3610 IMMIGRAZIONE IN U.S.A.: Anche decine di migliaia italiani tra i "clandestini"

20070912 17:19:00 redazione-IT

di Silvana Mangione (da New York)

Dopo l’11 settembre un’America ferita psicologicamente ancor prima che fisicamente ha, a più riprese, aumentato i requisiti e reso più difficili da superare gli ostacoli all’ingresso nel suo territorio da parte degli stranieri che vogliono venire a lavorare, studiare e vivere qui. Uno degli atti più indicativi di questo atteggiamento è costituito dalla modifica della INS – Immigration & Naturalization Services – in US Citizenship & Immigration Services ed il suo accorpamento all’interno del Department of Homeland Security. È ovvio che la normativa che regola l’immigrazione è materia della protezione che lo Stato assicura ai propri confini e alla sicurezza interna ma, fino alla creazione del DHS, l’INS agiva con maggiore autonomia, pur nel pieno rispetto della legislazione vigente.

Il fenomeno degli immigrati illegalmente in USA è grave. Si ritiene che ce ne siano almeno dieci milioni, compreso un notevole numero di cittadini italiani residenti, in particolare, sulla Costa dell’Ovest, alle Hawaii, in Florida e nella zona del Tristate (New York, New Jersey e Connecticut). Un articolo del New York Times, alla fine degli anni ’90, calcolava che fossero ventisettemila gli italiani residenti illegalmente nella sola Manhattan. Ai cittadini costretti ad emigrare per ragioni di necessità si aggiungono gli esponenti della mobilità dei cervelli e di quella imprenditorial–manageriale.. Alla minima infrazione possono essere deportati a prescindere dai legami familiari e dalla situazione economica che hanno costruito negli anni. Alla deportazione per alcune cause può essere collegata la perdita di ogni diritto ai contributi già versati ai fini del trattamento pensionistico. È cresciuto il numero dei casi di respingimento alla frontiera, a volte accompagnati da maltrattamenti, a danno anche di cittadini italiani e comunitari. L’iniziativa di denuncia di questi casi è stata avviata dall’Unione Europea nel semestre di Presidenza italiana (governo Berlusconi) e formalizzata dalla Presidenza olandese, nei confronti del Dipartimento di Stato USA. Qualche miglioramento della situazione si è avuto in virtù di una serie di misure assunte dal DHS, ivi incluse: maggiore discrezionalità alle frontiere per consentire l’ingresso di chi non rappresenta una minaccia terroristica o criminale; creazione di un organismo incaricato di valutare le decisioni dei funzionari, nei singoli casi di reclamo; creazione di un gruppo di lavoro sulla cortesia di trattamento, per elaborare un programma di addestramento degli addetti sulla condotta da tenere durante i controlli in frontiera ed altre funzioni di prevenzione; creazione di una procedura per consentire, nei casi di reclamo, la sistematica valutazione a livello centrale, da parte dello U.S. Customs and Border Protection Bureau del DHS, delle circostanze relative ai singoli casi, per consentire l’adozione dei provvedimenti necessari. Questo per quanto riguarda le situazioni aberranti. Della trafila burocratica per l’ingresso ed il soggiorno legale in USA ci ha parlato Annalisa Liuzzo, avvocatessa specializzata in materia di immigrazione ad un seminario proposto dalla Italy-America Chamber of Commerce di New York. La premessa tradizionale a tutta la legislazione USA in materia di emigrazione è quella di garantire la protezione dei posti di lavoro per i lavoratori americani. Alcune note in generale: si sono ridotte di numero le concessioni di determinati visti mentre si moltiplicavano le specificazioni dei requisiti per ottenere il permesso di accesso ai due status di «immigranti» e «non immigranti» ed aumentavano esponenzialmente le tasse da pagare per presentare domanda. C’è di tutto un po’. Per ognuno le condizioni richieste sono precisissime e cogenti. Bisogna stare molto attenti a quanto si dichiara. Se si fa domanda per un visto, non lo si ottiene e si ripiega su un altro, quanto si è documentato nel primo caso può entrare in contraddizione con quanto si afferma nel secondo e causare un ulteriore rigetto, con conseguenze che possono perdurare nel tempo. A grandi linee le categorie per i non immigranti – persone che intendono rimanere per un tempo determinato e per precise ragioni, dettagliatamente indicate – sono: la «H», riservata a chi assumerà occupazioni specialistiche ed ha il minimo titolo di studio equivalente ad un Bachelor’s degree, con i suoi sottotipi «H-1B1», «H-2A/B», «H-3»; la «L-1» riservata a trasferimenti all’interno della stessa società multinazionale, nella quale si è operato almeno per un anno all’estero; la «E», che riguarda i cittadini di paesi che hanno concluso Trattati di amicizia, commercio e navigazione con gli USA (compresa l’Italia, a partire dal 26 luglio 1949) che possono assumere posizioni dirigenziali, manageriali o specialistiche in società USA controllate da entità del paese amico; la «J-1», per i cosiddetti «Exchange visitors», che vengono in USA per ragioni di studio ed addestramento in una materia particolare; la «O» che si riferisce a chi ha capacità straordinarie nei campi delle scienze, dell’arte, dell’educazione, del business o dello sport; infine la «P» se si tratta di atleti riconosciuti internazionalmente a livello individuale o di gruppo (P-1A); o di artisti del mondo dello spettacolo internazionalmente noti a livello individuale o di gruppo (P-1B). Questo è soltanto un primo assaggio nel pelago immenso della normativa e della burocrazia in materia di immigrazione. Ne parleremo ancora, con riferimento alle regole che governano l’immigrazione permanente e i doveri di coloro che presentano le domande per conto d’altri, vale a dire, dei datori di lavoro, che hanno obblighi anche nei confronti del Department of Labor degli Stati Uniti.

Silvana Mangione

 

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EmiNews 2007

 

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