3412 La comunicazione di Cristiano Caltabiano al Seminario sull'Associazionismo di Bologna

20070621 12:21:00 redazione-IT

[b]COMUNICAZIONE DI CRISTIANO CALTABIANO, DIRETTORE SCIENTIFICO DELL’IREF[/b]

“La lunga transizione: il problema del ricambio generazionale nelle reti associative degli italiani all’estero” – BOLOGNA 11 GIUGNO 2006

L’arte di associarsi tra le prime generazioni degli italiani all’estero

n Per le prime generazioni le associazioni sono stati luoghi fondamentali di incontro e di reciproco aiuto; ambiti di socializzazione che hanno accompagnato e sostenuto, nella loro travagliata vicenda, i paisà espatriati con la “valigia di cartone” per emanciparsi da condizioni di arretratezza e povertà.
n Durante il Novecento (o addirittura prima) gli italiani all’estero si sono associati con diverse finalità: per darsi un sostegno materiale, per coltivare la propria identità culturale (il retaggio particolaristico del luogo provenienza), per sviluppare scambi costanti con la madrepatria, ecc. Senza dubbio, queste associazioni hanno assecondato i percorsi di integrazione sociale dei nostri connazionali nei luoghi d’emigrazione, rinvigorendo la loro italianità a distanza.
n Un esempio che viene da lontano: la società Unione e Benevolenza degli italiani di Buenos Aires nasce nel 1858, per rinsaldare i legami di mutuo sostegno dei nostri conterranei che erano espatriati nella capitale argentina.

La rete associativa degli italiani all’estero: una filiera composita di enti e gruppi sociali sparsa in tutto il mondo

Le associazioni sono (o meglio continuano ad essere) un pilastro fondamentale per la “diaspora italiana”

n Al di là delle statistiche – e delle differenze fra paese e pase – si può dire che questo tessuto associativo è un solido retroterra per gli italiani che vivono all’estero:
n 1. si è, infatti, in presenza di associazioni ben distribuite e radicate nelle principali comunità territoriali dove si sono insediati i nostri emigranti (e i loro discendenti);
n 2. questi enti svolgono funzioni polivalenti, offrendo spazi importanti di partecipazione e di riconoscimento ai loro associati: attività culturali, vita religiosa, tempo libero e iniziative ricreative, sport, ecc;
n 3. non si può, inoltre, trascurare l’azione delle associazioni regionali che, dagli anni Settanta in poi, hanno svolto un ruolo determinante, preservando tradizioni e culture locali. Senza il loro intervento, l’identità particolaristica degli italiani all’estero si sarebbe “sbiadita” col trascorrere del tempo.

Il problema della partecipazione giovanile nelle associazioni

n Nonostante questi punti di forza, le associazioni degli italiani all’estero sono oggi costrette ad affrontare un problema di non poco conto: l’apparente apatia dei giovani, che sembrano scarsamente coinvolti nelle attività pro-sociali di queste organizzazioni.
n Questo aspetto emerge con chiarezza da una ricerca sulle nuove generazioni degli italiani all’estero, condotta dall’IREF e dall’Università la Sapienza di Roma tra il 2002 ed il 2004, sulla quale avrò modo di tornare più volte durante questa comunicazione.
n Al di là delle ovvie diversità fra paese e paese di emigrazione, c’è un risultato di fondo che colpisce particolarmente in questa indagine: i figli e i discendenti degli emigranti, oltre ai neo-immigrati, disertano le associazioni, soprattutto quelle regionali.
n Sono gli stessi giovani ad aver dichiarato di non frequentare quasi mai queste organizzazioni. Questa situazione accomuna tutti i paesi in cui è stato svolto lo studio: Europa (Belgio, Francia, Germania, Regno Unito, Svizzera); America (Argentina, Brasile, Canada, Stati Uniti, Uruguay, Venezuela); Oceania (Australia); Africa (Marocco, Sudafrica, Tunisia).

