3668 Pubblicato dalla Filef di Reggio Emilia, il libro in ricordo di GIULIANO PAJETTA

20071003 15:29:00 redazione-IT

Dall’ introduzione di Alessandro Carri

"No, non me la sento proprio di fare alcun commento a questa raccolta di scritti di Giuliano Pajetta e al profilo internazionalista che di lui ha tracciato, efficacemente, con grande riconoscenza, l’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
La mia non può che essere quindi una modesta testimonianza
per avere vissuto con lui tante delle mie vicende politiche ed avere collaborato con lui nel lavoro svolto per gli emigrati all’estero.
Questa degli emigrati all’estero può apparire, ai più giovani di oggi, cosa modesta dal punto di vista politico, ma così non fu, anche perché gli emigrati italiani erano centinaia di migliaia, milioni in tutti i Paesi economicamente più sviluppati e privi di manodopera come la Svizzera, il Belgio, la Germania e la Francia in Europa, e gli Stati Uniti oltreoceano."

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"E parliamo degli emigrati del dopoguerra e non di quelli degli inizi del secolo. Come è ben noto, nel XX secolo il nostro Paese è stato tra i più alti fornitori di
manodopera e spesso non si trattava solo di manodopera
proveniente dalle campagne e priva di una qualsiasi nozione
industriale, ma qualificata e specializzata, espulsa
dal processo produttivo italiano.
Reggio Emilia costituì in tal senso un esempio significativo.
Nel dopoguerra in questa città fu smantellata una delle
fabbriche più importanti legate alla produzione bellica
di aerei da combattimento. Più di 10.000 operai, dopo una
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lunga occupazione della fabbrica, furono licenziati e si
trovarono alla disperazione, senza un lavoro.
Molti di essi quindi furono costretti all’“esilio” nella ricerca
disperata di una qualsiasi occupazione, che trovarono
nelle principali fabbriche di allora di mezza Europa. Fu
una tragedia per la città che mi impressionò particolarmente,
così che cominciai a seguire questi lavoratori dal punto
di vista politico e a contribuire ad organizzarne l’attività
all’estero. Cercai anche di favorire, il più rapidamente
possibile, il loro rientro, che avvenne dando luogo (con
l’aiuto delle amministrazioni comunali di sinistra) alla nascita
di quella piccola e media industria che costituì uno
dei fenomeni più significativi del processo di industrializzazione
del nostro Paese e tutt’oggi uno dei fenomeni più
originali di sviluppo industriale, guardato con interesse e
massima attenzione in ogni parte del mondo.
Quel che avvenne a Reggio Emilia con la smobilitazione
delle Reggiane si verificò in tante altre città e vorrei ricordare
una iniziativa parlamentare, della quale mi resi partecipe,
per il riconoscimento da parte dello Stato del danno
subito da questi lavoratori, per il risarcimento del periodo
di disoccupazione e la ricostruzione della “carriera” lavorativa.
Ma, si dirà, cosa c’entra tutto questo con Giuliano Pajetta?
C’entra, eccome! C’entra da diversi punti di vista. Primo,
perché quella “classe operaia” che fu costretta ad emigrare
era politicamente e sindacalmente preparata e divenne
nell’emigrazione la colonna portante di tutto un lavoro
di sostegno degli emigrati, di riconoscimento dei loro
diritti sindacali, di costituzione dei Circoli di ritrovo, di richiesta
del diritto di voto e di partecipazione alla vita politica
locale all’estero, nonché di attività di collegamento
con la città d’origine. Giuliano era affascinato dalla loro
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attività, cercava di comprenderla e di generalizzarla, indicandola
ad esempio.
Secondo, perché questa emigrazione, pur cercando di integrarsi
nella nuova realtà e stabilire rapporti sempre più
stretti con gli operai e con i lavoratori dei Paesi che li ospitavano,
manteneva una sua dignità e un legame – quasi inscindibile
– con il Paese d’origine, al punto da rifiutare
l’integrazione e pensare – come avvenne per molti – di
rientrare e mettere a frutto quello che potevano avere appreso.
C’è stato a Reggio in tal senso un esempio significativo:
quello del primo sindaco della città, Cesare Campioli,
il quale, costretto a sua volta all’emigrazione per ragioni
politiche, occupandosi a Parigi in una fabbrica di
produzione di macchine per la lavorazione del vetro, rientrò
in Italia e, oltre che ad assolvere al ruolo di capo della
Resistenza prima e poi di Sindaco della città, diede vita ad
una fabbrica reggiana (OMSO) che effettuava la stessa
produzione e che tuttora esiste (sotto nuova denominazione)
vantando un indiscutibile prestigio a livello mondiale.
Giuliano Pajetta, che aveva conosciuto a Parigi Cesare
Campioli, amava spesso richiamarne l’esempio per sostenere
in fondo che l’emigrazione italiana poteva essere un
