3679 Rapporto Italiani nel Mondo 2007: La Scheda sintetica del rapporto

20071006 14:26:00 redazione-IT

S c h e d a d i s i n t e s i
La Fondazione Migrantes in collaborazione con il Comitato Promotore (Acli, Inas-Cisl, Mcl, Missionari Scalabriniani)

"La storia dell’emigrazione italiana è un libro in continuo
svolgimento: iniziato dai pionieri, i nuovi migranti continuano oggi a scrivervi pagine nuove. Si può dire che in tutti i paesi del mondo si trovano spunti interessanti sulle nostre vicende migratorie, e il Rapporto Italiani nel Mondo cerca di recuperarli, come ha fatto con l’Argentina, l’Australia e la Gran Bretagna e anche con gli insediamenti in Croazia e in Slovenia, fortemente segnati dalle vicende storiche del dopoguerra e ancora alle prese con problemi residui.

Non si tratta di storie, luoghi e collettività lontane,
perché è continuo l’intreccio tra quelle realtà e la
società italiana, con visite di politici e uomini di
governo, rappresentanti degli enti locali, autorità religiose,
studiosi, scrittori, esponenti del mondo imprenditoriale,
sociale e pastorale e una fitta serie di attività:
artistiche, scientifiche, economiche, turistiche.
Il Rapporto Migrantes, con la sua periodicità annuale, si
propone come un libro per far conoscere e far ricordare,
unendo alle pagine di storia le situazioni attuali e salvaguardando
il legame tra queste due Italie, sempre
più indispensabili in un mondo globalizzato.
La Fondazione Migrantes celebra a gennaio la “Giornata
nazionale delle migrazioni”, richiamando l’attenzione
su tutti gli aspetti della mobilità umana, a partire dai
nostri emigrati. Questo volume, giunto alla seconda
edizione, intende contribuire a far superare, in Italia,
quell’atteggiamento di superficialità per il quale molti
sono portati a pensare che l’emigrazione sia una realtà
del passato, irrilevante nel contesto attuale. Nello
stesso tempo, questa ampia raccolta di dati e di informazioni
di natura economica, sociale, culturale, religiosa
può essere un incentivo, per gli stessi emigrati, a
individuare i temi e lo stile in grado di suscitare interesse
e saldare maggiormente queste realtà.
Ai 37 capitoli che compongono questo Secondo Rapporto
Italiani nel Mondo, hanno contribuito 47 autori,
non solo della Redazione centrale della Fondazione
Migrantes e degli organismi del Comitato promotore
(Acli, Inas-Cisl, Mcl, Missionari Scalabriniani), ma
appartenenti ad altre espressioni del mondo associativo
e alle strutture pubbliche.
I paesi di insediamento degli emigrati e dei discendenti.
I 3.568.532 cittadini italiani residenti all’estero
ad aprile 2007 sono risultati quasi mezzo milione in
più rispetto a un anno prima. Questo forte incremento
è dovuto quasi per intero ad un perfezionamento dell’Anagrafe
degli italiani residenti all’estero (Aire), che
ha inserito, in collaborazione con i Consolati, molte
posizioni di connazionali prima sotto verifica. Il 18% è
costituito dai minori e un altro 18% dagli ultrasessantacinquenni:
tutto sommato, questa popolazione è più
giovane di quella rimasta in patria. I celibi sono la 2
maggioranza (52%) e anche questo è segno di una popolazione
relativamente giovane. Le donne, il 47% della popolazione emigrata,
sono state perlopiù protagoniste dimenticate, con un
impegno di recupero negli ultimi anni.
Quanto alla ripartizione della presenza italiana nel mondo, semplificando,
si può dire che l’emigrazione italiana è in prevalenza
euro-americana: più della metà in Europa (2.043.998 cittadini
italiani, 57,3%) e più di un terzo in America (1.330.148,
34,3%). Non si possono, però, trascurare le collettività insediate
negli altri continenti, non solo l’Oceania (119.483), rimasta a
lungo un importante sbocco dei nostri flussi, ma anche l’Asia
(26.670) sbocco di nuovi flussi migratori a carattere imprenditoriale
e l’Africa (48.223), dove molti paesi (Nord Africa, Corno
d’Africa, Sudafrica) hanno accolto nel passato dei connazionali.
Tra i paesi, alla sommità, troviamo quelli con mezzo milione di
cittadini italiani (Germania, Argentina e Svizzera) e la Francia
con 350.000: in questo paese le presenze diventano molto più
numerose se si tiene conto anche dei naturalizzati (nonché degli
oriundi), riflessione che vale anche per diversi altri contesti, dall’America
all’Australia.
Vi sono poi paesi con 200 mila cittadini italiani residenti (Belgio,
Stati Uniti, Brasile) o 100 mila (Regno Unito, Canada, Australia) e,
seppure con numeri meno importanti, diversi altri in cui si sono
svolti capitoli importanti della nostra storia emigratoria. In Europa
ricordiamo per l’insediamento permanente Austria, Lussemburgo e
Paesi Bassi e, per i flussi di frontalieri, Monaco e San Marino oltre
alla Svizzera; in America Latina: Venezuela, Uruguay, Cile, Perù,
Ecuador, Colombia, Messico.
In Romania, ad esempio, troviamo una vivace collettività di nuovi
emigrati italiani, per lo più imprenditori, accanto a un’altra, di
numero ridotto e di disagiate condizioni, che si espande dalla
Dobrugia alla Moldavia, dai Carpazi alla Transilvania, a ricordo dei
flussi che, a fine Ottocento, dal Friuli e dal Veneto fornirono i
lavoratori per le cave di granito o gli impresari per l’edilizia.
La varietà dei flussi trova una conferma nei dati Inps sulle pensioni
pagate all’estero. Nel 2006, i primi paesi per numero di
pensioni pagate dall’Italia, ciascuno con oltre 50.000, sono il
Canada (65.942), la Francia (56.126) e l’Australia (54.575).
