra il pubblico ministero, il presidente del tribunale e gli avvocati
difensori. Pareva una confusa bagarre più che la celebrazione di un rito
giudiziario.

Alla fine, fuori del tribunale, abbiamo alzato un paio di cartelli. Uno
diceva: "In questo tribunale la polizia sta perdendo l’onore e la fiducia
degli italiani". Nell’altro si chiedeva allo Stato di andare fino in fondo,
dopo tanti premi attribuiti ai dirigenti imputati al processo per la Diaz:
"Vogliamo Canterini capo della polizia".

_________________

MACELLERIA ITALIANA

Il dottor Michelangelo Forrnier ha sbagliato a tacere per sei anni su quello che ha visto dentro la scuola Diaz. Proprio lo "spirito di appartenenza" avrebbe dovuto spingerlo a raccontare tutto e subito. Solo così avrebbe servito nel migliore dei modi, con lealtà e responsabilità, lo stato di cui è funzionario. Ad ogni modo, sia pure in ritardo, ha raccontato ciò che ha visto, confermando le testimonianze di decine di persone. Il dottor Fournier ha parlato di "macelleria messicana". L’attuale ministro degli Esteri, nel 2001, parlò di "notte cilena". Si ricorre all’esotismo, ma siamo di fronte a una "perquisizione all’italiana" che ha macchiato la credibilità della polizia e dello stato. A questo punto
chiediamo: il capo della polizia non ha niente da dire? Il ministro degli Interni farà finta di nulla anche stavolta? Il parlamento continuerà a tenere in un cassetto la legge sulla commissione d’inchiesta?

Genova, 13 giugno 2007
COMITATO VERITA’ E GIUSTIZIA PER GENOVA

G8/ FOURNIER: ALLA DIAZ OPERAZIONE DI MACELLERIA MESSICANA Il Vicequestore Fournier: ho visto pestare i no global
Tutte le news di Cronaca Genova, 13 giu. (Apcom)

– E’ proseguito davanti al Tribunale penale di Genova, presieduto da Gabrio Barone il processo contro 29 tra dirigenti, funzionari, agenti di polizia per l’irruzione nella scuola Diaz durante il G8 del 2001 a Genova. Gli imputati sono accusati di svariati reati, tra cui violenza, lesioni, falso e calunnie. Oggi è stato ascoltato l’imputato Michelangelo Fournier, all’epoca vicequestore e comandante del settimo nucleo sperimentale antisommossa del primo reparto mobile di Roma.
Fournier era al comando del più grosso reparto entrato alla Diaz. Dopo aver riconfermato di aver giudicato l’irruzione nella scuola: "Un’operazione di macelleria messicana", il dirigente della Ps ha fatto una importante ammissione rispondendo alle domande del pubblico ministero
Enrico Zucca: "Quando sono arrivato nella scuola ho visto quattro poliziotti, due in divisa, due in borghese che al primo piano infierivano su una decina di persone a terra, non erano miei uomini". Immediata la richiesta del Pm Zucca che ha chiesto a Fournier come mai non avesse mai
detto prima di aver assistito al pestaggio. Fournier ha risposto: "Non erano uomini miei e se non l’ho detto prima l’ho fatto per senso di appartenenza al corpo. Comunque non ho mai pronunciato la frase basta, basta, basta che mi viene attribuita".
Il resto dell’interrogatorio è stato più che altro dedicato all’esame delle armi, dei caschi e delle divise di cui erano muniti i poliziotti al comando di Fournier.

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EmiNews 2007

 

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