3655 "STORIE DI CARTA"

20070927 10:28:00 redazione-IT

di Maurizio Chierici

La Confederazione Internazionale Sindacale informa che nel 2006 in Colombia sono stati assassinati 76 sindacalisti. Ma la Colombia è lontana, e per di più allineata al liberismo duro: insomma, non fa notizia. Stiamo perdendo di vista cosa succede nei posti lontani. Ci tormentano altri pensieri e altre grida. Solo i ragazzi e qualche intellettuale resistono nel voler sapere, ma da chi?
Anche gli americani soffrono della stessa amnesia mentre il dollaro precipita, mutui casa allo sbando. Un’inchiesta pubblicata a Washington precisa l’oblio. Il nome dei governanti dei paesi latino-americani restano sconosciuti. Il più ricordato è naturalmente Fidel Castro anche se appena il 51% degli informati non ha saputo rispondere alla domanda se era vivo o morto; 49 americani su cento conoscono Chavez, presidente del Venezuela, con gli aggettivi che ne accompagnano le gesta sul piatto della cena davanti alla tv: «Dittatore, repressore, narcisista».

Calderon governa il Messico ed è noto al 21% del campione intervistato («per lo più messicani e latini»). Nel sonno del Mid West prevale il silenzio. Stranezza in un Paese dove gli affari sono importanti ed il Messico fa parte del Nafta, mercato comune che lo unisce a Stati Uniti e Canada. Come se gli italiani non avessero mai sentito parlare di Zapatero o Sarkozy. Anche l’Italia pensa ad altre cose. Dopo il disimpegno dei cinque anni berlusconiani e nessun ministro che attraversava il mare (con l’eccezione del senza portafoglio, emigrante Tremaglia), l’evoluzione politica resta confusa. Oltre agli affari, quasi niente. Pescando nei ricordi: nel 1984, mentre il Nicaragua poverissimo si dissanguava nella guerra scatenata dai contras finanziati con triangolazioni oscure (Oliver North e Irangate) dagli Stati Uniti di Reagan, a Managua arriva la notizia che il ministro degli esteri Andreotti lascia l’assemblea Onu di New York per un breve soggiorno in Costa Rica, accompagnato da Lamberto Dini in quel momento in bella luce nella Banca d’Italia. I giornalisti che raccontano l’agonia di un popolo stremato, volano da Managua in Costa Rica dove l’ambasciatore del Nicaragua a Roma è lì che aspetta con una lettera per il nostro ministro degli esteri. Spera nella mediazione italiana per frenare i massacri. L’ambasciatore distribuisce la lettera ai giornalisti dopo averla consegnata ad Andreotti. Ma la conferenza stampa è una delusione. Italo Moretti (Tg2), Franco Catucci (Tg1) e tutti gli altri, vogliono sapere dal ministro se la sua presenza autorizza questa speranza: «Potremmo parlarne, ma loro dovrebbero almeno farsi vivi e chiederlo». Ironia di un politico ironico. Forse aveva dimenticato la lettera in camera. Non se n’è fatto niente anche perché Andreotti e Dini si trovavano a Managua per un impegno più importante: inaugurare il supermercato Duemila aperto da Donatella Pasquali Zingone, vedova del magnate bergamasco rifugiato nel paradiso fiscale centro americano, inseguito da una bancarotta fraudolenta. Supermercato costruito anche con fondi italiani, regolarmente aggiudicati appena il Costarica, Svizzera tropicale, si è dichiarato paese sottosviluppato. Allora si diceva così. E alla Svizzera in miniatura Roma aveva attribuito quasi un terzo degli aiuti destinati al terzo mondo con salomonica divisione fra imprenditori di ispirazione democristiana e socialista.

