3404 ITALIANI ALL'ESTERO: ASSOCIAZIONISMO, RAPPRESENTANZA, DEMOCRAZIA

20070616 17:24:00 redazione-IT

di Rodolfo Ricci

Il Seminario della CNE (Consulta Nazionale dell’Emigrazione) dello scorso lunedì a Bologna, ha rappresentato un momento significativo del dibattito intorno al rilancio dell’associazionismo dell’emigrazione. Come ha più volte sottolineato nel suo intervento il Segretario generale del CGIE, riprendendo l’introduzione del Presidente Rino Giuliani, le oltre 10.000 associazioni diffuse nel mondo costituiscono la base per la stessa praticabilità delle politiche a favore degli italiani all’estero e di gran parte di ciò che può venire all’Italia dal patrimonio costituito dalle collettività degli italiani all’estero.
Senza la mediazione associativa, questo universo sarebbe atomizzato e molto probabilmente non si parlerebbe di italiani all’estero nel modo in cui siamo abituati a fare; non si sarebbe realizzato il voto all’estero, e neanche quello dei livelli territoriali dei Comites e del CGIE.

La presenza di questo vastissimo tessuto connettivo delle associazioni costituisce quindi la precondizione della rappresentanza politico-istituzionale e ciò è continuamente dimostrato anche dal fatto che gran parte delle missioni realizzate nei paesi di emigrazione da rappresentanti politici, economici o istituzionali, siano essa finalizzate allo scambio culturale, politico-istituzionale ed anche economico, si conclude o fa tappa al 99% nelle sale di qualche associazione.

Senza le associazioni, i punti di riferimento sarebbero molto ridotti, come anche le occasioni di relazioni che vengono intessuti con questi paesi. E sarebbe quasi impossibile sviluppare qualsiasi confronto con gli italiani nel mondo.

E’ evidente che se il panorama è questo, l’attenzione e il sostegno al mondo associativo dovrebbe costituire una priorità politica.
Cosa che invece non accade affatto, a parte encomiabili casi di alcune regioni, come hanno potuto illustrare nel convegno, in modo puntuale, Silvia Bartolini, Presidente della Consulta regionale dell’emigrazione dell’Emilia Romagna, e il rappresentante della Regione Veneto, i quali tuttavia hanno dovuto sottolineare che non è possibile sviluppare interventi coerenti ed organici al di fuori di un quadro di riferimento che solo la Conferenza Stato-Regioni-Prov.Autonome-CGIE assieme al movimento associativo dovrebbe elaborare ed assumere.

Come ha sostenuto giustamente Elio Carozza, “tutte le materie sono state trattate in questi anni di CGIE (dall’informazione, alla scuola, alla formazione, alle questioni pensionistiche, ai Comites e allo stesso CGIE, fino al voto), ma non si è mai affrontata neanche di sfuggita la questione di come tutelare, sostenere e riqualificare questo enorme patrimonio costituito dalle associazioni, soprattutto quelle di promozione sociale e di servizio”.
Cosa abbastanza paradossale, fino all’inizio degli anni ‘90, questa attenzione in parte c’era, ed erano previste delle misure specifiche a favore dell’associazionismo.

Poi, nell’ultimo decennio, anche alla luce del montare della discussione sul voto all’estero, il confronto su questo tema si è affievolito fino a spengersi; però sono in tanti a lamentare come un fatto grave che il nostro associazionismo è invecchiato, non ha rinnovato la proprie “classi dirigenti”, non è al passo coi tempi, ecc., ecc.