Il paradosso del ricambio generazionale

n A mio modo di vedere, il distacco dei giovani nasce da un paradosso: il tessuto associativo dell’emigrazione italiana è vitale ed essenzialmente orientato al culto delle radici (regionalistiche e municipali). Si tratta di un associazionismo denso (vissuto e partecipato dalle prime generazioni) che crea (involontariamente) delle barriere di accesso ai giovani.
n In effetti, questi ultimi non si riconoscono più nelle forme di aggregazione convenzionali (in primis le associazioni regionali, dove spesso ci si incontra per festeggiare il santo patrono del “paesello” o semplicemente per riconoscersi nella comune nostalgia per quello che ci si è lasciati dietro alle spalle).
n Oggi le istanze sociali dei giovani sono diverse da quelle dei padri e dei nonni. Per questo disertano le associazioni: il richiamo delle radici non desta un grande interesse negli eredi della diaspora italiana.
n Per ironia della sorte, un associazionismo tutt’altro che virtuale (ma forse troppo tradizionale), allontana i giovani, perché non riesce a stimolarli più di tanto. Perciò non si assiste ancora ad un ricambio generazionale nella rete associativa degli italiani all’estero. Non è comunque solo questione di un turn over nelle cariche: non basta nominare un presidente trentenne e intraprendente per risolvere una questione così complessa. Piuttosto, bisogna cercare di capire meglio il vissuto dei giovani.

I giovani e il legame con l’Italia

n L’esperienza dei giovani italiani all’estero si inquadra in un nuovo contesto: la società globale. Ciò comporta alcune trasformazioni nel modo di intendere la propria origine italiana.
n Naturalmente sono molte le differenze tra i giovani italiani che vivono all’estero. Molto dipende dal paese in cui sono nati e cresciuti. E, poi, bisogna fare una distinzione netta tra i discendenti (seconde, terze, quarte generazioni…fino agli oriundi) e i neo-immigrati (coloro che sono partiti di recente dall’Italia, con aspirazioni ben diverse da quelle dei nostri connazionali espatriati agli inizi del Novecento o nel dopoguerra). Un fatto è certo: per i giovani il rapporto con l’Italia (e con il paese d’emigrazione) è cambiato profondamente.
n Almeno due sono i processi che annunciano questo mutamento culturale: la reversibilità dell’esperienza migratoria; la re-invenzione dell’italianità. Sul terzo processo (la compresenza culturale), che pure gioca una parte rilevante, non ho qui il tempo di soffermarmi.

L’esperienza migratoria diventa reversibile: dal progetto migratorio al patchwork della mobilità geografica

n Oggi, le distanze tra i paesi si accorciano, ponendo i discendenti degli emigrati (e gli stessi neo-immigrati) di fronte ad una condizione duratura di transitorietà: si può sempre cambiare meta, laddove si presenti l’occasione o si subisca un improvviso rovescio del destino.
n In un’epoca dove il nomadismo globale acquisisce un significato positivo, il rientro o l’apertura di nuovi itinerari migratori si spogliano dei loro tratti deteriori: l’erranza è sinonimo di espressività, autonomia e di una intraprendenza ormai senza confini di tempo e di luogo.
n Dal punto di vista culturale, i giovani italiani che vivono oltre confine sembrano aver assimilato questo cambiamento; il rientro nella madrepatria o la possibilità di fare un’esperienza in un altro paese sono ipotesi sempre aperte e percorribili. La reversibilità dei progetti di vita è un tratto costitutivo dei giovani.
n Quindi, a prescindere dalle proprie condizioni economiche (comprese quelle della famiglie d’origine), questi giovani sono inclini a spostarsi in altri paesi (non solo in Italia), per fare esperienze professionali (temporanee) o semplicemente per accrescere il proprio bagaglio culturale. Tale orientamento è presente tanto fra i giovani italo-australiani che sono ben inseriti nel mercato del lavoro locale; quanto fra i giovani italiani che vivono in Argentina, costretti a fare i conti con prospettive economiche e occupazionali assai problematiche.

