3590 BUCCHINO: Lettera aperta su rete consolare ed onorari in Canada

20070912 11:02:00 redazione-IT

Roma, 5 settembre 2007

Con la lettera inviata in data 9 agosto 2007 all’indirizzo del Viceministro degli Esteri con delega per gli italiani nel mondo Franco Danieli, lanciavo un grido di allarme sulla situazione delle rete consolare italiana in Canada, con particolare riferimento ai consolati onorari. Constatato il silenzio istituzionale che ha fatto seguito alla mia lettera, forse dovuto al periodo estivo, torno quindi sull’argomento, arricchendolo di nuovi elementi. Premessa necessaria e’ che, fatti e dati, fanno necessario riferimento solo alla situazione che meglio conosco, ma e’ ragionevole pensare che la situazione drammatica che denuncio sia in realtà di portata mondiale e tale da imporre una seria riflessione politica.

Data la mia convinzione che la situazione in Canada è la stessa che nel resto del mondo, considero che viviamo uno stato di cose del quale ci dovremmo tutti sentire per lo meno in imbarazzo, primi fra tutti noi: Comites, CGIE e parlamentari eletti all’estero. Da anni conosciamo questa situazione ma, anche noi, lasciandoci forse prendere dall’incanto del far politica e del sentirci investiti di chi sa quale potere, invece di metterci a gridare, lottare, di dimetterci tutti in massa, di incatenarci davanti alle sedi dei Consolati, invece di occupare civilmente (ma pur sempre occupare) Consolati, Ambasciate e Ministero degli Esteri, facciamo anche noi, ormai da anni, interminabili riunioni nelle quali diciamo che all’estero bisognerebbe aumentare il contingente del personale a contratto assunto in loco. Continuiamo a dire che e’ una totale imbecillita’ mandare ad Addis Abeba un’autista da Roma o, peggio ancora, inviare a Toronto un esperto informatico, sempre da Roma. Ad Addis Abeba, ma anche a New York o a Buenos Aires, l’autista romano spesso non conosce la lingua e, sempre, non conosce le strade. Non so esattamente quanto costi un autista “romano”, certo non meno di 5 – 7 mila euro al mese. Lo stesso discorso, quanto a costi, vale per l’esperto informatico. A Toronto un esperto informatico “romano” costa non meno di 100 mila euro l’anno, mentre un esperto informatico “locale” può costare al massimo 35 mila Euro all’anno. E che dire poi dell’altra schizofrenica pensata a causa della quale gli inviati da Roma vanno in una città straniera, dove al massimo risiederanno per 4-5 anni, nella quale devono cercarsi casa e organizzarsi il trasporto di mobili e masserizie (pagati ovviamente dallo Stato), quando invece sarebbe tanto più semplice che lo Stato affittasse o comprasse in loco gli appartamenti necessari da dare in locazione, o gratuitamente, ai loro “inviati”? Insomma, per farla breve, altri Paesi, ai quali noi abbiamo insegnato tante cose, a cominciare dallo stesso istituto dei “Consolati” (Spagna, Francia, Inghilterra compresi, tanto per citarne alcuni), ma anche Paesi che si sono affacciati da poco sulla scena internazionale, come i paesi baltici, hanno i loro uffici consolari in moderni edifici facilmente accessibili e contano, al massimo, su un personale espatriato di 3-4 persone: il titolare della rappresentanza, il suo vice, l’addetto ai visti e l’addetto al materiale cifrato, delicato e segreto. Tutto il resto e’ personale locale. Da noi invece ci sono i sindacati che, legittimamente, fanno il loro dovere di difendere il posto di lavoro e lo stipendio dei loro assistiti, ma non sono cresciuti: non hanno maturato quei cambiamenti che dovevano essere fatti. E’ lecito chiedersi se dovevano tentare qualcosa di nuovo. E’ vero, un dipendente del Ministero degli Esteri quando lavora in sede, a Roma, guadagna tre soldi, al pari di tanti milioni di connazionali che in Italia lavorano nella pubblica amministrazione. Quando, invece, lo stesso dipendente va in missione all’estero guadagna 4-5 volte di più e può sperare così di acquistarsi una casa e mettere da parte un po’ di soldi. Cosicché, per mantenere consenso, i sindacati si limitano a difendere il privilegio dello stipendio della missione all’estero rifiutandosi di portare una ventata di modernità e di aprire le porte ai contrattisti rigidamente, mantenuti sotto il tetto numerico delle 2000 unità, in tutto il mondo. Hanno mai pensato i nostri sindacati all’enorme beneficio, a favore dei nostri connazionali all’estero e dell’ l’immagine dell’Italia, che apporterebbero utilizzando meglio gli stessi soldi? Con lo stipendio di un autista “romano” se ne potrebbero assumere in loco 3 o 4 in paesi come il Canada o, addirittura, una decina in paesi come Kenya ed Etiopia.
