3461 Bush, o l'impeachment o il disastro

20070712 16:54:00 redazione-IT

di Paolo Jormi Bianchi – Megachip

“Io ti accuso, Mr.Bush, di aver portato questo paese in guerra. Io ti accuso di aver manipolato le menti della tua stessa gente inventandoti un legame inesistente tra Saddam Hussein e l’11 settembre. Io ti accuso di aver licenziato i generali che ti avevano detto che i piani per l’Iraq erano disastrosamente insufficienti. Ti accuso di aver inutilmente causato la morte di 3.586 nostri figli e fratelli, figlie e sorelle, amici e vicini…

Ti accuso di aver sovvertito la costituzione, non per combattere sinceramente il terrorismo ma per reprimere il dissenso. Ti accuso di fomentare la paura tra la tua stessa gente, di creare quel terrore che tu dici di voler combattere. Ti accuso di aver sfruttato quella paura irragionevole, la paura naturale della tua gente, quella stessa gente che vuole semplicemente vivere la sua vita in pace, per zittire i tuoi critici e spazzare via i tuoi oppositori. Ti accuso di aver lasciato la vicepresidenza di questa repubblica a un uomo senza coscienza, e di averlo lasciato libero di condurre i suoi sporchi affari”.

Queste parole sono di un anchorman televisivo americano, che non è nemmeno di sinistra. Si chiama Keith Olbermann e si definisce un patriota. Questo è il testo di uno dei suoi editoriali per il canale via cavo statunitense MsNbc, andato in onda il 3 luglio scorso. Olbermann non è nuovo a feroci attacchi contro la presidenza Bush e questo editoriale è stato scritto per censurare con forza la recente decisione del Presidente di commutare i 30 mesi di carcere inflitti a Lewis “Scooter” Libby, ex capo dello staff del vicePresidente Dick Cheney. Bush ha esercitato i suoi poteri presidenziali per risparmiare il carcere ad un suo uomo, e in questi giorni sulla stampa americana al j’accuse di Olbermann ne sono seguiti molti altri, sebbene in tono minore. Libby è stato riconosciuto colpevole di aver svelato l’identità di una agente della Cia, Valerie Plame, nel tentativo di impedire al marito della donna di rivelare informazioni che avrebbero messo in discussione il teorema costruito sul presunto possesso di armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein.

Le parole di Olbermann vanno intese come un ulteriore segnale che una procedura d’impeachment nei confronti del Presidente degli Stati Uniti è una possibilità sempe meno remota. Quando lo scorso febbraio assieme a Giulietto Chiesa abbiamo intervistato Gore Vidal nella sua casa di Los Angeles (per la lavorazione del film “Zero – Inchiesta sul 9-11”) l’intellettuale americano ci ha assicurato che è in corso il tentativo di portare Bush davanti alla giustizia, che c’è chi sta preparando il terreno, personaggi influenti del Congresso, non solo Democratici, che sono preoccupati per la deriva della democrazia americana. Ci disse anche che la condanna di Libby avrebbe incoraggiato chi lavorava all’impeachment, fornendo un prezioso aiuto sul piano politico e che tutto si giocava su quella sentenza. Libby è stato condannato, ed ora Bush è stato costretto a questo gesto politicamente compromettente per risparmiargli la galera. Ora gli avversari del Presidente possono ventilare l’ipotesi di un Bush ricattato, che ha salvato dal carcere un uomo che ha fatto del lavoro sporco per lui, in modo che questi non vuoti il sacco.

Chi sta tramando alle spalle del Presidente? Forse la speaker del Congresso Nancy Pelosi? La donna di punta dei Democratici quest’inverno si è espressa pubblicamente contro l’ipotesi impeachment, ma secondo Vidal il senatore Patrick J. Leahy della Commissione Giustizia del Congresso e altri 5 o 6 personaggi influenti starebbero lavorando in questa direzione. Su alcuni blog della rete è anche girata una notizia che lascerebbe pensare che la Pelosi stia solo fingendo di non considerare questa strada: diversi pacifisti o attivisti per la verità sui fatti del 9-11 (tra cui gli autori del film Loose Change) hanno avvertito i navigatori che era in corso un sondaggio telefonico organizzato dalla Pelosi per stimare quanti cittadini americani sarebbero favorevoli ad una incriminazione del Presidente.