Seguono due paesi con oltre 40.000 pensioni (Argentina e Stati
Uniti). Vi sono poi la Germania (36.486) e la Svizzera (24.319).
Per continenti, il maggior numero di pagamenti riguarda l’Unione
Europea (34,1%), il Nord America con il 26,9% e l’America Latina
(17,2%); quindi l’Oceania (13,3%) e l’Europa extracomunitaria,
insieme all’Asia e all’Africa, per il restante 8,5%.
Le pensioni sono, purtroppo, la mappa di un’emigrazione diventata
anziana, e spesso anche povera e bisognosa d’assistenza:
per rispondere alle loro esigenze in diversi paesi dell’America
Latina, il Ministero degli affari esteri ha attivato polizze sanitarie
cumulative.
All’estero vivono anche i discendenti dei primi protagonisti dell’emigrazione
italiana. È iscritto all’Aire, a seguito del riconoscimento
iure sanguinis della cittadinanza italiana, 1 ogni 37 italiani
residenti all’estero, (circa 100 mila), un’incidenza tutt’altro
che trascurabile e destinata a crescere, come lascia intendere l’elevato
numero delle domande già presentate ai consolati e in
attesa di definizione: si parla di diverse centinaia di migliaia di
casi. I cittadini per acquisizione sono concentrati in America
(50,5%) e in Europa (43,1%), mentre è residuale la quota dell’Asia
(2.264), dell’Oceania (2.251) e dell’Africa (1.663). L’Argentina
guida la classifica di questi nuovi cittadini con 65.570 casi al
2007, seguita dal Brasile con 13.300 casi.
Regioni di partenza e… di ritorno. Più della metà dei cittadini
italiani attualmente residenti all’estero è di origine meridionale,
ma anche le regioni del Nord (29,8%) e del Centro (14,5%) non
possono considerarsi non coinvolte nel fenomeno. Basti pensare
che tra il 1876 e il 1915 se ne andarono dal Veneto e dal Friuli
3.230.000 persone, il 23% degli emigranti italiani dell’epoca. Dal
Veneto sono stati anche il 9% degli emigrati tra il 1916 e il
1942, e, quindi, nell’emigrazione del secondo dopoguerra i veneti
raggiungono percentuali importanti: l’11,5% degli espatri tra
il 1946 e il 1976.
Oggi a risiedere all’estero sono, nell’insieme, 2 milioni di persone
originarie del Meridione, 1 milione delle regioni settentrionali e
mezzo milione di quelle centrali.
Al vertice vi sono quattro regioni del Sud: la Sicilia con 600 mila
corregionali residenti all’estero, la Campania, con quasi 400
mila, e la Calabria e la Puglia con 300 mila, alle quali si unisce
con la stessa consistenza il Lazio, seguito dalla Lombardia e dal
Veneto con 250 mila. Anche le altre regioni detengono quote
importanti di emigrati, seppure in misura differenziata, fino ad
arrivare all’Umbria (27.000 unità) e alla Valle d’Aosta (4.000).
È differenziata anche l’incidenza degli emigrati all’estero sull’attuale
popolazione regionale: con il 10% troviamo il Friuli Venezia
Giulia, l’Abruzzo e la Sicilia, con il 15% la Calabria e la Basilicata
e con il 22% (1 all’estero ogni 5 in regione) il Molise. La media
italiana, tutt’altro che bassa, è del 6,6%, al di sotto della quale
si trovano solo l’Emilia Romagna, la Lombardia, la Toscana, l’Umbria,
la Valle d’Aosta e il Piemonte.
In alcuni casi la popolazione emigrata supera quella rimasta nel
comune d’origine. Ne sono esempio in Sicilia il Comune di Villarosa,
nel Molise Filignano e in Abruzzo Roccamonica, quest’ultimo
con 1.574 residenti all’estero e solo 1.012 residenti rimasti
nel Comune.
L’emigrazione italiana è stata, nel panorama internazionale, quella
più fortemente contrassegnata dai rientri, che hanno coinvolto
le regioni di origine, beneficiarie delle rimesse già durante la
permanenza all’estero dei loro emigrati. Negli anni a cavallo tra
l’Ottocento e il Novecento, le rimesse vennero denominate la
“fantastica pioggia d’oro”. A partire dal 1998 le rimesse inviate
dagli immigrati in Italia hanno superato quelle fatte pervenire
dagli italiani all’estero, perlopiù insediati definitivamente e interessati
a investire i risparmi sul posto.
I rimpatri, rilevati solo a partire dal 1905 (dai paesi extraeuropei)
e dal 1921 (dai paesi europei), sono stimati in 9 milioni di
unità tra il 1905 e il 1981, con un saldo negativo per l’Italia di
circa 17 milioni. Tra il 1987 e il 2002 le iscrizioni dall’estero di
cittadini italiani sono state 704.208, poco meno delle partenze,
che sono state 731.579. Le fasi più intense dei rientri sono state
prevalentemente legate a grandi eventi storici: le due guerre
mondiali, la depressione del 1966-67, l’oil-shock del 1973 e, in
tempi più recenti, la crisi economica sudamericana del 2000/01.
Di chi rientra si occupano da tempo le Regioni con apposite agevolazioni.
Molte prevedono borse di studio per i figli e i nipoti
dei corregionali all’estero, corsi per operatori d’emigrazione, iniziative
per favorire l’economia e il turismo. Sono numerose anche
le associazioni che si occupano dei rientri: anche a Caserta, da
ultimo (ottobre 2006) è stata costituita l’“Associazione rimpatriati
in Italia”.
La storia della nostra emigrazione letta dall’Argentina. In
Argentina si stima che la maggioranza della popolazione sia di
origine italiana: in un secolo (1876-1976) vi sono sbarcati circa
tre milioni di connazionali e ancora oggi più di mezzo milione
ha conservato la cittadinanza.
La prima fase di questa epopea migratoria inizia a metà dell’Ottocento.
