3795 ''Fuga da Tripoli''. Una mappa dei centri di detenzione per migranti in Libia

20071029 22:51:00 redazione-IT

L’ha ricostruita a partire dalle testimonianze dei migranti sbarcati in Italia e intervistati dagli autori del rapporto Fortress Europe

ROMA – Sulla carta non esistono. Ma chi c’è passato spesso ne porta ancora le cicatrici sulla pelle. Sono i centri di detenzione per migranti in Libia. Sono almeno 20, secondo le testimonianze raccolte tra gli immigrati sbarcati a Lampedusa, dal rapporto "Fuga da Tripoli” pubblicato oggi da Fortress Europe. E sono localizzati nelle città di Ajdabiya, Binghazi, Ghat, Gharyan, Ghudamis, aj-Jmayl, Juwazat (non localizzato sulla mappa), Khums, Kufrah, Marj, Misratah, Qatrun, Sabratah, Sabha, Sirt, Surman, Tripoli, (almeno due centri: Janzur e Fellah), Zawiyah e Zuwarah.

L"osservatorio sulle vittime dell’immigrazione ha pubblicato su internet (http://fortresseurope.blogspot.com) una mappa dei centri, ricostruita a partire dalle testimonianze dei migranti sbarcati in Italia e intervistati dagli autori del rapporto. Non sempre si tratta di vere carceri. Spesso sono vecchi magazzini adibiti alla funzione detentiva e sorvegliati dalla polizia. Le testimonianze raccolte parlano di arresti in mare, sulla rotta per la Sicilia, ma anche di retate della polizia nei campi e negli squat abitati da immigrati piuttosto che nei locali lungo la costa dove vengono nascosti dai passeurs il giorno della partenza. Le testimonianze parlano di detenzioni durate mesi e in alcuni casi anni, senza nessun processo, in condizioni di sovraffollamento, fino a 60 o 70 persone in celle di sei metri per otto con un unico bagno. Le donne sono sistematicamente vittime di violenze sessuali da parte della polizia, come documenta un capitolo del rapporto dedicato alle violenze di genere. E gli uomini sono spesso vittime di pestaggi sia al momento dell’arresto sia durante la detenzione, per i motivi più futili.

Le testimonianze parlano anche di tre rivolte dei migranti detenuti, a Tripoli, Kufrah e Khums, finite la prima con due nigeriani morti ammazzati dalle pallottole sparate in cella dalla polizia, la seconda con 70 detenuti presi a manganellate e calci e un ragazzo accoltellato da un agente, e la terza con l’elettroshock. Speciali manganelli capaci di dare scariche elettriche sono infatti in dotazione della polizia libica, almeno a Khums e Misratah. Gli effetti delle scariche durano giorni, con cecità temporanea e gonfiore del viso.

Una volta arrestati le opzioni per i migranti sono quattro. Chi ha soldi riesce a corrompere la polizia per uscire. E spesso è la stessa polizia che lo mette in contatto con dei passeur che possono riportarlo a Tripoli. Chi non ha soldi viene rimpatriato in aereo nel proprio Paese d’origine, oppure viene caricato su dei camion militari, stipati con 70-80 persone, e trasportato verso la frontiera meridionale: a Kufrah, a sud est, o a Qatrun, a sud ovest. Da lì poi, dopo altri mesi di detenzione, i camion carichi di migranti partono verso la frontiera, in pieno deserto. Chi non ha soldi viene abbandonato in mezzo alla sabbia, chi può pagare 100 o 200 dollari viene riportato indietro, clandestinamente, dalla stessa polizia. La quarta opzione è invece il sequestro di persona, praticato soprattutto a Kufrah. Cittadini libici locali comprano la libertà di alcuni migranti detenuti, corrompendo la polizia, e poi li tengono ostaggi nella propria casa fin tanto che non pagano un riscatto di tasca propria o tramite un Western Union inviato dai parenti all’estero.