La corazza mediatica che protegge il Presidente non è più salda come subito dopo l’11 settembre. Solo il canale Fox News continua imperterrito il suo lavoro di portavoce del governo e di manipolazione sistematica delle notizie. Mentre come gocce, continue e inesorabili, continuano a cadere nel vaso notizie funeste che vengono dall’Iraq. È poi di oggi la notizia, rivelata dal New York Times, che Rumsfeld nel 2005 bloccò personalmente un’operazione che doveva portare alla cattura di Al-Zawahiri, il vice di Bin Laden. Prima o poi il vaso traboccherà.

A proposito di Iraq, gira sui giornali di mezzo mondo, ed è uscito oggi su La Stampa, un articolo di Henry A. Kissinger che invita il presidente a prepararsi al momento in cui, a settembre, i generali faranno un rapporto complessivo sulla situazione in Iraq. Si prevede un quadro disastroso, Kissinger lo sa, così come sa che la pressione del Congresso per un ritiro unilaterale dal pantano iracheno sarà fortissima: “Una vittoria militare – scrive – intesa come l’instaurazione di un governo capace di controllare l’Iraq, non è possibile nei tempi tollerati dal processo politico americano”. Il sospetto è che “il processo politico americano” di cui parla Kissinger sia in realtà il secondo e ultrmo mandato di George Bush. Kissinger invita sostanzialmente Bush a cercare sin da ora di organizzare un negoziato multilaterale con tutti i paesi dell’aera, compreso l’Iran, che permetta agli Stati Uniti di abbandonare l’Iraq salvando la faccia e mantenendo garantiti i propri interessi petroliferi nell’area. Lo scopo dell’apertura di tali negoziati per Kissinger dovrebbe essere arrivare a “definire lo status internazionale dell’emergente struttura politica dell’Iraq, in una serie di obblighi reciproci, come nell’800 la creazione del Belgio. L’Iraq continuerebbe ad evolversi come Stato sovrano accettando però di porsi sotto alcune restrizioni internazionali in cambio di garanzie specifiche”. E queste garanzie sono il petrolio.

Il realismo politico di Kissinger, che invita Bush a fare di uno stato sovrano, già invaso e distrutto per sbarazzarsi dell’ex amico Saddam, un serbatoio di greggio a cielo aperto, condiviso con una compagine di volenterosi amici, è forse l’ultima, deprecabile, chance che ha il Presidente per evitare l’impeachment. La sua salvezza passa dalla sua capacità (o meglio, del suo entourage) di uscire dignitosamente da questo nuovo Vietnam ponendo fine alle morti di giovani soldati. Bush e Cheney ascolteranno Kissinger? Il problema non è questo, il problema è se sarebbero capaci di trasformarsi così radicalmente da falchi in diplomatici sopraffini, capaci di gestire un negoziato multilaterale di tale portata. No, non ne sono capaci, la guerra, quella infinita, è la loro unica opzione ed ora più che mai hanno bisogno di convincere l’opinione pubblica a seguirli nel momento in cui decidessero di rilanciare sul piano militare. Serve urgentemente un altro 11 settembre.

Arriverà? O arriverà l’impeachment? Chi tra le fila della classe dirigente e politica americana teme per le sorti del suo paese e dell’umanità, deve agire ora, a tutti i livelli, politici e dei servizi, per fare la differenza. Solo se si manifesterà una qualche forma d’interdizione al livello di postazioni chiave, ci si potrà salvare dal peggio.

www.megachip.info

 

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EmiNews 2007

 

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