3938 A PIETRACATELLA (MOLISE) PER RICORDARE MONONGAH

20071121 12:45:00 redazione-IT

AMARO (Cgil): "La coscienza del nostro passato e di quella che è stata l’emigrazione italiana, della fatica e della sofferenza che i nostri emigranti hanno conosciuto, di come furono considerati e trattati, oggi deve metterci in condizione di comprendere i nuovi problemi dell’immigrazione."

CAMPOBASSO – Neanche la tormenta di neve, che ha colpito per tutta la giornata di venerdì 16 l’apennino molisano, ha impedito che sabato 17 novembre si svolgesse a Pietracatella il convegno promosso da Cgil, Spi, Inca, Fiei e Fondazione di Vittorio per celebrare il centenario della tragedia della miniera di Monongah.
Ospiti del sindaco Giovanni Vita, nella sala del consiglio comunale di questo paese della provincia di Campobasso che, come tanti altri del centro-sud aveva visto partire molti dei suoi giovani per le americhe, la Cgil e le sue strutture hanno voluto ricordare la più grande tragedia mineraria della storia degli Stati Uniti e dell’emigrazione italiana. Il 6 dicembre del 1907 due tremende esplosioni distrussero le gallerie 6 e 8 della miniera di carbone di Monongah, nel West Virginia, uccidendo quasi un migliaio di minatori, di questi più della metà erano italiani. Una strage immensa e a lungo dimenticata, ma che a Pietracatella è stata rivissuta con intensità attraverso i filmati della FILEF e gli interventi dei vari ospiti che hanno preso la parola.

Sotto la regia di Italo Stellon, segretario generale della Cgil del Molise, che ha fatto gli onori di casa e introdotto il convegno, al microfono si sono alternati per i saluti il Presidente del Molise Michele Iorio, il Presidente della Provincia di Campobasso Nicolino D’Ascanio, i Presidenti dei Gruppi parlamentari degli italiani all’estero: l’On. Narducci e il Senatore Claudio Micheloni, che ha richiamato la battaglia condotta in questi giorni in Senato perché la finanziaria del 2008 contenga risorse adeguate a far fronte ai principali problemi dei nostri emigrati anziani più in difficoltà.
Il numeroso pubblico, tra cui spiccava una folta presenza di giovani, ha poi avuto modo di ascoltare gli interventi dello storico D’Ambrosio, di Giovanni di Gennaro dell’Inca di New York e di Sergio Sinchetto dell’Inca nazionale, che ha voluto ricordare come la battaglia per i diritti del lavoro e l’integrazione dei lavoratori migranti sia un problema ancora aperto anche nel nostro paese, mentre Antonio Bruzzese per la Fondazione Di Vittorio si soffermava sulla piaga del lavoro minorile.
Intervenendo per lo Spi Livio Melgari sottolineava come i cento anni trascorsi dalla tragedia permettevano di misurare la distanza tra una società che poteva quasi occultare una immane tragedia con una attualità che stravolge e spettacolarizza anche i drammi individuali. Un secolo che con il suo progetto sulla memoria lo Spi vuol documentare evitando che la storia di intere generazioni che hanno conosciuto, fame, miseria ed emigrazione sia preda dell’oblio e della retorica. Perché non c’era nessuna retorica negli impianti di ventilazione della miniera di Monongah spenti per risparmiare, nella paga che i minatori ricevevano anche sotto forma di buoni da spendere presso gli spacci della stessa Fairmont Coal Company, proprietaria della miniera, ma solo quelle terribili condizioni di lavoro che il movimento operaio ha riscattato con un secolo di lotte.
Per la Fiei Rodolfo Ricci richiamava l’importanza di non perdere la memoria storica dei percorsi dell’emigrazione, di come anche molti dei nostri emigranti fossero dei clandestini, problema per il quale la stessa tragedia di Monongah non è stata facilmente quantificabile nel numero delle sue vittime.
E’ intervenuto per ultimo Andrea Amaro della Cgil nazionale e Vicepresidente del Cgie che, partendo dalla tragedia di Monongah, tracciava il lungo cammino di un Paese che, dopo aver visto decine di milioni di suoi cittadini emigrare, oggi si è trasformato in un paese di immigrazione. E proprio la coscienza del nostro passato e di quella che è stata l’emigrazione italiana, della fatica e della sofferenza che i nostri emigranti hanno conosciuto, di come furono considerati e trattati, oggi deve metterci in condizione di comprendere i nuovi problemi dell’immigrazione.
Perché la nostra prospettiva è quella di un paese multiculturale, che è anche la condizione per non uscire dai grandi processi sociali che stanno modificando il pianeta. Due culture non sono un handicap ma una risorsa, ha concluso Amaro, proprio perché nel lavoro e nella ricerca si può costruire, perché nelle difficoltà e nel dolore il mondo non è né piccolo né meschino.

Roma, 19 novembre 2007

 

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EmiNews 2007

 

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