A essere coinvolti sono i contadini che, dopo viaggi
avventurosi (in nave, con due gallette al giorno, senza tutela
medica e senza profilassi) finalmente sbarcano e, se riconosciuti
di sana e robusta costituzione fisica, si disseminano in tutto il
paese. La legislazione locale riconosce parità di diritti ai nuovi
venuti, mentre contemporaneamente negli Stati Uniti prevale
una politica protezionistica per difendersi dalle “razze” ritenute
inferiori (gli emigranti dell’Est Europa e delle Regioni mediterranee).
Alla fine del secolo gli italiani sono più di un decimo sulla popolazione
residente (allora di appena 4 milioni), concentrati attorno
alla grande Buenos Aires, con famiglie molto numerose e una
discreta affermazione economica. Non si occupano solo di lavoro.
Risale al 1863 la prima testata dei nostri emigrati (“L’italiano”,
naturalmente), fondata a Buenos Aires. Né può mancare
l’interesse al calcio, dato che sono i fondatori di prestigiosi club
calcistici quali il Boca Juniors e il River Plate.
La seconda fase si colloca all’inizio del Novecento. Iniziano ad
arrivare anche gli operai qualificati e gli artigiani e così si contribuisce
allo sviluppo della capitale e al “miracolo economico”
del paese, tra l’altro con la costruzione della rete ferroviaria. La
crisi mondiale del 1930 causa una brusca interruzione dei flussi,
complici anche le leggi fasciste (ridotte possibilità di espatrio,
salvo per ebrei, antifascisti, sindacalisti e intellettuali dissidenti)
e argentine (obbligo del contratto di lavoro per il visto di
sbarco).
La terza fase inizia dopo la seconda guerra mondiale. Nell’Italia
del secondo dopoguerra si trovano centinaia di migliaia di senza
tetto: italiani che hanno perso la casa durante gli spostamenti
del fronte, espulsi dalle ex colonie, prigionieri liberati, soldati
dispersi, immigrati dall’Europa centro-orientale. Ne deriva una
forte emigrazione verso la capitale, il triangolo industriale, le
zone di confine per il lavoro transfrontaliero e anche verso l’estero.
I flussi in Argentina si collocano a un livello professionale più
elevato, attratti dal nuovo boom economico del paese. Tra il
1947 e il 1951, in base all’accordo Peron-De Gasperi arrivano
330 mila italiani (ma ne sarebbero serviti mezzo milione), con
una forte tendenza alla ricomposizione dei nuclei familiari e
all’integrazione sociale e culturale fino al 1960, quando i flussi
andranno declinando.
Gli italiani sono presenti in tutti i settori, hanno introdotto
molti mestieri e si affermano anche come proprietari, impresari,
politici: tra le aziende vinicole 3 su 4 sono di origine italiana.
Poi arrivano anche le grandi aziende italiane, per gli appalti e le
commesse. Le sfumature di “italianità” si diffondono nel paese,
compresi il cocoliche e il lunfardo parlati a Buenos Aires, nati
dalla fusione di più dialetti italiani con parole di origine araba e
spagnola.
La quarta fase è costituita dal ribaltamento dei flussi, con la
venuta degli argentini in Italia, prima per motivi politici e poi
economici (crisi del 2001-2002). Vi sono coinvolti inizialmente
rifugiati, quindi oriundi italiani e altri argentini, giovani e preparati,
tutti interessati a uno sbocco lavorativo, per il quale
spesso l’Italia è solo una tappa di passaggio per la Spagna (che
ha accolto circa 100 mila italo-americani, rispetto ai 17.000
argentini insediatisi in Italia), paese per diverse ragioni più promettente.
Funzionale a questo progetto è la crescente richiesta
della cittadinanza italiana e il supporto assicurato da specifici
progetti regionali.
L’emigrazione di ieri. La storia è indubbiamente fatta di grandi
eventi e di grandi nomi, ma anche dalle umili vicende di milioni
di italiani, senza soldi e senza cultura, un passato umile che talvolta
si cerca di dimenticare.
Una volta si percorreva l’oceano sui ponti delle navi o in cameroni
disagiati, o si attraversavano le Alpi con i piedi gonfi, gli
occhi segnati e il cuore trepidante. Il secolo scorso vide l’abruzzese
Salvatore Borsei percorrere a piedi l’Africa in due anni,
affrontando mille peripezie, per poi lavorare nei cantieri del
Sudafrica. Anche nell’ultimo dopoguerra molti sono così poveri
da non potersi pagare il viaggio, e per questo approfittano dei
programmi di “passaggi pagati” come quelli offerti dalle industrie
di mattoni di Bedford, dove alla fine degli anni ’70 sono
oltre 8.000 gli italiani, il 10% della popolazione complessiva
della città.
Sempre in Gran Bretagna, agli inizi dell’Ottocento, si emigra
anche da zone come il Comasco, l’Appennino Tosco-Emiliano, la
Liguria e la Ciociaria (che ha continuato i flussi anche dopo) per
sistemarsi alla meno peggio (Little Italy di Holborn) e operare,
specialmente a Londra, come piccoli artigiani, venditori ambulanti
di statuette, arrotini, lavoratori di piastrelle e artisti di
strada: insomma, girovaghi, saltimbanchi e suonatori di organetto,
una sorta di lavavetri e “vu cumpra” ante litteram. A fine
secolo troviamo anche i piccoli commercianti, soprattutto nel
settore alimentare, con venditori itineranti di castagne d’inverno
e gelatai d’estate. Non mancano gli anarchici e i rivoluzionari.
Nel secondo dopoguerra in Australia, gli italiani, arrivati dopo 4
o 5 settimane di navigazione, privi di professionalità e del tutto
ignari della lingua, sono in grado di svolgere solo lavori manuali
e non qualificati nel campo dell’industria pesante, delle costruzioni,
dell’agricoltura, dove manca la manodopera. Comunque, si
fanno apprezzare facilmente per impegno, resistenza, diligenza e
curiosità nell’apprendere e con il tempo riusciranno ad emergere.
