3503 GUGLIELMO BOZZOLINI: La sinistra migrante

20070725 13:11:00 redazione-IT

di Guglielmo Bozzolini
(dal mensile dei circoli PRC in Svizzera)

Il 2006 e i primi mesi del 2007 non sono stati un periodo qualunque per la politica di immigrazione in Svizzera. La sconfitta nel doppio referendum sulle leggi degli stranieri e dell’asilo dello scorso 24 settembre, è l’episodio più evidente, ma non l’unico, di un cambiamento di fase più profondo e più ampio di quanto appaia, che impone alla sinistra <> di ridefinire le proprie strategie.

Il doppio referendum non è stato lanciato pensando di vincere ed il risultato raggiunto (32.1%) è stato superiore alle previsioni da cui si era partiti all’inizio della raccolta delle firme. E’ vero che nelle ultime settimane prima del voto, l’adesione di molte personalità di diverse aree politiche e culturali alla campagna per il no, aveva fatto sperare in un risultato diverso.

Ma i motivi che avevano spinto molti di noi a lanciare e sostenere il referendum pur prevedendo una sicura sconfitta erano altri: chiamare a impegnarsi la Svizzera aperta, tollerante, inclusiva, multietnica ed interculturale, capace di opporsi e di reagire, che non si riconosce nell’SVP di Blocher, affinché la xenofobia, il razzismo e il populismo non diventino senso comune.
In questo quadro abbiamo lanciato il referendum, raccolto le firme e condotto la campagna e da questo punto di vista la valutazione del risultato non è solo negativa. Nella campagna referendaria si è infatti formata una vasta rete di organizzazioni e di personalità, che va ben al di là della sinistra e che in parte si è consolidata nel cartello promotore della manifestazione <> che sabato scorso ha avuto la sua terza edizione. Questa è la base da cui ripartire, impegnandosi perché questo tessuto di persone, associazioni e NGO, cresca e si consolidi, non cada nella tentazione della testimonianza, ma abbia sempre l’obiettivo di aprirsi e di coinvolgere gli strati più ampi della popolazione.
Dovremo infatti concentrare tutte le nostre forze per contrapporci agli ulteriori attacchi che verranno portati ai pochi diritti acquisiti in questi anni, a partire dall’iniziativa popolare per la restrizione delle naturalizzazioni presentata dalla destra e respinta dal Consiglio Nazionale nelle settimane scorse a grande maggioranza, che arriverà al voto il prossimo anno.
Nello stesso tempo è necessario spostare l’asse sui territori sia rilanciando le rivendicazioni dei diritti politici attivi e passivi dei/delle migranti a livello cantonale e comunale, con l’obiettivo di estendere il più possibile le esperienze positive degli ultimi anni (es. l’introduzione del diritto di voto nel Canton Vaud), sia utilizzando anche strumenti nuovi: dalla contrattazione collettiva, alle politiche scolastiche e abitative dei comuni.
In ogni caso dobbiamo ripartire dalla constatazione che storicamente, anche nella democrazia diretta elvetica, nessuna conquista politica o nessuna espansione della sfera dei diritti è mai avvenuta se non corrispondeva con lo svilupparsi di un movimento reale nella società. Anche in democrazia diretta non basta lanciare un’iniziativa, non basta raccogliere le firme e pianificare una buona campagna. Le urne non riservano sorprese, soprattutto positive. Si deve quindi guardare a ciò che avviene nella società, oltre che nel dibattito politico.
Un clima soffocante
Dal degrado della vita nei quartieri cittadini, all’inefficienza del sistema scolastico, dalla precarizzazione del mercato del lavoro, alle difficoltà economiche dell’Assicurazione Invalidità, fino agli incidenti stradali, non c’è problema della vita quotidiana che non venga attribuito, con grandi campagne stampa, in tutto o in buona parte all’immigrazione.
Per chi oggi immigra in questo paese, e spesso anche per chi ci è nato, ma ha solo il cognome sbagliato, il clima è quindi per molti versi ancora più pesante, l’aria più irrespirabile di quanto non lo fosse per i lavoratori e le lavoratrici italiani e spagnoli all’inizio degli anni settanta, all’epoca delle iniziative di Schwarzenbach contro l’inforestieramento..
