3632 Si chiude la Festa de l'Unità, finisce la storia dei DS

20070917 10:22:00 redazione-IT

A Bologna il congedo dei Ds «Una lunga storia d’amore»
(di Giovanni Visone)

Le lacrime di Piero Fassino scuotono l’epilogo di un lungo comizio, l’ultimo comizio di un segretario dei Democratici di sinistra ad una Festa de l’Unità. È come un sussulto. Ci voleva. Perché quelli che lo ascoltano sotto una fastidiosa pioggerellina di fine estate, lo salutano con un applauso sincero e affettuoso. Quando mi giro vedo decine di occhi lucidi. Lacrimoni. Veri singhiozzi. «È stata una lunga storia d’amore – scandisce Piero con la voce rotta – lo devo a tutti voi, siete tutti voi che devo ringraziare». Qualcosa oggi finisce davvero. «Siamo arrivati alla conclusione», sospira Fassino.

E quel sospiro vale forse più del messaggio carico di speranza che lo segue: «Se oggi mi rivolgo a voi non è per un addio, ma per partire insieme per un nuovo viaggio. Adesso caro Walter tocca a te».

Eccolo, dunque, il futuro. Siede sul palco, fra ministri, dirigenti e ragazzi della Sinistra Giovanile, proprio alle spalle dell’ultimo segretario. Walter Veltroni è arrivato fianco a fianco a Massimo D’Alema e a Dario Franceschini, tutti applauditissimi. Romano Prodi, invece, non c’è: è a Bologna, ma ha preferito restare a casa su. Ci sono, in sua vece, i fedelissimi Ricky Levi e Santagata. E c’è il sindaco Cofferati, non sul palco, ma nella tribunetta laterale, accanto al braccio destro di Veltroni, Walter Verini.

Scene dalla fine di un partito. Non ci sono i 300mila militanti attesi dagli organizzatori, saremo in 50mila. Qualcosa, forse, significa. La Festa de l’Unità è la misura plastica del corpo del partito, termometro dei suoi umori e sismografo dei suoi mutamenti. Cinque anni fa, l’arena stracolma della Festa de l’Unità di Bologna aveva mostrato l’orgoglio di un partito che qualcuno voleva morto e che invece aveva deciso di rialzare la testa («Abbiamo vinto ad Asti, Verona, Gorizia…», ripeteva allora Fassino, elencando le città strappate alla destra e pochi mesi fa riperse). Un anno fa, a Pesaro, avevamo racontato un partito inquieto, incerto sulla meta e presago di scissioni. Oggi quello che si mostra a Bologna è il partito che si scioglie. La decisione è stata presa molti mesi fa.

Il discorso di Fassino, prima di sciogliersi nella commozione finale, è puntuale e pignolo come sempre. Un mix di storia e futuro. La promessa di un partito nuovo e l’orgoglio di quello che si lascia. «La storia siamo noi non è solo una canzone», «la storia siete voi» e «i valori non cambiano con il trascorrere del tempo».

Il lungo elenco delle buone cose fatte dal governo, l’appello al centrodestra per le riforme istituzionali e la nuova legge elettorale, la lunga digressione sulle relazioni internazionali del partito nuovo. Ma forse il passaggio più significativo del discorso di Fassino è la risposta che il segretario dei Ds prova a dare all’onda antipolitica cavalcata del Vaffa Day di Beppe Grillo, lo stesso Grillo che meno di ventiquattrore fa ha scosso anche la Festa de l’Unità, a Milano. La ricetta di Fassino è sempre la stessa: «Raccogliere il disagio». Farsi carico. E per questo chiede trasparenza per il finanziamento dei partiti, limitazione di tutti i Cda a 5 membri, selezione meritocratica dei manager pubblici e riduzione delle consulenze esterne, riforma della Rai, cancellazione degli aumenti numerici dei consigli regionali, riduzione dei parlamentari. E poi norme di comportamento elementari «Andare allo stadio o al cinema pagando il biglietto, fare la spesa al supermercato, accompagnare i figli a scuola con la propria macchina, prenotare le analisi mediche in fila allo sportello».

Per dire no alla «caricature demoagogiche e alle denigrazioni populistiche», Fassino si affida alla memoria di Enrico Berlinguer. La citazione dal più amato segretario del Pci sembra un lascito che Fassino consegna al partito democratico: «La politica è una cosa che può riempire degnamente una vita». Anche nel Partito Democratico Fassino vuole portare subito una nuova tensione etica. Attraverso una sorta di codice di autoregolamentazione che vincoli i membri dell’assemblea costituente. E poi chiedendo apertura alla società civile, conferma del metodo delle primarie ad ogni livello e limite di mandato.

Così, dunque, finisce la Quercia. E ora tocca a Veltroni, che della Quercia è il figlio più amato e popolare. Resta ultimo dubbio. Che fine faranno ora le feste de l’Unità? Fassino rassicura subito i militanti. Tra «le cose buone» da salvare al trasloco e portare nella nuova casa del Pd, le feste ci sono di sicuro. Ricorda che a Firenze si sono già candidati per l’anno prossimo, anche se a dire il vero hanno parlato di una «Prima Festa del Partito Democratico». Non proprio la stessa cosa. O forse sì.

www.unita.it

 

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EmiNews 2007

 

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