Ora l’Italia è cambiata. Teleselezione, satelliti Tv, computer: si sa tutto di tutti. Il ministro D’Alema e il sottosegretario Donato Di Santo vanno e vengono dal continente latino: Cile, Brasile, Argentina, Venezuela, Messico. Amicizie con Lula, Lagos, la Bachelet. Non pacche sulla spalla o corna alle spalle mentre lampeggia la foto. Ne discutono i problemi derivandone analisi realistiche. Insomma, a loro non può succedere, eppure ad altri è successo. Niente supermarket e tv, ma gli approcci del turismo politico continuano. Scopro in ritardo il racconto del viaggio in Venezuela di Raffaele Bonanni, segretario nazionale della Cisl: una sorpresa. Perché Bonanni è sindacalista che viene dalla gavetta dura. Ha una visione concreta della realtà. Sa cosa vogliono dire emarginazione e fatica. Tessera Cgil che diventa Cisl nel 1972. Manovale in un cantiere della Val di Sangro, va nella Sicilia anni 80 difficile per chiunque, soprattutto per chi vuol smontare le infiltrazioni mafiose nelle opere pubbliche. Impegno che lo abitua alla tenacia e alla pignoleria. Un anno fa succede a Pezzotta con l’esperienza di chi ha affrontato le ingiustizie spalla a spalla con la gente. Non discuto il suo giudizio su Chavez: le conclusioni possono essere diverse, dipende anche dal controllo delle informazioni che le determinano. La meraviglia è dove Bonanni racconta di aver raccolto queste informazioni. Non nella Caracas delle baracche o nei cantieri dove la gente lavora con paghe regolate dopo 40 anni da leggi antisfruttamento. Non ha ascoltato intellettuali indipendenti, divisi tra l’opposizione e l’appoggio a Chavez. Stando al racconto de La Stampa, ha guardato il Venezuela da Chacao, uno dei municipi nelle mani dell’antichavismo radicale liberamente tutelato da una polizia diversa da quella di Stato. Lo abita una popolazione agiata. «Quando sono arrivato, i nostri amici sindacalisti mi hanno detto: “vai a dormire a Chacao, è più tranquillo”». Otto anni prima – racconta Bonanni – avevo visitato il Venezuela viaggiando anche nell’interno. Adesso ha raccolto segnali «che somigliano a quelli dell’Argentina prima del disastro peronista. Soprattutto la violenza: non si riesce più a distinguere fra quella dei delinquenti e quella, per così dire, istituzionale». Traduco: squadre della morte agli ordini di Chavez. Forse gli amici non lo hanno informato che otto anni fa, governo del presidente socialcristiano Caldera, ogni fine settimana Caracas contava 215 omicidi. Si sparava per rubare un paio di scarpe. Oggi sono 137, la tragedia continua, ma perché solo adesso spaventa?

Non so cosa ha imparato Bonanni nell’incontro «con cinque sindacati», ma è sicuro che il sindacato al quale ha prestato orecchio è quello dei «cugini» della Cisl, la Cvt di Manuel Cova. Il suo leader storico, Carlos Ortega, viene definito «in esilio da qualche anno» per aver sostenuto la «resistenza» a Chavez. Carlos Ortega, baffi e stazza da peso massimo, ha una storia ben più complicata. Per Ortega, sindacato voleva dire potere e petrolio. Negli anni delle democrazie disfatte dalla corruzione, il 20-23% del petrolio pompato dal 5° produttore del mondo, spariva senza passare dogana. Sul traffico vigilava un’ala della Ctv che è riuscita ad eleggere Ortega presidente, in quanto raccordo tra la petroliera venezuelana (Pdvsa) e i protagonisti del colpo di Stato 2002. Votazione fraudolenta, accusa Alfredo Ramos, altro leader Ctv. Metà delle schede sparite, se ne va. Quando Pedro Carmona, presidente degli industriali, annuncia la presa di potere spuntano Carlo Ortega e Manuel Cova. Hanno appoggiato il golpe ma sono delusi malgrado Chavez sia prigioniero: il nuovo presidente li ha esclusi dal governo. Ecco l’idea di abbattere il Chavez risorto «con uno sciopero gigantesco»: lo proclama Ortega a Miami nel dicembre 2002 quando lo sciopero è cominciato e il blocco del petrolio precipita per 62 giorni il Paese nel caos. Economia distrutta, ma Chavez sopravvive per la seconda volta e Ortega si rifugia nell’ambasciata del Costa Rica: asilo politico. Emigra a San Josè, si ferma fino al 2004 e poi rivuole il passaporto. Perché? «Per guidare in Venezuela l’insurrezione contro il regime di Chavez». Sparisce per un anno e la sua insurrezione si conclude in una sala bingo di Caracas dopo il fallimento della rivolta petrolifera: lo pescano con due ragazze. Come il Gelli P2 fuggito dal carcere svizzero, anche Ortega si è fatto crescere baffi diventati nerissimi. Arrestato, processato, condannato a 15 anni, scappa da una prigione superprotetta. Ancora non si sa come. Rispunta dieci giorni fa a Lima dove il presidente peruviano Alan Garcia gli ha concesso il secondo asilo. Con quali soldi Ortega viaggia, paga avvocati, affitta belle case, nutre la dolce vita con le ragazze? Il mistero continua. Ecco perché spiace che un sindacalista serio come Bonanni non abbia approfondito la sostanza morale degli amici di una Ctv ormai ridotta a niente.

Chi davvero si interessa dei lavoratori ha preso le distanze da Ortega. Di Chavez si può dire tutto ed è giusto scriverlo quando provato: vorrei che Bonanni spiegasse chi gli ha raccontato del pantheon dove il «dittatore» avrebbe infilato Marx, Mussolini e Gesù, uno di fianco all’altro. Nessuno lo ha mai visto. «Nel Paese circolano gruppi paramilitari. Nell’ultimo anno sono sparite cento persone e alcuni sindacalisti». Scriverà alla confederazione sindacale mondiale dissotterrando la storia nera nascosta dal regime. Con le prove affidategli dalla Ctv. Finalmente sapremo e Chavez dovrà rispondere. Ma se le storie fossero di carta, immagino che Bonanni forse si pentirà di aver osservato il «dramma Venezuela» seduto attorno a un campo da golf.

mchierici2@libero.it

 

3655-storie-di-carta

4412

EmiNews 2007

 

Views: 3

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.