I nostri emigranti si collocano all’origine di piccole cittadine,
come quella brasiliana di Cascalho, fondata alla fine dell’Ottocento,
o della grande San Paolo, anch’essa a maggioranza italiana.
Capitan Pastene (Cile) viene fondata all’inizio del Novecento
da famiglie provenienti dall’Appennino modenese. Ancora un italiano
dell’Appennino modenese, Felice Pedrone, partito nelle
intenzioni alla ricerca dell’oro, fondò la città di Fairbanks in Alaska:
sulle sue vicende è stato allestito uno spettacolo teatrale (Il
mistero di Felix Pedro di Giorgio Comaschi). Protagonisti di questi
flussi sono tanti piccoli comuni, come quello di Rocchetta
Sant’Antonio in provincia di Foggia, che ha costituito il “Coordinamento
nazionale piccoli comuni dell’Italia minore”, sostenuto
da più di 40 mila adesioni.
Non mancano le storie di disfatte che stanno all’origine dell’esodo.
Nel 1891 i licenziamenti del Lanificio Rossi di Schio in provincia
di Vicenza, sono all’origine dell’emigrazione di 300 famiglie
in diversi Stati del Brasile, che a Rio Grande do Sul impiantano
tra l’altro una cooperativa tessile tutt’ora operante.
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L’Argentina è, forse, il paese più ricco di impronte del lavoro italiano,
che si ritrovano perfino nella Terra del Fuoco, in Patagonia,
dove i nostri connazionali sono stati protagonisti dell’industria
turistica. Ad essi, che numerosi e con un apporto notevole
di fatica e impegno si sono dedicati allo sviluppo in loco, è riservato
il video Migrantes italianos, realizzato dal regista argentino
Ernesto Morales in collaborazione con la Regione Toscana e
proiettato con successo in Italia.
Nel Rapporto si parla anche di casi di razzismo, di lavoratori
diventati vecchi e rimasti soli, di ebrei sfuggiti alle leggi razziali
durante il nazismo, di persone rimaste invischiate in qualche
disavventura, gente in attività e pensionati.
Il 9 settembre 1917, a Milwaukee negli Stati Uniti, un gruppo di
anarchici italiani si scontra con la polizia, due sono uccisi, gli
altri arrestati e condannati a 25 anni di prigione “per cospirazione
con la finalità di uccidere” in un processo caratterizzato da
pregiudizi e annullato in appello: cinque di essi, anche se assolti,
vengono costretti a rimpatriare, come ricorda il quaderno del
Museo dell’emigrazione di Gualdo Tadino intitolato Milwaukee
1919, opera di Robert Tanzillo, un giovane italo-americano nato
a Brooklyn.
Un capitolo, dedicato ai musei dell’emigrazione nel mondo,
ricorda la grande e sofferta epopea di persone costrette a cercare
“fortuna” altrove. Anche a quel tempo è diffusa la vendita di
sogni, non di rado falliti già in occasione della prima selezione
effettuata nei paesi di destinazione. Il museo di Ellis Island
ricorda tutti gli emigranti provenienti dall’Europa, mentre è dedicato
solo agli italiani il Museo Meucci Garibaldi, promosso recentemente
in Rosebank dall’OSIA-Order Sons of Italy in America.
Comportamenti anti-italiani si riscontrano anche in occasione
della II guerra mondiale. In Gran Bretagna il forte sentimento di
ostilità, accentuato dall’entrata in guerra di Mussolini, la stessa
sera del 10 giugno 1940, porta piccole folle ad accalcarsi davanti
ai negozi italiani, considerati ormai nemici, rompendo vetrine
e saccheggiando. Gli episodi più violenti si verificano a Liverpool
ed Edinburgo. Churchill dà il via a un programma di internamento
e circa 4.000 italiani vengono arrestati e condotti nell’Isola di
Man. Nei casi ritenuti più pericolosi, si dispone la deportazione
in Canada, una misura sospesa dopo l’affondamento (2 luglio
1940) del transatlantico Arandora Star ad opera di un sottomarino
tedesco, con la morte di 446 dei 717 italiani a bordo, assieme
a 175 tra tedeschi ed austriaci. Vengono rilasciati solo gli
internati disposti a intraprendere lavori “di importanza nazionale”
e solo dopo la resa dell’Italia, nel settembre 1943, anche gli
altri internati sono rimessi in libertà, con un comprensibile strascico
di amarezza e di disillusione.
A vegliare sulle disavventure del passato e sulle attuali collettività
vi sono i morti italiani in cimiteri sperduti, o conosciuti o
recuperati, come quello sulla collina Delstern nella città di
Hagen, nella Ruhr, dove è stata finalmente dedicata una tomba
comune ai 52 italiani, morti il 2 dicembre 1944 nelle loro baracche
sotto le bombe degli alleati.
Una rilettura critica della mafia in America. Il successo dello
scrittore Mario Puzo (1920-1999), figlio di genitori napoletani
entrambi analfabeti, è dovuto al romanzo Il Padrino (The godfather,
1969), la storia di una famiglia italo-americana e della
sua ascesa nel mondo della mafia newyorkese. Di questa mafia, il
Rapporto Italiani nel Mondo propone una interessante rilettura
ad opera di uno studioso campano.
Negli Stati Uniti, i campani si concentrano, soprattutto, nelle
grandi città del Nord Est e sono impiegati nelle fabbriche, nella
costruzione di strade e ferrovie e nelle miniere.
Non trascurabili sono, specialmente nei primi anni del grande
esodo, i numerosi episodi del loro sfruttamento, che inizia ancor
prima della partenza, dal momento che una forma di finanziamento
del biglietto transoceanico è costituta dal credito. Intorno
a questi lavoratori campani operano loschi individui. Quasi
sempre connazionali, anch’essi ex emigranti, con una furbizia
dagli americani definita “napoletana”, dopo aver imparato,
quanto basta, la lingua, si intrufolano, con le buone o con le
cattive maniere, nel giro degli ingaggi di manodopera straniera,
operando da intermediari prima e da “padroni” poi. Gli emigranti,
attesi allo sbarco dai collaboratori del padrone, accettano la
protezione e le possibilità di lavoro loro offerte, incoraggiati e
rassicurati dal fatto che i padroni e i loro sgherri parlano il loro
medesimo dialetto; al tempo stesso, non avendo nulla da perdere,
sono disponibili per qualsiasi proposta di lavoro senza batter
ciglio.