Torno ora a trattare della “questione canadese”. La rete consolare è in agonia. Le nostri sedi sono fatiscenti, senza nessun requisito di sicurezza per il personale che vi lavora e per le persone (i nostri connazionali) che hanno la sfortuna di tanto in tanto di recarvisi per una qualsiasi pratica o che, peggio, perché quasi sempre si tratta di nostri anziani, che hanno l’obbligo di andare in consolato per dimostrare di essere ancora vivi per continuare a sperare di ricevere due lire di pensione. Dato che non ci sono più soldi (ma non è vero), la rete dei Consolali onorari, invece di essere migliorata, viene smantellata e piuttosto che cercare di fare almeno riferimento ai Consolati onorari, così vitali in paesi come il nostro, si fa di tutto per chiuderli o per togliere alle persone che vi lavorano qualsiasi voglia di svolgere tale attività. Ho parlato personalmente con numerosi Consoli onorari, altri mi hanno scritto accorate lettere di aiuto. Persone delle quali l’Italia deve essere orgogliosa e nei confronti delle quali dovrebbe essere riconoscente. Ecco i conti: nell’anno 2000 al Consolato onorario “X” veniva riconosciuto un contributo di 17 mila dollari canadesi all’anno (poco più di 1200 dollari al mese). Soldi che avrebbero dovuto aiutare a coprire le spese per l’affitto di una stanza degna di chiamarsi tale, della luce, e di un “gettone” (non vedo come altro chiamarlo) da riconoscere ad un altro altrettanto “onorario” volontario che potesse aiutare a mandare avanti il lavoro di ufficio. Nessun riconoscimento economico ovviamente al Console onorario. Oltre a questo contributo spese veniva anche riconosciuto, dietro opportuna documentazione, un rimborso per le spese telefoniche e postali. Nel 2006 il contributo allo stesso Consolato onorario è stato ridotto a 10 mila dollari canadesi. Nel 2007 tale contributo e’ stato portato alla cifra, ormai neppure simbolica, di 3500 dollari canadesi l’anno, (meno di 300 dollari al mese). E il rimborso spese? Scomparso dal 2005, cioè zero, anche se la nostra amministrazione (non aveva osato tanto nemmeno la proverbiale amministrazione “borbonica”) in questi tre anni ha comunque inviato ai Consoli onorari i moduli per i rimborsi accompagnati da una cortese lettera di invito a riempirli dovutamente in tutte le loro parti. Siamo ormai arrivati alla più incredibile imbecillità, tanto grave che ce n’e’ anche per una sana risata. Non resta altro da dire, se non il chiedere scusa a tutti i nostri connazionali all’estero e vergognarsi per il nostro complice comportamento, per non essere riusciti a fare nemmeno un graffio all’apparato di potere, quello si immarcescibile, del Ministero degli Affari Esteri, resistente a tutto e tutti, nonostante la presenza e azione di qualche illuminato Direttore Generale della DGIEPM (mi piace ricordare i nomi dell’ambasciatore Marsili e dell’Ambasciatore Benedetti) e nonostante l’avvicendarsi di qualsiasi governo. Aggiungo soltanto che i soldi per operare ci sono. Eccome se ci sono! Basta guardare a quanti ne vengono spesi per le missioni ufficiali all’estero (ne hanno fatte tutti i governi), quasi sempre se non inutili almeno pletoriche, e anche quelle, non necessariamente utili e non sempre richieste a carattere misto, ufficiale e privato, come quella in corso ( a partire dal 6 settembre) del Presidente del Senato. Siamo contenti della sua visita in Canada. Non siamo altrettanto contenti di sapere che ci sarà un seguito di una ventina di giornalisti per i quali e’ stato prenotato un pulmino a spese del Senato. Con gli stessi soldi sarebbe stato possibile mantenere in vita un Consolato onorario per i prossimi dieci anni. E scusate se è poco. Vorrei invitare, per concludere, tutti i Consoli onorari a dimettersi e mi inchino davanti al loro coraggio di restare al loro posto nonostante l’offensiva elemosina che ricevono dal nostro Paese. Quanto al sottoscritto, non mi dimetto dal mandato solo perché spero, anche attraverso questo grido di allarme, di portare a casa qualche cosa per i nostri connazionali all’estero, prima che questa legislatura (per me prima e ultima) vada a termine.

Gino Bucchino

 

3590-bucchino-lettera-aperta-su-rete-consolare-ed-onorari-in-canada

4347

EmiNews 2007

 

Views: 7

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.