Forse in queste valutazioni si dimenticano alcuni fatti:

1), che le associazioni anziché diminuire sono aumentate;
2), che le associazioni si interessano sempre più ai propri territori e realtà di insediamento e sempre meno all’Italia;
3), che il ricambio generazionale è avvenuto e si evolve in modo naturale in quelle associazioni
che si interessano ed agiscono più sul piano locale piuttosto che nel rapporto con ll’Italia e invece non è avvenuto in modo adeguato in quelle che continuano a lavorare in una prospettiva prevalentemente italiana.
4)- che le associazioni storiche si sono trasformate sempre più in “associazioni multiculturali” ove l’elemento italiano, una volta esclusivo, si accompagna sempre più a compagini sociali miste, italiane, locali e di altre etnie emigrate;
5)- che l’interesse verso le realtà locali ha fatto sì che ben prima della possibilità di voto per le elezioni politiche italiane, le associazioni storiche lavorassero e si impegnassero per la costruzione di momenti di rappresentanza nei paesi di residenza, ove i processi di integrazione andavano avanti e costituivano l’elemento più significativo per il quale valesse davvero la pena impegnarsi; così che oggi vantiamo,nei diversi paesi, migliaia di consiglieri comunali, provinciali, regionali, centinaia di parlamentari e decine di ministri con doppia cittadinanza o di origine italiana.
6)- che l’associazionismo più orientato all’Italia ha invece trovato nuova linfa nel rapporto con le regioni o altre realtà locali da una parte e, dall’altra, ha ritrovato una propria ragione d’essere nella congiuntura del voto all’estero; il mancato ricambio generazionale, in questa ottica, è comune responsabilità degli attori coinvolti, non sole di quelle singole associazioni.

Se queste cose sono vere o comunque interpretano corrette linee di tendenza, tra qualche tempo (non molto) l’associazionismo più orientato all’Italia non risulterà il “miglior associazionismo possibile”; e non solo i giovani non vi parteciperanno, ma anche i meno giovani se ne congederanno. Già in buona parte è avvenuto ed avviene.
Ciò sarà ancor più probabile se l’esito delle politiche a favore degli italiani all’estero, tanto auspicato e tanto anelato attraverso l’elezione dei 18 parlamentari, non farà quel salto di qualità che francamente ancora non si coglie.

Forse è anche sulla base di valutazioni o previsioni simili che diversi rappresentanti politici ed istituzionali (di diversa appartenenza) tendono sempre più rapidamente ad imboccare la scorciatoia per la quale gli interlocutori da tener concretamente presente sono le Camere di Commercio e i Patronati, alle quali realtà si tende a riconoscere (o viene affidata tout-court) la funzione di interlocutori sociali (rappresentanza) oltre che tutta una serie di compiti e funzioni “para-statali”, ben oltre quelle previste ad oggi per legge. Ed è chiaro che poi oltre a queste funzioni se ne possono anche immaginare di altre più informali.
Vi è cioè una tendenza ad attribuire impropriamente una funzione di rappresentanza a reti organizzative che vengono finanziate da leggi italiane e i cui funzionari rispondono esclusivamente a logiche italiane.

Dove finirebbe la specifica “mission” e la “natura di parte” di queste organizzazioni è un quesito interessante sia per i patronati che per le organizzazioni imprenditoriali (le quali ultime tra l’altro, rappresentano in buona misura, non l’impresa nata in emigrazione, ma quella italiana delocalizzata).
E dove finirebbe la “agibilità democratica” all’estero in occasione delle prossime consultazioni elettorali è un quesito che tutti dovremmo porci.

E’ quindi importante che questo Governo, questo CGIE, i Parlamentari eletti, si impegnino –interloquendo con l’associazionismo nazionale in particolare- a individuare e presentare una proposta legislativa che sostenga l’associazionismo e ne consenta lo sviluppo e il rafforzamento, in una nuova dimensione di moderna e non esclusiva relazione con l’Italia, ma riconoscendone la funzione di mediazione e promozione sociale e il vasto patrimonio che rappresenta a diversi livelli.

Questa non è una delle tante priorità, è piuttosto un’urgenza comune, se non si vuole che tutta la vicenda del voto, della rappresentanza, della valorizzazione della risorsa emigrazione, non declini verso lidi paludosi dai quali, – anche in considerazione della attuale discussione intorno al rapporto tra classe politica e cittadini-, difficilmente si riuscirebbe ad uscire.

Rodolfo Ricci – (Segr. gen. FIEI)
Roma, 15 Giugno 2007

 

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EmiNews 2007

 

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