Il clima è più pesante e l’aria più irrespirabile, anche per il silenzio e la passività con cui buona parte delle forze <> si adatta al deterioramento della situazione. Quante volte infatti in nome di un apparente buon senso vengono fatte proprie e riproposte anche dalla sinistra moderata posizioni che nelle loro conseguenze pratiche, non si differenziano in nulla da quelle della destra?
Due esempi:
· Il dibattito sulle politiche d’integrazione. Sembra ormai essere diventato senso comune anche in molte aree di posizione di esponenti socialisti (specie fra chi è coinvolto nei governi cantonali e cittadini), che l’integrazione corrisponda unicamente all’apprendimento della lingua locale e che per favorirlo si debba, e si possa, vincolare la facilitazione nell’acquisizione del permesso di residenza al raggiungimento di determinate competenze linguistiche. In questo modo da un lato si finge di ignorare che l’integrazione in una moderna società interculturale è un problema un po’ più ampio della conoscenza del tedesco (o del francese) e riguarda anche ampie fasce della popolazione locale, dall’altro si accetta che un diritto (quello di residenza) venga vincolato al possesso di un livello di istruzione. In questo modo si reintroduce una forma di discriminazione del tutto analoga al legame tra diritti e reddito (cos’è il sapere nella moderna società della conoscenza se non un patrimonio?) proprio dell’Ottocento!
· La discussione attorno alla libera circolazione dei lavoratori e delle lavoratrici europei/e. Pur essendo stata ottenuta con uno strumento imperfetto come gli accordi bilaterali, l’introduzione della libera circolazione della manodopera europea non solo realizza una rivendicazione storica delle organizzazioni degli stranieri (per quanti decenni si è rivendicata l’abolizione dello statuto dello stagionale?), grazie alla quale vengono rafforzati i diritti di centinaia di migliaia di attuali e futuri immigrati, ma è il primo vero e proprio cambiamento di paradigma nella politica migratoria. Si tratta quindi di una delle poche vittorie degli ultimi anni, di una delle poche conquiste avvenute sul piano dei diritti dei migranti e dei lavoratori, che come tale andrebbe difesa e valorizzata e sulla quale si dovrebbe costruire, estendendola, una nuova politica <> e una nuova forma di controllo del mercato del lavoro. Dinnanzi alle resistenze nell’applicazione delle misure di accompagnamento e alla disdetta padronale del contratto collettivo dell’edilizia, emerge invece in una parte consistente del mondo sindacale la tentazione di tornare indietro, di richiudere le frontiere minacciando di sostenere il referendum che sicuramente la destra lancerà nel 2009. Si ripropone così l’antico schema degli anni sessanta secondo cui i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici vanno tutelati innanzitutto nei confronti dei loro simili, attraverso il conflitto orizzontale (gli svizzeri contro gli immigrati, gli immigrati antichi contro quelli recenti, i penultimi contro gli ultimi), più che con quello verticale (il lavoro – a prescindere dal passaporto – contro il capitale).
Qual è il compito della sinistra <> in questo quadro? Bisogna lavorare per rilanciare l’idea dell’impossibilità di tutelare i diritti di qualcuno, senza tutelare quelli di tutti, che la difesa delle condizioni materiali di vita dei lavoratori e delle lavoratrici non può che passare attraverso un’estensione della sfera dei diritti, non attraverso la loro riduzione. Bisogna farlo costruendo pratiche concrete di solidarietà, di incontro, di scambio e di lavoro comune, stando nei movimenti e abbandonando lo sguardo presbite con cui spesso guardiamo alla politica italiana, senza curarci di ciò che ci sta attorno.

 

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EmiNews 2007

 

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