Riflessività (la re-invenzione dell’italianità): un’identità selettiva con accenti critici (una forma di rispecchiamento “glocale”)

n L’identità dei giovani è per sua natura ibrida. In particolare, i discendenti della diaspora italiana subiscono l’influsso delle agenzie di socializzazione della società d’accoglienza (scuola, gruppo dei pari, mercato del lavoro, ecc.). Per loro la nazione di approdo non è “l’estero”, quanto il contesto nel quale sono nati e cresciuti.
n Tuttavia, essi mantengono l’ascendenza italiana; un marcatore etnico che evoca il rapporto di discendenza con la Penisola. Ben si capisce che questo “nesso ereditario” sia d’intensità variabile. Dunque, l’italianità si declina al plurale quando viene studiata dal punto di vista dei giovani oltre confine.
n In estrema sintesi, i giovani italiani all’estero sono riflessivi. Infatti, il loro rapporto con la tradizione assomiglia ad una revisione del retaggio: una re-invenzione autonoma delle radici, che investe la sfera cognitiva e la dimensione comportamentale. Il retroterra (del paese d’origine e di quello d’adozione) viene così costantemente rimesso in discussione.
n Un esempio tipico di questo processo sono le visite in Italia; durante questi viaggi, i giovani trasformano il significato della madrepatria: dal microcosmo particolaristico che ha dato i natali ai genitori (il “paesello”), alla Penisola allungata, un paese moderno, che si condensa nelle metropoli post-industriali e nelle città d’arte.

Nuove istanze per nuove associazioni

n Questi cambiamenti culturali creano inevitabilmente nuove istanze partecipative fra i giovani; istanze che non hanno ancora trovato spazio (se non parzialmente) nella rete associativa degli italiani all’estero.
n Come ho detto in precedenza, il ricambio generazionale non è solo questione di rinnovamento delle cariche dirigenziali all’interno delle associazioni; o magari un problema di tesseramento, che si può aggirare in modo sbrigativo con una efficace campagna di iscrizioni rivolta al target degli “under trenta”.
n Il punto è che i giovani chiedono agli enti associativi di cambiare rotta, svolgendo un nuovo ruolo a cavallo tra i rispettivi paesi d’emigrazione e l’Italia. Basta ascoltare le loro richieste raccolte nella ricerca dell’Iref e dell’Università di Roma.
n Dati i limiti di tempo di questa comunicazione, le riflessioni che mi accingo a suggerire a questa platea qualificata saranno necessariamente schematiche: le opinioni che i giovani hanno rilasciato nell’indagine presentano molte sfumature. In questa sede mi soffermerò solo sulle tendenze generali, rinviando al volume che raccoglie i risultati della ricerca per maggiori approfondimenti. Inoltre, l’indagine data ormai tre anni, quindi qualcosa potrebbe essere cambiato, anche se il quadro complessivo mi sembra ancora attuale e valido.

Segnali per l’associazionismo (I)

n Stati Uniti – i giovani esprimono una forte domanda legata alla riscoperta delle tradizioni, ma anche una sensibilità verso la cultura italiana contemporanea, che comincia a manifestarsi all’interno dei circuiti delle associazioni universitarie. La sfida è quella di promuovere un maggiore coordinamento fra queste istanze di base dell’associazionismo giovanile (in prevalenza dedicate all’inserimento professionale), convogliandole così all’interno delle reti di rappresentanza politica e associativa della comunità italo-americana.
n Argentina, Uruguay e Venezuela: in questi paesi i giovani italiani hanno sentito le ripercussioni della crisi finanziaria ed economica esplosa nel 2000 e sono preoccupati per il loro futuro; gli intervistati chiedono alle associazioni uno sforzo maggiore nella sfera del lavoro: trasferimento di expertise e competenze da parte degli imprenditori italiani che hanno avviato attività economiche di successo in questi paesi; un interscambio professionale più intenso con la madrepatria, attraverso stage e tirocini nelle aziende italiane; l’attivazione di servizi di orientamento per vagliare le opportunità di lavoro in Italia.