volano importante anche per lo sviluppo italiano. Così non
esitò, quando si discusse nel PCI di organizzare le “federazioni”
e le “sezioni” del Partito all’estero, di sostenerle
contro coloro i quali ritenevano che i lavoratori emigrati
dovessero aderire ai partiti comunisti locali. “No,” – disse
più volte – “noi non dobbiamo scindere i rapporti degli
emigrati con l’Italia e non possiamo sollecitare questi lavoratori
ad aderire a partiti che, pur chiamandosi comunisti,
si differenziano – e non poco – dal PCI”.
Giuliano fu quindi l’artefice principale della costituzione
del PCI all’estero, e bene lo sanno autorevoli personaggi
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come Giorgio Marzi di Muggia, che fu per anni il segretario
della Federazione del PCI degli emigrati italiani in
Germania e membro autorevole del Comitato Centrale.
Naturalmente, secondo l’indirizzo politico del Partito,
non si mancò mai di favorire e sollecitare l’attività sindacale,
quella dell’INCA e quella della FILEF, che si può dire
raccolsero i frutti di un’azione che coinvolse, con le organizzazioni
cattoliche, gran parte dei lavoratori emigrati.
Giuliano mi chiamò più volte insieme a Dante Bigliardi
a svolgere iniziative politiche a favore degli emigrati negli
anni Settanta–Ottanta, e mi coinvolse nel 1979 nell’attività
elettorale delle prime elezioni per il rinnovo del Parlamento
europeo a suffragio universale.
In quelle elezioni fu consentito per la prima volta il voto
degli emigrati e si trattava quindi di organizzarli e invitarli
a votare per i nostri candidati del PCI. Giuliano mi nominò
responsabile di questo lavoro per tutta la Francia (500.000
emigrati allora), il che mi consentì di prendere contatto
con l’Ambasciata e con i Consolati di Francia al fine di
stabilire i punti dove dovevano essere collocati i seggi elettorali
per assicurare le votazioni, scegliere gli scrutinatori,
i rappresentanti di lista, ed effettuare quel minimo di
propaganda elettorale che giungesse a tutti gli emigrati e
alle loro famiglie. Questo lavoro durò due–tre mesi e, immancabilmente,
ogni settimana Giuliano arrivava per fare
il punto della situazione. Naturalmente il suo arrivo non
era solo una ragione di lavoro, ma spesso diventava una
festa con tutti i compagni a me più vicini. Mi fece tra
l’altro conoscere Parigi in tutti i suoi risvolti più impensati,
dal punto di vista politico e culturale. Frequentammo
insieme la sede del PCF, in Place du Colonel Fabien, soprattutto
per far capire la distinzione delle nostre posizioni
politiche rispetto alle loro e quindi la necessità di non con-
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fonderci nella campagna elettorale. Già allora noi eravamo
per la massima apertura politica alle organizzazioni cattoliche,
che invitavamo a non fare propaganda solo per la
Democrazia Cristiana. Organizzammo anche una grande
manifestazione, che ebbe luogo a Marsiglia con i due segretari
del PCI e del PCF, Enrico Berlinguer e George
Marchais. Vi parteciparono da tutta la Francia più di cinquantamila
persone, e ricordo bene la soddisfazione di
Berlinguer che si congratulò con me e con Pajetta per il
lavoro svolto.
Non è possibile parlare qui del discorso di Enrico Berlinguer,
se non in estrema sintesi. Parlò dell’Europa,
dell’emigrazione, di coloro che erano stati costretti ad abbandonare
il loro Paese, e sottolineò l’importanza di ritrovarsi
in quella manifestazione in un “comune sentire” di
cittadini europei con piena dignità, comunanza di diritti e
di prospettive. Gli emigrati non sono e non dovevano essere
considerati cittadini di seconda categoria. Si produsse
così una vera e propria ondata di orgoglio che mal celava
la riservatezza dei francesi presenti, anche se, nel nome
dell’internazionalismo, veniva confermata una comune volontà.
Pajetta si rammaricò in quel periodo del fatto che fossi
stato sostituito in Parlamento, dimostrando una grande
sensibilità politica e umana. Protestò nel Comitato Centrale
per questo fatto, richiamando la mia attività fra gli emigrati
in Francia. Si dispiacque, e non poco, di non essere
stato ascoltato e mi rimproverò di avere accettato senza
reagire. Ma poi, quando seppe che sarei diventato segretario
della Federazione Comunista di Reggio Emilia, si adoperò
con Gianni Cernetti (organizzazione centrale del PCI)
perché questo potesse avvenire al più presto e nel migliore
dei modi. Così fu ed ebbe inizio un nuovo e straordinario
periodo di stretta collaborazione politica.
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Erano gli anni in cui si ponevano con forza i problemi
del rinnovamento del Partito, della presa di distanza
dall’Unione Sovietica, con le ben note posizioni di Enrico
Berlinguer. Giuliano ne era felice e ben sapeva che si correggeva
un passato – del quale era stato per certi aspetti
vittima – di piena osservanza agli orientamenti e alle decisioni