Tanti lavoratori campani sono stati introdotti così negli Stati Uniti
ma, ancor più, in Canada, dove le leggi – assai meno restrittive di
quelle statunitensi – accordano maggiore libertà operativa ai
padroni ed ai loro lavoratori. Le grandi multinazionali – per non
crearsi grattacapi ma soprattutto per non rischiare di restare senza
manodopera – incentivano queste pratiche di reclutamento forzato,
accettando i servigi del trafficante di turno che riesce, quasi
sempre, a far assumere gli ultimi arrivati, a sfruttarli, pretendendo
e riscuotendo mensilmente una tariffa d’ingaggio. Inutile dire che,
chi si rifiuta di pagare, rischia di perdere il lavoro o viene pestato
da aguzzini spietati: così, con il beneplacito del capitale, si sviluppano
i prodromi del crimine organizzato, contrabbandato poi,
dai mass media d’oltreoceano, come prodotto tipico dell’emigrazione
campana e meridionale in genere. Quando i “padroni”, enormemente
cresciuti, si trasformeranno in “padrini”, andando a ledere
gli interessi del grande capitale americano, la mafia diverrà soltanto
un prodotto italiano doc.
I flussi di oggi. Oggi i connazionali all’estero sono spesso professionisti
affermati o concorrono per diventarlo: un sondaggio
realizzato dallo Sportello Stage su un campione di 170 giovani
attesta che il 97% è interessato a un’esperienza di lavoro all’estero.
È impressionante in tutti i campi l’affermazione che si
riscontra, sia in un grande paese come gli Stati Uniti che in
diverse realtà europee quali la Germania, la Francia, il Belgio, la
Gran Bretagna e la Svizzera.
A seguito dalla ripresa economica degli anni ’80, la capitale britannica
è tornata a essere un potente magnete per flussi migratori
altamente qualificati, per lo più di natura temporanea: per
molti professionisti, managers, esperti del settore bancario, assicurativo
e del commercio internazionale, la city di Londra, insieme
al nuovo centro finanziario delle Docklands, è una meta
ambitissima. Attualmente un’altra presenza rilevante è quella dei
numerosi medici specializzati e dei ricercatori.
Il Regno Unito è, insieme agli Stati Uniti d’America, la principale
destinazione dei “cervelli in fuga” dalle università italiane. La
cifra esatta di italiani accademici presenti nel “triangolo d’oro”
di Londra, Oxford e Cambridge e nelle altre università britanniche
è sconosciuta, ma uno studio del 2003 ha stimato che circa
4
5
il 13% di tutti i “post-doc” europei presenti in Gran Bretagna
provengano dall’Italia. Secondo una stima del Consolato di
Bruxelles vi sono, in Belgio, 6.000 professionisti operanti presso
le istituzioni internazionali e le grandi aziende italiane.
È foltissima, ma difficilmente quantificabile, la schiera degli studenti
che si reca all’estero per imparare le lingue, specialmente
quella inglese, ma anche il francese, il tedesco e lo spagnolo.
Già nel 2004 sono stati quasi 45.000 gli studenti italiani iscritti
ad atenei stranieri, un numero quasi uguale a quello degli studenti
stranieri iscritti in Italia (40.641 nello stesso anno), con
questa ripartizione: il 18,1% in Germania, il 13,9% in Austria,
l’11,6% in Gran Bretagna, il 10,4% in Francia ed il 10,0% in
Svizzera. Al contrario, relativamente pochi (7,4%) sono coloro
che frequentano atenei statunitensi e quasi nessuno quelli canadesi
(0,8%) ed australiani (0,4%) (OCSE, 2006).
Non bisogna, poi, trascurare la nostra presenza artistica nel
mondo, che non è solo un retaggio del passato. Tra la fine del
XIX e l’inizio del XX secolo il contributo degli emigranti italiani è
stato fondamentale alla costruzione dell’immagine architettonica
e urbana di molti paesi di emigrazione. In Argentina, ad esempio,
gli italiani hanno contribuito a edificare un nuovo paese,
modificando l’aspetto urbano di molte città: a Buenos Aires circa
il 70% degli edifici pubblici è opera di architetti e imprenditori
italiani, incluse opere emblematiche come la Casa Rosada, il
Palazzo del Congresso e il Teatro Colón. Fondamentale è stata, in
questo caso, la collaborazione fra architetti, imprenditori edili e
maestranze artigianali di origine italiana, capaci queste ultime
di riprodurre decorazioni e stucchi.
Oggi il quadro dell’architettura italiana all’estero è molto più
complesso che in passato. Dopo la stagione degli architetti italiani
che, durante e subito dopo il fascismo, hanno fatto scuola
in tutto il mondo (la cosiddetta “Tendenza”) e gli anni della
straordinaria fama internazionale di Aldo Rossi, buona parte
della rappresentatività è incarnata da “grandi firme” come Renzo
Piano e Massimiliano Fuksas. Vincitore del Pritzker Prize nel
1998 (l’equivalente del Nobel per l’architettura), il Renzo Piano
Building Workshop ha firmato, dalle sue sedi di Genova e Parigi,
progetti in tutti i continenti, con una concentrazione dell’attività
degli ultimi anni negli Stati Uniti. Lo studio di Massimiliano
Fuksas, con sedi a Roma, Parigi e Vienna, ha invece in Europa i
suoi progetti più significativi e circa 80 realizzazioni sparse per
il mondo. In Giappone, la nuova sede dell’Istituto italiano di cultura
a Tokyo progettata da Gae Aulenti è divenuta nel 2005 un
caso nazionale a seguito dei dibattiti sollevati per il colore rosso
che la riveste all’esterno. Ma sono numerosi i nomi che si
potrebbero citare, per il lustro che stanno dando al nostro paese.