Segnali per l’associazionismo (II)

n Australia – I giovani italo-australiani hanno indicato diversi obiettivi per un associazionismo profondamente rinnovato:
n potenziare l’informazione sull’Italia (svecchiare l’immagine della Penisola, veicolando notizie sulle attuali condizioni economiche, politiche, sociali e culturali del Belpaese), anche per poter votare in modo più consapevole dall’estero durante le elezioni politiche italiane;
n promuovere la lingua e la cultura italiana, superando “gli steccati” della comunità italo-australiana, ossia facendo opera di proselitismo culturale dell’italianità presso la popolazione astraliana;
n sviluppare politiche in campo formativo e lavorativo (interscambi universitari);
n aumentare gli stage in azienda (sia in Italia che in Australia);
n realizzare corsi di formazione professionale per i neo-immigrati, che vogliono reinserirsi nel mercato del lavoro italiano;
n rafforzare la rete di promozione delle imprese italiane in Australia e viceversa; i giovani assumerebbero volentieri l’impegno di fare gli ambasciatori del made in Italy, muovendosi a cavallo tra i due paesi.

Segnali per l’associazionismo (III)

n Canada: i giovani chiedono che si attivino luoghi associativi dove venga realmente promossa la cultura italiana; a loro parere, una “politica associativa rinnovata” dovrebbe puntare decisamente su tre elementi: informare in modo più puntuale sull’attualità italiana; dare l’opportunità di viaggiare per motivi di studio e professionali nella madrepatria; attivare spazi di discussione sull’Italia di oggi.
n Sud Africa: alcune associazioni giovanili cercano di diffondere lo stile di vita italiano tra le seconde e terze generazioni; in questi casi si tenta di recuperare le tradizioni, non disdegnando anche la promozione di prodotti del made in Italy; comunque, tra i giovani, si registra anche una domanda di formazione professionale e di specializzazione: accanto al viaggio turistico in Italia, si vorrebbe anche rientrare per apprendere la lingua e per partecipare a corsi altamente qualificanti.

Segnali per l’associazionismo (IV)

n Regno Unito: malgrado un distacco generalizzato nei confronti delle associazioni, i giovani italo-inglesi tendono a partecipare in numero nutrito quando vengono organizzate manifestazioni per presentare il lavoro di artisti e studiosi italiani, soprattutto a Londra; ciò non soprende perché nelle interviste essi dicono di appprezzare molto la produzione artistica e culturale del proprio paese, specie se è innovativa. Una tendenza simile si riscontra anche in Svizzera, dove i giovani si rendono disponibili a partecipare alle attività delle istituzioni culturali italiane, anche in veste di promotori/organizzatori.
n Come si vede, anche in contesti dove l’apatia dei giovani sembra essere il tratto dominante si registrano delle spinte partecipative, su temi sociali e istanze culturali particolari. Temi e istanze che sollecitano i giovani, spingendoli a rafforzare l’interesse verso l’Italia.
n In genere, i discendenti e i neo-immigrati ritengono che l’associazionismo debba diventare un attore sociale capace di attualizzare il rapporto con l’Italia; per questo, dietro al loro modo di pensare, non è difficile scorgere una domanda di cambiamento: una richiesta di aggiornare i registri culturali dell’associazionismo in emigrazione.