che venivano dall’URSS. Fu in quel periodo che
appresi dell’“infortunio” nel quale incorse con l’esclusione
dal comitato Centrale del PCI per i rapporti politici e di
amicizia che aveva intrattenuto con il comunista ungherese
László Rajk, condannato a morte nel 1949 come traditore,
complice di Tito. Di fronte a quell’assassinio Giuliano
si pose non pochi interrogativi con una conseguente crisi
del suo pensiero politico, di convivenza nel partito, ma lo
sorresse, con il fratello Giancarlo, l’idea che il PCI era
un’altra cosa e che nel “campo” comunista poteva combattere
autorevolmente la sua battaglia per la democrazia, per
il rinnovamento, come in gran parte avvenne, sia pure con
tutti i ritardi che lo scontro politico impose.
Con Giuliano in quegli anni la federazione di Reggio
Emilia divenne di fatto il centro o uno dei centri più importanti
di direzione del lavoro rivolto agli emigrati. Furono
organizzati corsi permanenti di educazione e formazione
politica degli emigrati alla scuola di Albinea, e Giuliano
li dirigeva come docente prestigioso, seguito sempre
con grande interesse. Centinaia e centinaia di reggiani,
uomini e donne, furono impegnati in questi corsi, e periodicamente
si recavano nei Paesi europei di emigrazione
per svolgere attività di organizzazione, d’informazione e
di “propaganda” fra gli emigrati. Le Feste de “l’Unità”,
che iniziarono a tenersi presso il Campovolo, divennero
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annualmente un punto d’incontro obbligato, con uno specifico
stand, con mostre, conferenze e convegni.
Quella Nazionale del 1983, con Enrico Berlinguer, ospitò
uno dei più importanti convegni degli emigrati, che vi
parteciparono in più di cinquecento. Giuliano divenne così
sempre più di casa a Reggio Emilia e partecipava attivamente
all’attività generale del Partito. Si trovava tanto bene
con gli amici e i tanti emigrati che andavano e venivano
che pensò addirittura di stabilirvisi definitivamente.
Il problema dell’emigrazione si rese però rapidamente
più complesso. Cominciarono a capovolgersi i termini, divenendo
sempre più preponderante l’immigrazione rispetto
all’emigrazione. Per l’Italia veniva perciò urgente proporre
quello che per tanti anni egli aveva proposto per gli
Italiani nel resto dell’Europa. Il problema si fece insomma
sempre più nazionale, chiamando in causa quei temi della
clandestinità, del lavoro, della casa, della partecipazione
democratica, della sicurezza, sempre più prorompenti e di
attualità, tanto da fare dell’esperienza nostra e della elaborazione
di Giuliano Pajetta un punto di riferimento essenziale
per affrontare, nel suo complesso, il problema emigrazione
– immigrazione.
Giuliano non ne ha potuto vedere tutti gli aspetti e le
sfaccettature, ma le ha bene immaginate, lasciandoci una
testimonianza di lavoro fra le più ricche e più importanti
che si possano immaginare.
Alla sua morte, nell’agosto del 1988, ci fu chi accarezzò
l’idea di assegnargli la cittadinanza onoraria alla memoria.
Non se ne fece nulla. Ma certo è che l’avrebbe ben meritata
e che la meriterebbe dalla nostra città come riconoscimento
postumo a chi ha fatto del problema dei migranti
una ragione della sua vita.
A me è sembrato giusto ricordare tutto questo, rispetto
alle ben più note vicende della sua vita eroica ed avventurosa,
che lo hanno reso celebre: la sua militanza politica a
soli quindici–sedici anni, l’espatrio per evitare il carcere
fascista, la partecipazione alla guerra di Spagna a fianco di
Luigi Longo, l’internamento nei campi del “Vernet” e di
“Les Milles” in Francia, la partecipazione alla Resistenza,
l’arresto da parte delle S.S. e l’internamento nel campo di
concentramento di Mauthausen fino alla liberazione, la ripresa
dell’attività politica nel dopoguerra, l’elezione nel
Comitato Centrale del PCI a poco più di trent’anni con una
responsabilità prestigiosa agli esteri.
Per concludere, mi pare di poter dire come emerga, dalle
testimonianze che mi sono permesso di richiamare, un
pensiero politico innovatore di Giuliano Pajetta, la continua
ricerca di un modo nuovo di fare politica, in stretta
collaborazione con quei protagonisti “in carne ed ossa” del
mondo del lavoro, che furono quelli dell’emigrazione e
dell’immigrazione del suo tempo.
Per quel che mi riguarda, mi sia consentito aggiungere
che ho ricevuto tanto da Giuliano e che lo ricordo ancora
oggi con profonda commozione, infinitamente grato per
quello che mi ha saputo dare con il suo straordinario esempio e il suo pensiero politico."

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[url]http://www.emigrazione-notizie.org/quarantennale_filef/Libro_Giuliano_Pajetta_FILEF_2007.pdf[/url]

http://www.emigrazione-notizie.org/quarantennale_filef/Libro_Giuliano_Pajetta_FILEF_2007.pdf

 

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