Gli italiani protagonisti nel mondo. Tante e diverse sono le
storie che si possono raccontare della nostra emigrazione, che ha
visto milioni di persone costrette ad abbandonare affetti e certezze
per cercare altrove quanto non trovato in patria.
Partiamo da una curiosità storica che non tutti conoscono: John
Martin, alias Giovanni Martini da Sala Consilina (in provincia di
Salerno), trombettiere del 7° Cavalleggeri al comando del Generale
George Armstrong Custer è stato l’unico scampato all’eccidio
del Little Big Horn.
Non mancano i protagonisti del mondo della musica, talvolta più
conosciuti all’estero che in Italia. Tra la fine dell’Ottocento e gli
inizi del Novecento, Edoardo VIII di Inghilterra ha definito “il re
della melodia” il sardo Stanislao Silesu, un precoce compositore
italiano di musica leggera e da camera, capace di eseguire a 10
anni il primo concerto, a 13 anni di comporre serenate e canzoni
e a 15 anni di scrivere una commedia musicale, per poi emigrare
dalla Sardegna prima a Milano e poi a Londra e a Parigi.
Passando a personaggi attuali vi è l’imbarazzo della scelta quanto
ai protagonisti di origine italiana affermatisi nella vita pubblica
dei paesi di insediamento: ad esempio, Mario Cuomo per
tanti anni governatore dello Stato di New York, l’ex ministro dell’Economia
a Buenos Aires e attuale candidato alle presidenziali
argentine l’italo-argentino Roberto Lavagna o il candidato, per i
repubblicani, alla presidenza degli Stati Uniti Rudolph Giuliani e
poi ancora ministri, governatori, parlamentari, imprenditori e
professionisti affermati.
Molto numerosi sono anche i personaggi dello sport: il cestista
Andrea Bargnani, primo rookie europeo nella storia della NBA, la
pallavolista Francesca Piccinini affermatasi in Spagna, Fabio
Cannavaro, calciatore del Real Madrid e, oltre ai diversi allenatori
ingaggiati da squadre estere, l’oriunda Hope Solo guida della
squadra di calcio femminile statunitense alla Coppa del Mondo di
calcio in Cina.
A un livello più impegnato troviamo i sacerdoti che hanno
lasciato l’Italia per assistere i connazionali all’estero: sono stati
nel corso di un secolo, almeno 3 mila. Attualmente operano nel
mondo 461 centri, parrocchie, missioni per la cura pastorale in
lingua italiana, con 516 sacerdoti che celebrano la liturgia nella
nostra lingua. Sono impegnate in questa pastorale anche 166
suore e 45 operatori laici. Metà delle presenze e delle strutture
pastorali si trova in Europa (214), le altre oltreoceano. Nella sola
diocesi di Brooklyn, la più piccola territorialmente degli Usa, ci
sono 40 parrocchie dove l’italiano viene usato per la celebrazione
domenicale.
Vi sono poi circa 13.000 missionari italiani presenti in 143 paesi
per diffondere e testimoniare la fede cristiana, non di rado
rischiando la loro vita: una bella pagina nella storia degli italiani
all’estero, spesso supportata da volontari laici che si rendono
disponibili per 3-4 anni ad essere di supporto al lavoro delle
missioni.
I media italiani all’estero. 472 giornali, 263 programmi
radiofonici e 45 programmi televisivi in lingua italiana. È quanto
emerge dal repertorio degli organi di stampa, dei programmi
radiofonici e televisivi all’estero L’Italia dell’Informazione nel
mondo, realizzato dal Ministero degli affari esteri. Di queste 86
sono edite in Italia: 78 giornali, 4 radio e 2 emittenti televisive.
Quella della stampa italiana nel mondo è una storia ormai
secolare, che nasce su iniziativa di alcuni esuli politici in Europa
e in America, dove sono concentrate le prime collettività di
connazionali e, quindi, in ambito ecclesiale. La prima testata è
stata la Croce del Sud, pubblicata dai cappuccini di Rio de
Janeiro nel 1765. Mentre la fase iniziale è prettamente politica,
la fase successiva è a carattere spontaneo e vede proliferare
più bollettini di comunità che giornali veri e propri, con un
linguaggio spesso povero ma aderente a quello della gente.
Nel 1893 la Direzione Generale della Statistica censisce 130
periodici italiani pubblicati all’estero: 82 in Europa, 27 in America
del Sud, 17 negli Usa e 4 in Africa. Nel 1905 l’elenco ne
conta 264, con un aumento delle testate prodotte nell’America
del Nord (90) e del Sud (48). Giornali si pubblicano anche in
Cina, dove si pubblica, nel 1906, un mensile italiano. In Tunisia
tra il 1859 e il 1910 si contano ben 52 testate in lingua
italiana. Negli Usa, all’inizio del XX secolo il numero dei fogli
italiani pubblicati è “largamente superiore in media a quello di
qualunque altra colonia italiana anche più fiorente”. La riduzione
di testate italiane nelle Americhe si registra alla fine della
seconda guerra mondiale con il calo dell’emigrazione in Argentina,
Brasile e Usa, anche perché la seconda e terza generazione
si integrano nelle comunità locali, abbandonando progressivamente
l’uso della lingua italiana. In questo periodo, invece,
si registrano nuove testate in Europa.
Oggi, secondo il repertorio del Ministero degli affari esteri,
sono 11 nel mondo i quotidiani di lingua italiana: di questi 5
sono concentrati nelle Americhe. Il più antico tra questi è La
Voce d’Italia fondato nel 1949 a Caracas, in Venezuela.