I neo-immigrati: un discorso a parte

n In generale, rimane il nodo scoperto dei neo-immigrati: in gran parte dei paesi, fatta eccezione per il circuito universitario statunitense, questi ultimi appaiono quanto mai isolati dalla comunità italiana; eppure, essi potrebbero fare molto per rilanciare la partecipazione giovanile nei paesi d’emigrazione; in definitiva, hanno lasciato da poco l’Italia: conoscono l’attualità della Pensisola, sono più informati sul paese d’origine. Nelle associazioni potrebbero quindi agire come degli informatori-chiave, andando incontro alle esigenze espresse dai giovani discendenti.
n Questo è ancora un “terreno vergine” per l’associazionismo: presentando la ricerca a San Francisco, ho scoperto che a Seattle esiste una comunità di un centinaio di ingegneri informatici italiani, trasferitisi di recente in quell’area; non basta: a New York, vi è una collettività di Brooker giovani, che organizzano eventi culturali in proprio per promuovere l’italianità. Ebbene questi gruppi hanno partecipato alla riunione continentale del CGIE (Commissione Paesi Anglofoni), chiedendo di poter collaborare con le associazioni regionali che operano negli Stati Uniti. Mi sembra un segnale confortante: questi neo-immigrati hanno fatto un passo per fuoriuscire da una condizione di isolamento. Il messaggio andrebbe di sicuro raccolto dalla rete associativa nord-americana.

Una chiave di lettura

n Che cosa emerge da questa breve analisi del modo con cui i giovani si pongono nei confronti dell’associazionismo?
n In primo luogo, si deve fuoriuscire dal luogo comune sull’apatia dei giovani, che impera spesso anche in Italia. Le nuove leve dell’emigrazione italiana non sono narcotizzate dalla pigrizia, o troppo pragmatiche (e individualiste) per impegnarsi nelle associazioni.
n Il loro distacco è solo apparente; sotto la superficie del disinteresse e della passività, si agitano nuove spinte partecipative. In breve, un nuovo modo di intendere le associazioni, che non si fonda più sull’appartenenza (nostalgica) ad una cultura locale (regionale); le associazioni vengono viste dai giovani come luoghi dove si può esprimere una sensibilità su singoli temi sociali e istanze culturali. In tal senso, si delinea una partecizione espressiva, legata al proprie aspirazioni individuali. Una partecipazione personalizzata, che è anche un modo per dire: “ci siamo, battiamo un colpo, siamo una nuova generazione, lasciateci degli spazi per rinnovare l’italianità all’estero”.
n Questa tendenza è simile a quello che avviene in Italia: nei partiti e nei sindacati, non esiste più (o è diventata una specie rara da proteggere) la figura del militante socializzato ad una subcultura organizzativa. I sindacati e i partiti italiani riescono a mobilitare i giovani solo se propongono iniziative coinvolgenti, centrate su cause sociali vicine agli stili culturali e ai vissuti delle nuove generazioni: la povertà in Africa, la precarietà dei lavori flessibili, la pace, la lotta alla mafia. Insomma, non si può pretendere di stimolare i giovani se non si parla il loro liguaggio.

Un associazionismo a geometria variabile

n Dunque, la sfida per l’associazionismo in emigrazione è quella di lasciarsi contaminare dai nuovi orientamenti espressi dai giovani, pur mantenendo un legame con la tradizione.
n Per accompagnare questo processo, bisogna tuttavia ascoltare con attenzione le aspirazioni dei giovani, senza chiudersi a riccio di fronte al cambiamento.
n In definitiva, le nuove leve dell’emigrazione italiana sembrano propendere per un associazionismo versatile e polivalente, capace di svolgere quattro funzioni fondamentali:
1. proporsi come un laboratorio dove si possano sperimentare nuovi format per veicolare “in loco” la cultura dell’Italia moderna;
2. agire come un’agenzia di scambio con la madrepatria, in chiave di mobilità professionale e di formazione post-universitaria;
3. trasformarsi in un’agorà democratica nella quale discutere di quello che avviene in Italia, anche per rendere più consapevole il voto dall’estero;
4. costruire una casa comune anche per i nuovi gruppi di base che si formano grazie all’azione spontanea dei neo-immigrati
n E’ perfino scontato aggiungere che l’opera di rinnovamento dell’associazionismo non può essere svolta autonomamente dalle associazioni regionali; ci vuole il concorso di tutta la rete delle rappresentanze degli italiani all’Estero.

 

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EmiNews 2007

 

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