3603 Silvana Mangione: "11 Settembre, Ground Zero 6 anni dopo"

20070911 11:38:00 redazione-IT

Sono passati sei anni da quella dolcissima mattina di settembre, quando la follia assassina cambiò la storia del mondo. Sei anni e una New York che ha lottato per ritrovare se stessa, proteggersi e non mostrare a nessuno le fragilità che continua ad avere nel cuore. Sei anni e sono finalmente iniziati i lavori a Ground Zero, al termine di troppi giorni di promesse, decisioni, veti, contrordini, distorsioni dell’idea iniziale di Libeskind, ora diventata un pezzetto di uno dei quattro grattacieli che sorgeranno nello spazio della morte, con il titolo torri della libertà.

Sei anni ed è bruciata in parte, uccidendo due pompieri, compreso un italiano, la sede della Deutsche Bank, che è rimasta in piedi, ammantata di veli neri, inchiodata d’assi di legno, ferita da spezzoni di acciaio delle guarnizioni delle torri, che si erano conficcati come lance medievali nella facciata di granito. Sei anni e l’ultima cerimonia nella buca ripulita, con i minuti di silenzio a commemorare gli esatti momenti degli impatti e dei crolli, la lettura dei nomi, il suono dei campanellini, le campane delle chiese circostanti, i familiari che non potranno mai trattenere le lacrime, perché di queste morti non ci si può far ragione. La resilienza di questa città è documentata dalla rinascita di tutta la zona intorno a Ground Zero. Sono riapparsi i carrozzini dei bambini, le persone che portano a passeggio i cani, i supermercati. Si sono trasformati in palazzi residenziali molti grattacieli di uffici che si erano precipitosamente vuotati sei anni fa, quando ditte e società finanziarie si erano trasferite fuori da Manhattan per rispetto alle paure dei dipendenti ed alla invivibilità della zona. Forse troppi. Ora mancano due milioni di metri quadri di spazi commerciali ed è ricominciata la corsa alle costruzioni e l’inarrestabile levitazione dei prezzi. Anche delle abitazioni. La proprietaria di saloni di bellezza dichiara al New York Times: «Sto per aprire il terzo spazio di attività in zona, ma sono andata a vivere in New Jersey. Ho bisogno di un appartamento con due camere da letto e qui non si trova nulla per meno di $4.000 al mese. Alla cerimonia saranno presenti la Senatrice dello Stato di New York, Hillary Rodham Clinton, che dal 2001 sta portando avanti la battaglia per la tutela, anche medica, di chi ha lavorato «on the pile», la montagna di rovine infuocate, maleodoranti, infette da elementi chimici, residui metallici e polveri che hanno causato gravi malattie e decessi a molti degli accorsi sin dalla prima ora, per dovere professionale o per amore per la città o per rabbia profonda contro una tragedia che riguarda tutti, non soltanto gli allora poco amati newyorchesi. Ci sarà anche colui che è stato osannato come «IL sindaco degli Stati Uniti», Rudy Giuliani. Il New York Times gli dedica un lunghissimo articolo nel Magazine della domenica, intitolandolo «Il crociato». Le sovrimpressioni sulla foto in bianco e nero a doppia pagina dell’aspirante candidato repubblicano alla presidenza degli USA recitano: «Rudy Giuliani ha scommesso la sua campagna elettorale sull’idea che lui renderà sicura l’America contro il terrorismo, nello stesso modo in cui ha reso sicura la città di New York contro la criminalità – con spietata efficienza». Giuliani chiama se stesso un esperto in materia di terrorismo, ma l’allora responsabile della sicurezza civile e della pianificazione contro le emergenze, Jerry Hauer, lo definisce «l’esperto del 12 settembre». Senza voler entrare in un dibattito che esula dai contenuti di questo articolo e dal ricordo di quella giornata, consegnata ai fiumi d’inchiostro della cronaca e della storia, sembrano emergere sempre più gravi le accuse che sia stata sottovalutata la tossicità di quanto esalava dalla voragine colma di residui d’ogni genere per coloro che dapprima tentarono di salvare possibili sopravvissuti, poi completarono il compito difficile di portare via il cumulo di macerie in tempi da record. Su tutto sovrastano il numero e le storie dei morti. Il New York Times pubblica la foto di un bimbo di otto anni che abbraccia piangendo la bara bianca della sua mamma, un’operatrice nelle situazioni di emergenza, come commento silenzioso all’articolo «Fissare il prezzo di quanto non ha prezzo: una vita umana». Anche questo non è ancora completamente risolto. Come non è conclusa la ricerca di ogni traccia delle vittime. Ripetutamente, casuali interventi di lavori in corso fanno ritrovare resti che riaprono tutte le ferite emotive e psicologiche, lentamente obliterate dai tentativi di superamento del dolore. Al Consolato d’Italia, ci si raccoglierà in silenzio davanti al monumento marmoreo che ricorda le centinaia di morti di origine italiana, nella maggior parte poliziotti e vigili del fuoco, una triste offerta immolata con orgoglio e rimpianto dalla nostra comunità, parte viva e fondamentale del tessuto cittadino.
Silvana Mangione

 

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EmiNews 2007

 

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