Un altro quotidiano, che ha superato il mezzo secolo di vita, è
il Corriere Canadese, “unico quotidiano in lingua italiana” edito
in Canada, fondato nel 1954. Il giornale – consultabile anche
in internet all’indirizzo www.corriere.com – si rivolge alla numerosa
comunità di origine italiana presente in Canada (2 milioni
tra cittadini e oriundi su 30 milioni di canadesi) e in particolare
ai nostri connazionali che parlano e leggono l’italiano. Dal
1995 è nato anche Tandem, edizione settimanale in lingua
inglese, rivolto soprattutto ai giovani, figli degli italiani che
parlano prevalentemente l’inglese. Il giornale vuole aiutare a
mantenere la cultura e la lingua italiana in Canada e soprattutto
nell’Ontario, dove ha maggiore diffusione, e a Montreal, nel
Quebec.
Giovane in quanto nato nel 1998, è il quotidiano America Oggi,
comparso dopo il licenziamento da parte di una storica testata
italiana (Progresso Italoamericano) di tutti i dipendenti. Alcuni
di loro, sia giornalisti che tipografi e amministrativi, decidono
di fondare un altro giornale, da vendere nelle edicole e diffondere
gratuitamente in circa 70 licei dove si studia l’italiano.
Negli Usa si pubblica anche un altro quotidiano: si tratta di
Gente d’Italia nato nel 2000. È, invece, di luglio 2007 la notizia
della nascita di un altro quotidiano italiano in Argentina:
L’italiano in Sud America.
La lingua e la cultura come strumento di affermazione. Oggi
l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, la seconda in
ordine di iscritti ai corsi in Canada e la quarta negli Stati Uniti.
Sono circa 200 milioni gli italofoni nel mondo, per circa un terzo
cittadini, per un terzo oriundi e per un altro terzo amatori.
Il Ministero degli affari esteri ha erogato nel 2006 oltre 26
milioni di euro per l’attivazione di corsi di lingua italiana all’estero,
per l’80% destinati ai territori europei e americani. Qui si
concentrano, infatti, l’83% delle scuole italiane e delle sezioni
bilingue che organizzano insegnamenti di italiano, il 73% degli
Istituti italiani di cultura e oltre il 90% dei Comitati della
“Dante Alighieri”.
Nell’insieme sono oltre 600.000 nel mondo le persone che studiano
l’italiano presso le scuole pubbliche locali, le università,
gli Istituti italiani di cultura e le diverse associazioni attive
nella promozione della nostra lingua, tra le quali spicca la
Società “Dante Alighieri”.
Ma non tutto va per il verso giusto. Il Land Baviera ha deciso di
declinare totalmente l’onere della gestione diretta dei corsi di
lingua-madre entro l’anno scolastico 2008/2009 per puntare sull’integrazione
linguistica tedesca a partire dagli asili, salva
restando la disponibilità a sostenere la lingua italiana come attività
complementare e facoltativa (Arbeitsgemeinschaft) nelle
Realschule (ginnasi), nonché l’istituzione di classi bilingui.
Anche nelle famiglie italo-canadesi l’uso dell’italiano va lentamente
spegnendosi e, secondo le previsioni, fra dieci o quindici
anni i figli degli italiani non solo non sapranno più parlare l’italiano,
ma avranno anche difficoltà a capirlo: questa la preoccupazione
espressa dall’ambasciata e dalle organizzazioni italiane.
Per questo si è pensato alle strategie da seguire per introdurre
l’insegnamento della lingua italiana fin da piccoli, a partire dagli
asili nido, e di potenziare su Rai International i programmi dedicati
ai bambini, curando anche maggiormente la preparazione
dei docenti.
Un esempio di evoluzione positiva è invece quello degli Stati
Uniti, dove in passato l’italiano era stato declassato a “lingua
della manovalanza”, mentre la “lingua della cultura, della raffinatezza,
dei viaggi” era il francese. Nel 2006 a studiare l’italiano
sono stati 61.000 ragazzi, quasi il doppio rispetto al 1970.
La nostra lingua è, ora, al quarto posto tra quelle più studiate
nel paese (746.000 lo spagnolo, 200.000 il francese, 91.000 il
tedesco). Le possibilità di ulteriore avanzamento sono concrete,
perché l’italiano non è più considerato una lingua da insegnare
ai soli discendenti degli emigrati, ma una lingua portatrice
di cultura e di stile.
In effetti, l’italiano e la cultura italiana riusciranno ad affermarsi
sempre più non solo in forza della grandezza storica, ma
anche per lo sforzo che si farà, nell’Italia di oggi, nel selezionare
contenuti in grado di richiamare l’interesse degli italiani
sparsi nel mondo e dei paesi che li hanno accolti.
Gli italiani all’estero e il mondo imprenditoriale. Il fatturato
delle nostre esportazioni all’estero nel 2006 è stato di 327
miliardi di euro, con la tendenza a un riposizionamento nelle
fasce più alte del mercato. Ma nello stesso anno le importazioni
sono aumentate più delle esportazioni, anche nei settori
tipici del made in Italy, come il tessile o l’abbigliamento. Ciò
sembra dipendere anche dal fatto che molte imprese italiane,
per risparmiare sui costi, tendono a spostare all’estero, presso
imprese consociate, anche produzioni di fascia alta, lasciando
in Italia solo le fasi della progettazione e della commercializzazione.
Anche in Italia si percepisce un inserimento più dinamico nel
contesto globalizzato, ma in misura ridotta rispetto ai paesi
industrializzati concorrenti, come Germania, Francia e Gran
Bretagna. In gioco è la marginalizzazione del nostro sistema
produttivo. Siamo indietro per quanto riguarda gli investimenti
diretti all’estero, anche se sono stati superati ampiamente i
1.000 miliardi di euro nel 2006. L’area di maggior intervento è
l’Est Europa, insieme al Nord Africa, alla Cina e, da ultimo,
anche l’India. D’altra parte, è ancora scarsa la presenza delle
imprese italiane nelle produzioni a più elevato contenuto tecnologico
e innovativo.