Dati ufficiali citati da “Frontex” e “Human Rights Watch” parlano di 53.842 espulsioni nel 2006, 47.991 nel 2005, 54.000 nel 2004 e 43.000 nel 2003. Il governo italiano, secondo il rapporto della prima Missione tecnica in Libia dell’Ue, ha pagato, dal 16 agosto 2003 al dicembre 2004, 47 voli della Air Libya Tibesti e della Buraq Air che hanno rimpatriato 5.524 migranti rispediti per quattro quinti in Egitto, Ghana e Nigeria, e per il resto in Mali, Pakistan, Niger, Bangladesh e Siria. Ma anche 55 in Sudan e 109 in Eritrea, ovvero 164 potenziali rifugiati politici deportati in paesi in guerra contro ogni convenzione internazionale sul diritto d’asilo. I 109 eritrei vennero rimpatriati il 21 luglio del 2004 su un volo Air Libia Tibesti e sarebbero ancora detenuti in Eritrea. Un altro volo, partito poche settimane dopo, il 27 agosto 2004, venne invece dirottato in Sudan di 75 passeggeri eritrei, tra cui sei bambini. Sessanta di loro vennero poi riconosciuti rifugiati politici dall’Acnur nella capitale sudanese Khartoum. (gdg)

_________________

‘Fuga da Tripoli’. Donne, nere, immigrate: tre volte vulnerabili

In Libia, anche loro sono vittime delle operazioni di contrasto all’immigrazione clandestina verso la Sicilia. Spesso con i propri bambini. Le loro testimonianze raccolte dal rapporto di Fortress Europe

ROMA – Sono tre volte vulnerabili. Sono immigrate, sono nere, sono donne. In Libia, anche loro sono vittime delle operazioni di contrasto all’immigrazione clandestina verso la Sicilia. Spesso con i propri bambini. Storie ordinarie di violenze, stupri, ed aborti clandestini. Ecco alcune testimonianze raccolte dal rapporto di Fortress Europe, "Fuga da Tripoli”, pubblicato oggi.

Fatawhit, Eritrea
"Ho visto molte donne violentate nel centro di detenzione di Kufrah. I poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole, Molte di loro sono rimaste incinta e molte di loro sono state obbligate a subire un aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la propria vita. Ho visto molte donne piangere perché i loro mariti erano picchiati, ma non serviva a fermare i colpi dei manganelli sulle loro schiene”.

Selam, Etiopia
“A Kufrah dormivano in camerate con altre 50/60 persone, donne e uomini, sul suolo. Ci davano acqua e pane. Ho assistito alla stupro di una donna. Spesso sono in quattro cinque poliziotti che violentano una sola donna. Molte rimangono in cinta. Una volta che escono di prigione non resta loro che affidarsi a un aborto clandestino. A volte utilizzano la tecnica dell"ago, in cambio di 200-300 dollari. Molte donne sono morte in seguito agli aborti”.

Araya, Etiopia
“Mi hanno arrestato tre volte in Libia. Durante la detenzione in un carcere vicino Tripoli, ho subito una violenza sessuale da parte dei poliziotti. Erano in gruppo. Quasi tutte le donne che sono detenute nelle prigioni libiche subiscono delle violenze sessuali da parte della polizia, forse le uniche che sono risparmiate, sono le donne con dei figli molto piccoli”.

Hewat, Etiopia
“Eravamo in una casa dove avevano radunato tutti quelli che si dovevano imbarcare a breve. La polizia libica ha fatto una retata, sono entrati in casa. Hanno cominciato a picchiare mio marito, ho cercato di fermarli ed hanno picchiato anche me, mi hanno gettato al suolo. Ero incinta, e subito dopo ho perso il mio bambino a causa dei colpi”. (gdg)

http://fortresseurope.blogspot.com

 

3795-fuga-da-tripoli-una-mappa-dei-centri-di-detenzione-per-migranti-in-libia

4552

EmiNews 2007

 

Views: 4

AIUTACI AD INFORMARE I CITTADINI EMIGRATI E IMMIGRATI

Lascia il primo commento

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.