3666 INFORMAZIONE DI RITORNO: Le promesse non mantenute di Rai International

20071003 14:39:00 redazione-IT

di Silvana Mangione

Quanto meno dalla Conferenza sull’emigrazione del 1975, gli italiani all’estero – che allora si chiamavano ancora emigranti – chiedono a gran voce le stesse, pochissime, cose. Il voto. L’abbiamo avuto, abbiamo esercitato il diritto. I risultati non sono piaciuti a nessuno. Né alla destra che pensava di stravincere e ha perso (anche per colpa sua). Né alla sinistra che pensava di perdere e ha vinto, anzi, ha potuto aggiudicarsi la vittoria, di misura, al Senato, proprio per merito degli italiani all’estero e non sa perdonarci questo regalo.

È ovvio che nelle abitudini verticistiche di tutti – senza distinzione alcuna – i partiti, i movimenti, i girotondi e i grillismi italiani, la capacità (mi si passi una parola grossa) di «autodeterminazione» degli italiani all’estero fa una paura fottuta. Ergo, ragionano loro, bisogna intervenire introducendo tutti i meccanismi che possono addomesticare questo voto fino a renderlo un puro esercizio sul nulla: candidati italiani residenti in Italia, liste bloccate senza preferenze, quote rosa scelte dal centro secondo criteri non sempre ispirati alla meritocrazia, registrazione al voto gestita dai poteri che sono, seggi elettorali, con conseguente diminuzione percentuale dei partecipanti, al fine della futura – non troppo lontana – cancellazione tout court della possibilità di esercitare il diritto primario dei cittadini di qualsiasi democrazia, vale a dire votare e scegliere i propri diretti rappresentanti. Per questo diritto fondamentale di libertà, proprio in questi giorni, i monaci buddisti si stanno facendo arrestare e uccidere nell’antica Birmania, che la giunta militare si ostina ad appellare Myanmar. Affrontiamo ora il secondo punto su cui ci battiamo da sempre: l’informazione, in particolare l’informazione di ritorno, perché abbiamo sempre pensato che il malcelato fastidio dell’immaginario collettivo italiano verso gli italiani all’estero avrebbe potuto trasformarsi non dico in ammirazione, ma almeno in dialogo paritario, se solo avessero potuto conoscerci. Quando il CGIE era ancora un organismo concretamente e validamente dedito all’esame delle istanze degli italiani all’estero ed alla definizione di reali e approfondite proposte da presentare negli ambienti competenti, facemmo una serie di Conferenze sull’informazione per gli italiani fuori d’Italia. La prima fu quella «per le Comunità italiane nei Paesi Anglofoni» a New York, nel lontano 1994, con il sottotitolo «Il fattore informazione». In un collegamento televisivo l’appena nominato Ministro degli Affari Esteri del primo governo Berlusconi, Antonio Martino, dichiarò: «Noi vogliamo un’informazione quanto più completa, corretta e qualificata, in modo che le attività italiane possano servire a un’evoluzione politica, economica e sociale del nostro paese e vogliamo altresì che ci sia un flusso di pari qualità dall’estero verso il nostro paese. Credo che l’informazione sia il momento essenziale di questa consapevolezza reciproca e per questo rivolgo un saluto agli organizzatori che sono lì». Come Coordinatrice del Comitato Organizzatore lo ringraziai per tutti. Nel documento finale deploravamo: «la scarsità e la frequente deformazione dell’informazione diffusa in Italia sulle attuali realtà delle comunità», chiedendo «che il Governo e il Parlamento si impegnino a definire una politica quadro dell’informazione per gli italiani all’estero che risponda ad una precisa strategia della conoscenza reciproca» e qui mi fermo, perché degli altri concetti antesignani, lanciati in quell’occasione, parleremo dopo. Da allora sono passati quattro parlamenti e sette o otto governi, se si contano i vari rimpasti a sinistra come a destra. Pochi mesi dopo la fine della tornata di Conferenze sull’informazione, siglata per tutto il mondo a Milano, nel dicembre 1996, con la combinata Piero Fassino, sottosegretario agli esteri con delega all’emigrazione, e Roberto Morrione, direttore di RAI International, avevamo ottenuto il primo programma di informazione sulle comunità: ZOOM, nato nel 1997. ZOOM era un momento di informazione di ritorno, forse troppo nordamericano, forse un po’ ghettizzato – d’accordo – perché raggiungeva principalmente l’audience estera, mentre l’Italia poteva vederne soltanto qualche spezzone in piena notte. Tant’è, esisteva. C’era. Era un punto di partenza su cui costruire, a passi successivi, un vero piano di informazione di ritorno. Avrete notato che parlo al passato. ZOOM c’era e non c’è più. «È stato interrotto per l’estate», ci hanno detto a New York i vertici di RAI International, «per rilanciarlo a settembre, potenziato e migliorato». Abbiamo aspettato con fede, speranza e carità – le tre virtù teologali delle quali noi italiani all’estero abbiamo assoluto bisogno ad ogni piè sospinto della lunga e triste historia delle mistificazioni che ci riguardano. Settembre è finito. ZOOM non c’è. Non c’è ancora? O non c’è più? Vogliamo saperlo. Certamente andava potenziato e migliorato. Ogni opera creata dagli esseri umani è per ciò stesso passibile di perfezionamento. Volevamo che si inserisse nel progetto, che avevamo delineato nel documento finale del 1994, di un’informazione «per gli» e «degli» italiani all’estero, in cui convivessero cinque tipologie di prodotti: 1. programmi fatti in Italia e già diffusi sul mercato italiano (Italia per l’Italia); 2. programmi fatti in Italia e dedicati alle comunità all’estero (Italia per l’estero); 3. programmi realizzati dai mass media locali operanti all’estero(estero per l’estero); 4. notizie provenienti dalle comunità (estero per l’Italia); 5. comunicazioni delle business communities (globalizzazione). In questo tracciato virtuoso si disegnava il flusso d’andata e ritorno di un’informazione davvero circolare, non soltanto dal punto di vista – passivo – degli utenti, ma anche da quello – attivo – dei produttori dei programmi. ZOOM costituiva il primo momento di questo percorso. Non avevo voluto credere alla «cronaca della sua morte annunciata», perché arrendersi anticipatamente alle realtà negative impedisce qualsiasi iniziativa tesa al raggiungimento di obiettivi positivi. Non voglio ancora crederci. Attendo che RAI International mantenga fede a quanto ha promesso all’inizio di giugno a New York, ma la pazienza di tutti noi non è illimitata.
Silvana Mangione

 

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EmiNews 2007

 

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