Le imprese all’estero partecipate da imprese italiane sono
17.200, i soggetti investitori 5.789, i dipendenti totali all’estero
1.120.550, il fatturato 322 milioni di euro. In quattro
casi su cinque si tratta di partecipazione di controllo: nel
22,1% dei casi sono partecipazioni paritarie e minoritarie.
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Negli ultimi anni è crescente la tendenza all’acquisizione, alla
fusione e all’investimento in reti distributive e nelle attività
tradizionali del made in Italy e della moda.
Con 150 Uffici commerciali operanti presso le 238 sedi della rete
diplomatica e consolare, oltre 100 uffici dell’Istituto del commercio
estero e 70 camere di commercio all’estero si potrebbe
fare di più, ma, poiché le buone intenzioni non equivalgono di
per sé ad effettivi passi in avanti, si deve riconoscere che la
legge n.56 del 2005 sull’internazionalizzazione delle imprese,
non ha prodotto gli effetti sperati per quanto riguarda il coordinamento
degli enti pubblici e privati, la costituzione degli
sportelli unici all’estero, la semplificazione delle leggi e delle
prassi amministrative. Di positivo va segnalato che l’Istituto di
commercio estero, nella destinazione dei fondi, nel 2006 ha
privilegiato le aree strategiche e i settori innovativi.
Una maggiore presenza del Sistema Italia all’estero implica
necessariamente un collegamento con gli italiani all’estero. Di
ciò si è occupato il PPTIE (Programma di Partenariato Territoriale
con gli Italiani all’Estero) e, per sette regioni meridionali
(Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna),
il progetto Itenets (International Training and Employement
Network). L’obiettivo è consistito nel miglioramento dei
sistemi occupazionali e formativi mediante il contributo e la
valorizzazione degli italiani all’estero come soggetti facilitatori
(PPTIE) e la creazione di una rete di servizi di informazione,
animazione e progettazione con il coinvolgimento degli emigrati,
delle loro associazioni e delle loro imprese (ITENETs).
Queste vie innovative sono da sperimentare, ma anche da analizzare
criticamente alla luce dei risultati. Come si legge nel
Rapporto Italiani nel Mondo, si parla spesso, specialmente a
livello ufficiale, di quanto le business community italiane all’estero
costituiscano una risorsa straordinaria per l’Italia e rappresentino
un autentico fattore di sviluppo e un grande vantaggio
competitivo per il nostro sistema paese, ma in realtà la
retorica rimane troppo spesso tale e, soprattutto, ci si dimentica
della coerenza in sede di elaborazione e attuazione di provvedimenti
di legge o di iniziative pubbliche.
Gli emigrati dovrebbero, senz’altro, essere considerati una
risorsa strategica anche sul piano economico: perché questo
non rimanga soltanto uno slogan, bisogna affrettarsi sulla via
della realizzazione.
Per il futuro: un impegno innovativo. Il Rapporto Italiani nel
Mondo. Un volume ricco di notizie, che si propone di risvegliare
l’attenzione al mondo dell’emigrazione e di sottolinearne le
potenzialità, senza nascondere i problemi e sottacere la complessità
dell’impegno. Questo mondo può diventare veramente
una risorsa per l’Italia, ma si richiedono cambiamenti e, quindi,
atteggiamenti innovativi.
L’elezione dei parlamentari della Circoscrizione estero non ha
fatto venir meno il ruolo delle associazioni degli emigrati, né
quello dei Comites e del Consiglio generale degli italiani all’estero,
canali indispensabili di partecipazione. Senza le “antenne”
territoriali, che le associazioni, i Comites e il Cgie possiedono,
la capacità di rappresentanza dei parlamentari sarebbe
limitata nella lettura dei problemi e delle aspettative delle collettività
residenti all’estero. I parlamentari hanno una rappresentanza
generale rispetto a quella più specifica degli altri
organismi, sebbene le interconnessioni siano evidenti.
I meriti delle associazioni sono innegabili a livello di aggregazione,
mutuo soccorso, tutela, partecipazione, e, anzi, bisogna
farsi maggiormente carico della funzione di promozione socioculturale
svolta nelle comunità italiane all’estero e con il suo
riconoscimento in sede di revisione della legge n. 383/2000
dedicata all’associazionismo nelle sue varie articolazioni.
Serve, però, in questi organismi una maggiore capacità di
interpretare i processi economici, culturali e politici in atto, gli
sbocchi di partecipazione, i collegamenti con l’Italia, le esigenze
dei protagonisti dei nuovi flussi migratori. Per le associazioni,
e non solo per loro, si richiede uno sforzo di adattamento
ai contesti nazionali e al ricambio generazionale tra i connazionali.
Non è poco quello che si fa a livello regionale, ma anche le
regioni nei loro interventi sono chiamate a inserire elementi di
maggiore presa, così come per i Comites e il Cgie si tratta non
solo di potenziare risorse e ambiti di intervento, ma anche di
avviare una riconsiderazione del proprio ruolo.
La questione si pone negli stessi termini a livello culturale, e
così è anche per la pastorale degli italiani nel mondo, tra le
esperienze del passato e le esigenze più diversificate di oggi,
tra l’attaccamento alla patria e l’inserimento nel paese d’accoglienza,
tra la lingua locale e quella italiana. Tradizione e apertura
al futuro: interessarsi oggi all’emigrazione significa curare
una nuova sintesi. È questo il messaggio del Rapporto Migrantes
2007, un sussidio per riflettere e per preparare il futuro.

AREE TERRITORIALI DI ORIGINE DEI CITTADINI ITALIANI ISCRITTI
ALL’AIRE (2007)

Isole 19%
Sud 37%
Centro 15%
Nord est 15%
Nord ovest 14%

DISTRIBUZIONE DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA NEI CONTINENTI
ISCRITTI ALL’AIRE (2007)

EUROPA 58%
OCEANIA 3%
ASIA 1%
AFRICA 1%
AMERICA 37%

 

3679-rapporto-italiani-nel-mondo-2007-la-scheda-sintetica-del-rapporto

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EmiNews 2007

 

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